Testimone del secolo passato muore l’ultimo rappresentante di un certo modo di fare cultura.
Che ne è stato del più grande intellettuale umbro di questo scorcio di secolo, l’ultimo di una serie di personaggi da noi tanto amati, che hanno fatto della loro vita e de delle loro idee un unico corpo? Camus il padrino, ma poi Orwell, la Weil ed in Italia Chiaromonte, Arbasino, Flaiano. Gli Irregolari. Ebbene si, Goffredo Fofi appartiene a questa categoria, per censo e per biografia. Dicevamo il più grande intellettuale umbro di oggi, che già defunto dal secolo scorso per la stampa locale, ma ora morto reale, non viene degnato di alcun interesse dalle testate umbre : qualche svogliato trafiletto, altro non sono state capaci di scrivere le esangui redazioni locali di un giornalismo morente, ucciso dai comunicati stampa e dall’appartenenza a consorterie di destra e sinistra che fanno della nostra regione un stagno dove neanche un sasso riesce ad increspare la liscia superficie del conformismo. Nemo profeta in patria, questo già lo sapeva Fofi, quando diciottenne abbandona la natia Gubbio per le sirene filosofiche del pacifista Danilo Dolci in Sicilia. Da lì non si fermerà più, “suole di vento”, come l’irregolare poeta francese Arthur Rimbaud, che lascia agli altri le quisquilie parigine e gli scandali prezzolati, nomade pedestre fino al porto di Marsiglia, dove l’attende il Battello Ebbro per la sua Africa. Battello che per Fofi si appalesa come impegno totale nelle società degli emarginati, specialmente nell’anarchico sud Italia, dalla Sicilia di Dolci, alla Calabria dei centri per anziani e dei manicomi per bambini, fino alla amata Napoli della Mensa dei bambini proletari. Questo perché Fofi è stato intellettuale impegnato sul campo, odiava gli scrittori che scrivono bene e basta, stava dalla parte di Camus che la solidarietà si fonda sulla rivolta. E’ questa la cifra del suo impegno sociale, formichina francescana sempre attiva. Così come la capacità che aveva nel coinvolgere le persone, quel fare insieme che caratterizza il suo impegno intellettuale, quell’ Io dismesso a favore di un Tu-Noi in cui ognuno contribuisce con la propria competenza.
Dai Quaderni Piacentini in poi, una lunga serie di testate fondate o a cui collabora, specialmente nel campo dell’amata critica cinematografica ( Il nuovo spettatore cinematografico, Linea D’ombra, Dove sta Zazà).E la fitta rete di amicizie ed incontri, a Roma soprattutto, Capitini, Elsa Morante, Ernesto De Martino, Norberto Bobbio. Empatia e capacità di giudizio, anche tagliente, ma senza cattiveria, hanno fatto di Goffredo Fofi uno spin doctor di tanti giovani scrittori di successo come Saviano, Baricco, Leogrande e il pugliese Nicola Lagioia, oggi direttore di Umbria Libri. Con tanti giovani intellettuali che lo hanno frequentato, memorabili rimangono le spaghettate a casa sua, Goffredo era schietto, burbero, a volte tagliente, come dicevo, specialmente quando si sentivano arrivati, dopo un primo successo editoriale. Perché lui sapeva una cosa che gli altri non sapevano: lo scrivere autentico vuole la distruzione dell’Io, zavorra che conduce all’inautentico, al deragliamento della parola fine a se stessa, con nessuna presa sul reale. Non voleva che questi ragazzi diventassero delle “teste di cazzo”
Nella sua densa parabola di vita, Fofi ha sposato “l’ottimismo della disperazione” di Heinrich Boll, non prendendosi mai troppo sul serio come dato dal titolo di una sua antologia di interventi critici, “Sono nato scemo e morirò cretino”, che avrebbe voluto come ironico titolo di un’ ideale autobiografia mai scritta. Spirito profondamente libertario, pedagogo popolare amante dei teologi disobbedienti, laico che parlava ai credenti, convinto assertore di un dialogo profondo tra anarchismo e cristianesimo povero, vegetariano per responsabilità etica e politica, Fofi ha fatto della coerenza e della frugalità il suo stile di vita. Ultima propaggine di un tipo di intellettuali vissuti nel secolo scorso, lascia un mondo distopico, che va in direzione completamente opposta a quello che era il suo credo. Ma questo non lo ha certo scoraggiato, essendo stato fino alla fine al centro della scena intellettuale italiana, come l’acqua per i pesci. Non è stato celebrato dai media locali, anzi dimenticato, ma per lui non sarebbe stata un’onta, visto che alberga nel luogo a cui teneva di più, nei nostri cuori.
La vittoria del centro sinistra in Umbria non appariva di certo scontata, dato che le previsioni degli istituti specializzati davano sempre avanti, anche se non di molto, la coalizione di centro destra dell’ex-governatrice Tesei. La vittoria è stata rotonda, ha preso piede già dai primi spogli elettorali ed è terminata, come sappiamo, con un cospicuo vantaggio di 6 punti per la Proietti. Appare interessante lo studio fatto dall’università di Perugia e presentato dall’ex presidente di giunta Bracalente, in cui si analizzano i flussi elettorali che hanno portato a questo risultato. Il dato eclatante emerso è l’aumento dell’astensionismo, che ha raggiunto una percentuale molto elevata, con il 50% degli elettori che non ha partecipato al voto. Il centrosinistra, guidato da Stefania Proietti, ha visto un ampio supporto da parte delle liste civiche, che hanno contribuito a un vantaggio di ben 18mila voti rispetto alla coalizione di centrodestra, dove le liste civiche non hanno funzionato come attrattori. Queste liste civiche hanno avuto un impatto decisivo. Il Partito Democratico ha visto un significativo recupero di voti, complice anche la perdita di consensi da parte di Fratelli d’Italia e del Movimento 5 Stelle , che hanno registrato cali notevoli, rapportati alle europee di pochi mesi prima. L’astensione ha colpito molto più gli elettori di destra che non quelli della sinistra, che si sono recati al seggio con maggior convinzione. Telegraficamente tra i vincitori delle regionali umbre risultano essere il Partito Democratico e le Liste Civiche di sinistra, nonchè Forza Italia e in parte la Lega che mantiene un suo zoccolo duro, anche se l’exploit delle precedenti regionali appare mitologico. I perdenti sono Fratelli d’Italia e 5stelle, con i secondi che si avvicinano al famoso prefisso telefonico. Ed anche Il sindaco di Terni Bandecchi non può certo gioire, avendo fatto un discreto exploit a Terni città (13%) ma scomparendo nel resto della regione, essendo giudicato dagli elettori umbri poco più di un comico da cabaret. Al termine dell’analisi Il professor Bracalente ha concluso dicendo che “I partiti devono essere consapevoli dell’importanza del non voto e della capacità di attrarre nuovamente gli elettori che si sono allontanati dalla politica. Questo è un dato che avrà un grande impatto sulla politica futura in Umbria”. L’urgenza di recuperare l’elettorato disaffezionato appare evidente nella frenetica attività della presidente Proietti, che pare vicina al traguardo per quanto riguarda il complesso puzzle delle deleghe e assessorati regionali che tengano conto del risultato elettorale ma soprattutto delle competenze di quelli che saranno gli assessori per i prossimi 5 anni. Il modello per la composizione della giunta prevede che il Partito Democratico , che ha ottenuto il 30% dei consensi, avrà due assessori su cinque, in virtù di un accordo che include anche la presidenza del Consiglio, con il nome di Cristian Betti o Francesco De Rebotti, sindaco di Narni, come favoriti. In questo contesto, Simona Meloni, prima degli eletti e manager presso Nestlé, è in lizza per assumere la delega all’agricoltura, turismo o politiche del lavoro, mentre Tommaso Bori, segretario regionale del Pd, dovrebbe ottenere la delega alla sanità, un settore chiave per il futuro della Giunta. La sanità, infatti, rappresenta uno degli aspetti cruciali per la campagna elettorale di Proietti, e la governatrice ha già dichiarato che intende supervisionare da vicino il settore. La gestione della sanità, che incide per l’80% sul bilancio regionale, non potrà più essere affidata a una sola persona. A tal proposito, la Proietti ha dichiarato che ci sarà una squadra di tecnici dedicata all’analisi dei conti e all’assetto dei servizi sanitari, con l’obiettivo di razionalizzare e ottimizzare le risorse. La promessa elettorale di ridurre le liste d’attesa in tre mesi è ancora centrale, e l’utilizzo di strutture private convenzionate non è più considerato un tabù. Per quanto riguarda le altre deleghe, Thomas De Luca, portavoce del Movimento 5 Stelle e uno dei protagonisti del Patto Avanti, potrebbe assumere il ruolo di assessore all’ambiente e energia. De Luca non è ricandidato a causa dei limiti di mandato imposti dal vecchio statuto del Movimento, ma resta una figura centrale nel programma, di cui è stato uno degli estensori principali. Anche il giornalista Fabrizio Ricci, ex responsabile dell’ufficio stampa della Cgil, dovrebbe ottenere un ruolo importante nell’ambito sociale, in virtù dell’esito favorevole della lista Avs. Altri nomi in gioco sono quelli di Fabio Barcaioli, segretario di Sinistra Italiana ed esperto in agronomia, e Federico Santi, ingegnere e secondo degli eletti per la stessa lista. La lista Umbria Domani, rappresentata dalla consigliera Bianca Maria Tagliaferri, preside, potrebbe anch’essa proporre un esterno per l’incarico. L’organizzazione interna della giunta prevede inoltre che Anna Mossuto, portavoce e consigliera politica di Proietti, possa essere nominata capo di gabinetto, o comunque ricoprire un ruolo di vertice in un eventuale riassetto degli uffici. La Mossuto è considerata una delle figure chiave all’interno dello staff della governatrice, un “Richelieu” del Palazzo che avrà un ruolo cruciale nella gestione politica e amministrativa. Se a livello locale il voto ha dissipato le nebbie riguardo i rapporti di forza politici umbri, la stessa cosa non si può dire per la sua proiezione a livello nazionale. La domanda che sorge è se il voto umbro e il successo del campo larghissimo della sinistra possa replicarsi anche alle altre regioni, di cui ben sei andranno al voto il prossimo anno, così come se possa replicarsi alle prossime ma lontane elezioni politiche (a meno di un improbabile crisi di governo non da escludere a priori viste le frizioni specialmente in politica estera tra l partiti del centro-destra.) la mia risposta è univoca, no, non credo che si possa replicare, per una serie di motivi disparati, che vanno dalla peculiare caratteristica dell’elettorato umbro, con il rilevante ruolo assunto dalle liste civiche, alla crisi che attanaglia una delle gambe del rassemblement di sinistra, cioè il movimento 5stelle, alle prese tra crescita e dissoluzione, e che all’ultima assemblea costitutiva ha tagliato la funzione del garante ed introdotto la fine del vincolo del doppio mandato, che rappresenta forse l’ultimo tassello per trasformarli da movimento in partito, e per questo non più distinguibile dalle altre offerte sul mercato politico. La trasformazione è completata, ma è una trasformazione che gli fa mettere la stessa divisa delle altre formazioni , giacca e cravatta oppure maglioncino che sia. Ritengo che molti dell’elettorato m5s andranno ad ingrossare le fila degli astensionisti. La Schlein non dovrebbe essere così euforica per il risultato umbro, anche se ha avuto il merito di puntellare il suo ruolo di segretaria del PD, dovrebbe fare un bagno di umiltà e contare poco su questa formula molto locale, anche perchè a livello nazionale i 5stelle hanno già detto che faranno alleanze solo con contratto scritto e programma definito tra le parti. Roba che in Umbria proprio non si è vista, essendo nata prima la coalizione e dopo i programmi. Questo infatti porta la nuova giunta umbra e anche l’amministrazione comunale di Perugia ad avallare i progetti già messi a terra dalle precedente amministrazioni di destra, continuandone le politiche volte a privatizzare la sanità ed a moltiplicare i cantieri infrastrutturali nel territorio, grazie anche alla corposa elargizione dei fondi PNNR. Spero per loro in uno scatto di orgoglio secondo il proverbiale incipit morettiano :” ma fai qualcosa di sinistra!!”. Vedremo, segnali ce ne sono, ma è ancora presto per capire come si muoveranno i nuovi padroni del vapore umbri.
La sera di sabato 19 ottobre si è chiuso ufficialmente l’antefatto delle elezioni regionali dell’Umbria del 17 e 18 novembre prossimi. Intendiamo quella fase nella quale vengono raccolte le candidature, smaltiti gli adempimenti burocratici e presentati al tribunale civile di Perugia i nomi dei candidati e i contrassegni elettorali. Saranno 9 i candidati alla presidenza della Regione Umbria: Marco Rizzo, Moreno Pasquinelli, Fabrizio Pignalberi, Martina Leonardi, Donatella Tesei, Giuseppe Paolone, Elia Francesco Fiorini, Stefania Proietti e Giuseppe Tritto, sostenuti da 23 liste con all’interno 460 aspiranti consiglieri. Non parteciperà alle elezioni Stefano Fiore di Forza Nuova.
Ma che campagna elettorale sarà? Chi sono i favoriti? Quali candidati hanno la possibilità di essere eletti? Per provare a rispondere a queste domande dobbiamo, giocoforza, appoggiarci agli ultimi sondaggi disponibili con tutti i limiti del caso. Soprattutto se si tratta di sondaggi fatti a un mese dal voto e con la discussione in corso della legge di bilancio che, inevitabilmente, potrebbe orientare scelte ed umori da qui al 17 e 18 novembre. Un dato sembra certo, ad oggi: il vantaggio del centrodestra che ripropone per la guida della Regione la presidente in carica Donatella Tesei. Il sondaggio di Termometro Politico la accredita di un chiaro 49,1% con un vantaggio di quasi il 6% su Stefania Proietti, il sindaco di Assisi, candidata del centrosinistra ferma al 43,7%. Ma in questo sondaggio è molto forte Marco Rizzo di Democrazia Sovrana e Popolare, accreditato di un importante 5%. Un dato che però non trova riscontro in un sondaggio riservato visionato dalla nostra redazione. In quel contesto la Tesei è anche più alta del dato fornito da Termometro Politico, è al 49,7%, ma la Proietti è meno distante con una percentuale inferiore al 3%. Questi dati, ovviamente da verificare sul campo e nelle urne, fanno emergere due riflessioni. La prima è che Tesei è comunque avanti e che Proietti dovrà fare una campagna elettorale importante per colmare il gap: il secondo è che l’ingresso di Alternativa Popolare di Stefano Bandecchi nella coalizione nazionale, e di conseguenza in quella umbra, potrebbe rappresentare la mossa del cavallo per scardinare politicamente una situazione che, fino a metà settembre, dava un testa a testa all’ultimo voto. Sviluppata questa analisi, passiamo alle liste a sostegno dei candidati presidente. Come accennato sono 23, la maggior parte delle quali a sostegno di Donatella Tesei e Stefania Proietti. Nel primo caso si tratta di Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia, la già citata Alternativa Popolare del sindaco di Terni Stefano Bandecchi, quindi la lista ‘Tesei Presidente’, Udc e la lista civica ‘Noi moderati civici per l’Umbria’. Nel secondo caso il centrosinistra tiene in coalizione Partito Democratico, Alleanza Verdi e Sinistra, Movimento 5 Stelle più le liste civiche: ‘Umbria per la sanità pubblica’, i ‘Civici umbri’, ‘Umbria Domani’ e ‘Umbria Futura’. Le altre 9 liste sono a sostegno dei restanti 7 candidati. Sono tutte liste singole, tranne nel caso di Rizzo e Pignalberi che si presentano con due liste ciascuno. Singolare la scelta della lista a sostegno di Marco Rizzo, Alternativa Riformista, che mostra il simbolo della foglia di marijuana nel logo elettorale. E veniamo ai principali candidati consigliere. . Fratelli d’Italia piazza come capolista l’assessore forte della giunta Tesei, Paola Agabiti Urbani, con la prospettiva di farne la prima degli eletti. Puntano alla rielezione anche Eleonora Pace e Daniele Nicchi, mentre corrono ‘forte’ per lo scranno di palazzo Cesaroni il recordman di preferenze a Perugia, Matteo Giambartolomei, la coppia Clara Pastorelli e Luca Merli, il vicesindaco di Umbertide Annalisa Mierla e il ternano Marco Celestino Cecconi. Nomi forti anche in Forza Italia, saldamente segnalata come seconda forza della coalizione. Gli azzurri mettono in campo come capolista l’ex sindaco di Perugia Andrea Romizi, l’ex civico di centrosinistra Andrea Fora, la presidente della Provincia di Terni Laura Pernazza, il sindaco di Todi Antonino Ruggiano. La Lega della presidente Tesei, dal canto suo, schiera come capolista un amministratore di lungo corso e dal sicuro consenso come Enrico Melasecche, oltre all’ex senatrice Valeria Alessandrini. Passiamo quindi al centrosinistra e partiamo dal Partito Democratico che apre la lista con la coppia composta dal segretario regionale Tommaso Bori e dell’ex capogruppo al Comune di Perugia Sarah Bistocchi. In corsa per la riconferma il vice presidente uscente dell’aula di palazzo Cesaroni, Michele Bettarelli, e Simona Meloni. Restando al ‘patto avanti’, passiamo al Movimento 5 Stelle che non ricandida per la nota regola dei due mandati Thomas De Luca ma che, in perfetta continuità con il progetto politico, schiera Luca Simonetti e Valentina Pococacio. Nell’Alleanza Verdi Sinistra emerge il capolista Gianfranco Mascia, mentre la lista Umbria Domani, diretta emanazione della candidata Stefania Proietti, schiera l’ex consigliera della Provincia di Perugia Laura Zampa, un nome che potrebbe raccogliere consensi trasversali, mentre il listone riformista (senza Italia Viva) Umbria Futura, può contare su nomi di rilievo in termini politici e di consenso come Donatella Porzi, Luciano Bacchetta, Roberto Bertini e Giacomo Leonelli. Molti giornali commentano i risultati riguardanti la Liguria come il de profundis per il campo largo, ma mi permetto di non essere d’accordo in riferimento proprio al caso Umbria, dove il campo largo diventa larghissimo con la presenza di ben quattro liste civiche a sostegno della Proietti, non presenti nelle elezioni liguri, che sono state inquinate a sinistra prima dalla diatriba tra Renzi e i 5 Stelle ed in seguito dalle querelle tutta interna al movimento cinque stelle con le frizioni tra Grillo e Conte. Quindi l’Umbria non puo’ essere paragonata alla Liguria.
Deus-ex machina?
A ben guardare in Umbria il problema per la Proietti potrebbe essere l’incognita Rizzo, che se dovesse accumulare un 5% dei voti come indicano recenti sondaggi, potrebbe affossare il campo largo da una posizione nominalmente di estrema sinistra, un po’ la replica di quello che è successo a Gubbio con la sfida fratricida tra rappresentanti della sinistra che si sono eliminati a vicenda facendo eleggere il rappresentante di centro destra Fiorucci per la prima volta in 79 anni. L’elezione umbra potrebbe avere lo stesso canovaccio eugubino , mentre sorniona la Tesei assiste gongolante. Vedremo, la parola agli elettori.
Lo scaltro tergiversare del centro destra in Umbria ha portato ad un risultato che fino a ieri pareva fantascienza : il fondatore di Alternativa Popolare Stefano Bandecchi avrebbe annunciato l’ingresso del suo partito nella coalizione di centrodestra a livello nazionale. La decisione comporta il ritiro della sua candidatura alle elezioni regionali in Umbria e il sostegno al candidato di centrodestra Donatella Tesei. La svolta politica è stata anticipata da giorni, ma si è concretizzata nelle ultime ore, in vista delle elezioni regionali di fine anno. Oggi Il nuovo accordo verrà formalizzato sotto la supervisione di Giovanni Donzelli, una figura di spicco di Fratelli d’Italia. Tra le conseguenze immediate, vi sono tre aspetti principali: l’allargamento del perimetro del centro-destra nazionale che sorregge l’attuale esecutivo meloniano, il supporto al candidato governatore per il centro destra in Liguria, Stefano Bucci sindaco di Genova, ed infine come dicevamo la nascita del campo largo di destra anche in Umbria a supporto della candidata Tesei, formato da Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia, Noi Moderati e infine Alternativa Popolare. Bandecchi ha dichiarato che conferma di rimanere sindaco della città dell’acciaio senza nulla chiedere per sè ed il suo partito. A questo punto, se il centro sinistra sognava il classico 3-0, cioè la vittoria in Emilia Romagna, Liguria ed Umbria, dovrà ricredersi e pedalare forte, dato che oltre l’Umbria diventa contendibile anche la Liguria, dove Bandecchi ha avuto, alle ultime elezioni regionali ,più di 2000 voti pur non facendo alcuna campagna elettorale, un piccolo tesoretto che può risultare decisivo all’amato sindaco di Genova per espugnare la regione.
Sulla decisione del sindaco di Terni sono subito intervenuti i rappresentanti locali di Sinistra Italiana, stigmatizzando il comportamento della destra :”Si sono insultati, si sono denunciati, sono quasi arrivati alle mani nella casa comunale, hanno espresso gli uni dell’altro e viceversa i giudizi più irripetibili. Come se nulla fosse accaduto, ora hanno raggiunto un accordo. Sono questi i comportamenti che minano alla base la credibilità della politica e alimentano, non senza fondamento, il diffuso disgusto per i partiti e per le istituzioni. Sembra più evidente, ora, che Bandecchi abbia utilizzato Terni per inseguire interessi diversi che ben presto avremo modo di verificare. Resta quindi solo da capire quali reciproche contropartite si siano scambiati. La rinuncia alla candidatura a presidente della Regione è inoltre una resa dovuta alla perdita del consenso in città a poco più di un anno dall’insediamento. Voleva fare il parlamentare europeo, il presidente del Consiglio e si riduce a fare il comprimario di Tesei. L’accordo è frutto della paura, di entrambi. Bandecchi, ha paura di finire nell’irrilevanza e ha deciso di far valere il suo residuo peso per se stesso e non certo per la città. Il centrodestra è spaventato dal risultato delle amministrative di giugno.”
A corollario di queste vicende politiche dobbiamo sottolineare come i due schieramenti stiano insieme solo per il potere politico, non mancando forti attriti anche nel campo largo del centro-sinistra, come insegnano le note vicende tra Partito democratico e M5s, che tra l’altro rischia la frantumazione per i forti attriti tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte. Vincerà chi riuscirà meglio a frenare le spinte centrifughe del rispettivo campo, con buona pace del programma elettorale che è la cosa che magari può interessare i cittadini, ma di cui poco si parla. Sanità, welfare, scuola, lavoro, questi sconosciuti, come insegna la neo sindaca di Perugia nel tanto strombazzato consiglio comunale in piazza del Bacio a Perugia, dove ha tratteggiato le linee guida programmatiche del suo esecutivo, linee programmatiche innalzate a volo pindarico il cui collante è la partecipazione dei cittadini, ma il cui risultato pratico, ha chiosato trionfalmente la nostra sindaca, per ora è il rinnovo a fine anno della tessera card per la visita dei musei cittadini. Sinceramente aspettavamo altro.
DONATELLA TESEI CANDIDATA GOVERNATORE UMBRIA,SILVIO BERLUSCONI POLITICO
Nei mesi scorsi, soprattutto dopo il voto delle europee di giugno, si sono moltiplicati gli appelli per svolgere il cosiddetto ‘election day’, ovvero riunire in un unico fine settimana la chiamata alle urne per i cittadini delle tre regioni. Appelli che, però, sono caduti nel vuoto. Le tre regioni, infatti, non voteranno nella stessa data ma in date diverse. La Liguria, che andrà al voto per le note vicende legate all’ex presidente Toti, ha scelto, in tutta fretta e senza possibilità di essere modificata, la data del 27 e 28 ottobre, in Emilia-romagna il voto è fissato per il 17 e 18 novembre, ma gli organi regionali si sono detti disponibili ad anticipare di 20 giorni in concomitanza con quelle liguri. E l’Umbria? per l’Umbria si parla di dicembre, nel periodo compreso tra l’Immacolata ed il Natale, ma qualche spiffero colto in giro addirittura fa trapelare di un possibile slittamento per il mese di febbraio. I motivi possono essere molteplici, specialmente in relazione al fatto che delle tre regioni è la più contendibile, stando a sondaggi interni le altre due regioni hanno già il destino segnato, mentre l’Umbria si gioca la poltrona di governatrice all’ultimo voto. Chi ha più da guadagnare nel procrastinare l’election day umbro è sicuramente la coalizione di centro-destra, il cui motivo ufficiale sarebbe quello di voler evitare l’esercizio provvisorio di Bilancio, ma il probabile motivo sarebbe quello di convincere al ritiro il sindaco di Terni Bandecchi, oppure di accordarsi in una specie di desistenza con il resto della compagine capitanata dalla Tesei. Inoltre sono in atto manovre , attraverso un corposo investimento regionale, volte ad abbattere le liste di attesa sanitarie, attraverso l’extramoenia in strutture mediche private oramai assai numerose in regione. Questo fornirebbe alla Tesei un buona grancassa pubblicitaria ergendola ad epigona del buon governo. Ma, appunto per abbattere le liste d’attesa occorre del tempo, ed inoltre non si tiene in considerazione che una gran massa di denari escono dal perimetro pubblico per arricchire la sanità privata, in cui si annidano importanti sponsor politici umbri. Non è con le mancette elettorali che si risolvono i problemi del welfare e assistenza sanitaria, ma attraverso oculati investimenti che rimangono nel tempo. Altrimenti siamo alla solita cettolaqualunque manovra di copertura delle buche stradali alla vigilia delle elezioni del sindaco, di cui sinceramente ne potremmo fare anche a meno. La sinistra nel contempo si pasce e si crogiola del successo nel capoluogo regionale, con una sempre sorridente sindaca , presa da una specie di sindrome post Sangiuliano (ministro cultura), onnipresente ad ogni inaugurazione di strade, mostre, e chi più ne ha più ne metta. La Proietti, dopo il pensoso e viscerale scendo o non scendo, pare scomparsa dai radar quando dovrebbe essere sua premura incalzare la maggioranza in merito alla data dell’election day. Anche perché potrebbe finire prima del previsto l’idillio degli umbri per il Campo Largo, e magari qualcuno si potrebbe ricordare che la candidata del centro-sinistra è tre anni che guida anche la provincia di Perugia, che ha le deleghe alle acque interne e lascia un Trasimeno che è ai minimi storici in termini di profondità e ai massimi storici in termini di incuria.
Archiviata la questione del candidato presidente alla regione Umbria con la fumata bianca emessa il 16 agosto dalla sindaca di Assisi Stefania Proietti, ne è seguita una partecipata conferenza stampa che si è tenuta , e non è un caso, presso la Sala della Vaccara del comune di Perugia. Pare proprio che il modello di campo largo, attuatosi con successo con l’elezione della sindaca Ferdinandi, faccia da apripista anche nel tentativo di togliere la regione dalle rapaci mani del centro destra, e dalla Lega in particolare. I cardini del suo programma, ancora non ben definito, riguardano ; «Il diritto alla salute, la cura del creato, la cura delle persone, il prendersi cura soprattutto dei più fragili, la centralità della vita, il tema dell’accoglienza in tutti i sensi, ma anche lo sviluppo innovativo, sostenibile, dell’innovazione sociale come soluzione alle problematiche. Però tutti questi pilastri, questi cardini – ha detto Stefania Proietti – hanno bisogno poi di costruire un edificio, mattone per mattone» La candidata del centrosinistra declina subito anche il metodo di lavoro che intende utilizzare in questi mesi di campagna elettorale che separano dal voto; “«Chiameremo ciascuno, chi vorrà partecipare, andremo proprio nei territori. Pensiamo di costruire una campagna elettorale la più partecipata possibile. Il ‘patto avanti’ ha questa caratteristica e prerogativa che ci piace tantissimo: questo è il vero essere piattaforma aperta. Useremo ovviamente anche i social, ma anche l’incontro con le persone. Perché le persone sono al centro della nostra idea di Umbria del futuro». Sommessamente facciamo notare che codeste prerogative, appena accennate nel programma della candidata Proietti risultano piuttosto lasche e generatrici di un qualche umoristico fraintendimento come capitato nella perentoria affermazione della nostra in un noto social globale, in cui rifletteva che il suo programma per la regione era ispirato al “Cantico delle Creature” di San Francesco. Non sto qui a commentare le risposte, anche assai pungenti e ruvide come spesso sanno essere le genti umbre. In una specie di staffetta di soccorso, solo qualche giorno dopo, il 21 agosto, è intervenuta la sindaca di Perugia Ferdinandi, con un intervista a La Repubblica ,meno aulica e più di sostanza, incentrata sulla necessità di ristabilire con chiarezza il confine tra destra e sinistra, sia nel merito che nel metodo. “La destra vede l’altro come una minaccia e il trionfo è sempre individuale. Per la sinistra, l’altro è il campo della salvezza, perché nessuno si salva da solo. Il nazionalismo è di destra, l’internazionalismo di sinistra. La sinistra è una dimensione collettiva. Da queste due concezioni, così diverse, discende tutto il resto,” ha spiegato Ferdinandi. Secondo Ferdinandi, è necessaria una nuova cultura di governo e negoziazione, come suggerito da papa Francesco. “Dovrebbe finire l’epoca delle divisioni, ma per questo serve progettare un orizzonte,” Ma purtroppo oggi il mondo appare dotato di tante sfumature di grigio non contemplate dalle dichiarazioni della Ferdinandi. Esempio il concetto di “centralità della vita” o certi ammortizzatori sociali per famiglie numerose o disagiate, sono assai presenti nei programmi di governo dei Fratelli d’Italia o della Lega. Qualcuno ancora ricorda Salvini che bacia trionfante il crocifisso ? C’è una corsa a prendere i voti degli elettori moderati, il famoso Centro, che vede oggi Forza Italia in pole position, che auspica lo jus scholae, e assume toni moderati financo nelle tv berlusconiane che assumono vecchi epigoni del comunismo come la Berlinguer e fanno dire a Marina Berlusconi che si sente molto più vicina al PD che alle destre in merito ai diritti individuali delle persone. Siamo alla rivoluzione copernicana. L’elettore umbro sconcertato dal quadro politico così confuso dove potrebbe trovare un appiglio che giustifichi le sue scelte elettorali? Magari semplicemente non seguendo i pifferai magici che parlano di salvaguardare sopra tutto i diritti dell’individuo, e orientandosi verso chi auspica e pratica più servizi all’individuo. Altrimenti rischiamo di diventare una piccola California, terra sacra di ogni forma di diritto individuale che però contempla anche il cittadino che non si puo’ curare se non ha la carta di credito.
Nel campo di centrodestra proseguono i tentativi per convincere Bandecchi a ritirare la candidatura ed appoggiare la Tesei, sforzi specialmente compiuti dalla Lega. Gli esiti paiono assai incerti visto il carattere sopra le righe del sindaco di Terni. Da capire anche i ruoli che i due ex sindaci di Perugia e Terni possano avere nel polo di centro-destra, essendo portatori di una gran messe di voti personali. Per Romizi, in caso di vittoria, si vaticina una delega pesante alla sanità. Forza Italia in Umbria pare molto attiva, avendo ben in mente che il centro dello schieramento di destra, se ben presidiato da autorevoli e moderati personaggi di destra (Romizi, Fora ) può togliere benzina alla rampante Lega, in particolare tessendo una tela di “controllo” rispetto agli atti della rampante presidente leghista Donatella Tesei. Gli azzurri in questo modo tentano l’operazione non solo sui moderati, ma anche sui civici di centrodestra, almeno su quella parte che, dopo l’accordo tra Arcudi e Briziarelli, sta preparando la lista “Noi moderati – Civici per l’Umbria”. Lo scontro nel centro destra (nazionale più che locale) è rimandato, ma prima o poi i nodi verranno al pettine, essendo la coalizione un coacervo di ideologie che vanno dal populismo al corporativismo, dall’apertura di mercato al protezionismo made in Italy. Le grane non mancano neanche nel centro-sinistra, con la Proietti che ha convocato il campo largo per il 16 agosto, alle prese con la patata bollente del suo sostituto a sindaco della città di Assisi, che il PD vorrebbe di sua competenza, mentre la Proietti vorrebbe come sua emanazione. Intanto il centro sinistra incassa anche l’appoggio di Pace,Terra e Libertà, il movimento di michele Santoro, che con le sue posizioni pro Russia crea più di un imbarazzo nell’eterogenea e colorata galassia di centro sinistra.
Tiene banco in queste afose giornate estive la scelta del candidato della coalizione di centro-sinistra, chiamata dai quotidiani campo largo (o larghissimo) ,per la carica di presidente della regione, in scadenza naturale il prossimo novembre. Il giorno 27 luglio il conclave dei maggiorenti delle varie sigle politiche facente parte del blocco di centro-sinistra ha chiesto all’unanimità al sindaco di Assisi Stefania Proietti, che ricordiamo essere anche presidente della provincia di Perugia, di “scendere in campo” per la prestigiosa carica regionale. La riunione è stata assai partecipata, erano presenti i leader umbri del campo largo, ovvero Tommaso Bori del Partito democratico, Thomas De Luca del Movimento 5 stelle, Fabio Barcaioli e Gianfranco Mascia di Alleanza verdi sinistra, il sindaco di Spoleto Andrea Sisti dei Civici X ormai orfani di Fora, di Giuseppe Chianella del Partito socialista, di Massimo Monni, dell’ex segretario regionale del Pd Lamberto Bottini, ora coordinatore della lista per la sanità pubblica e del neo sindaco di Perugia Vittoria Ferdinandi, il fiore all’occhiello del nuovo progetto politico del centrosinistra. Un ‘campo largo, che in vista delle regionali, che ricordiamo sono a turno unico, include anche una lista Comunista, Azione, che ha già sostenuto convintamente Ferdinandi a Perugia, e a Italia viva di Renzi che torna a tutti gli effetti nel centrosinistra. Tutto bene quel che finisce bene? No assolutamente, perchè Stefania Proietti non ha sciolto la riserva, prendendosi qualche giorno per riflettere. I suoi dubbi, in prima istanza, vengono dal ruolo importante che riveste come sindaco della città serafica e dall’enorme lavoro che spetta ai suoi amministratori in vista del Giubileo del 2025, in cui la città di San Francesco avrà un ruolo di rilievo, con la massiccia presenza di turisti e pellegrini . Ma a distanza di qualche giorno ad Assisi , tra le segrete stanze già ci si muove per trovare un sostituto, e quindi a breve il nodo si dovrebbe sciogliere.
Esiste anche un ostacolo non detto, ma ben indagato da più testate regionali e riguarda la proiezione nazionale del voto umbro, che ricordo si salderà a quello delle regioni Emilia-Romagna ( Bonaccini dimesso perchè eletto al parlamento europeo) e della Liguria ( con le dimissioni dell’indagato ex-presidente Toti per le note vicende giudiziarie). E qui la sciarada politica entra nel vivo, perchè la coalizione di centro-sinistra, reduce dal buon risultato europeo, mira a fare l’en plein in tutte e tre le regioni, proiettando fosche nubi sulla tenuta del governo centrale, indebolendo sempre più la coalizione che regge il governo Meloni. Michele De Pascale, sindaco di Ravenna assai apprezzato in Emilia e lo spezzino Andrea Orlando, ex ministro del lavoro e della giustizia, per la Liguria , sono le candidature forti utili a sconfiggere i partiti di governo. Mentre la Proietti in Umbria, con le entrature che vanta in ambito ecclesiastico ( è stata Delegata della Conferenza Episcopale Italiana quale responsabile per i temi ambientali ) aspira ad erodere il consenso che parte dell’elettorato di matrice cattolica umbra ha dato alla uscente governatrice Tesei, tacitando anche gli eventuali contrattacchi della destra legati alle frange woke e lgbtq massicciamente presenti nel campo largo umbro. Nel campo opposto la governatrice Tesei pare non se la passi troppo bene, proprio perche’ in quota Lega, partito che sta prendendo una deriva estremista che fa arricciare il naso ai più, specialmente all’alleato Tajani di Forza Italia, che sarebbe pronto a far uscire l’asso dalla manica, l’ex-sindaco di Perugia Romizi, che ha ben figurato nell’amministrazione della città. Fratelli d’Italia ha una posizione più sfumata, memore dalla batosta presa a Perugia con il trionfo recente della sindaca Ferdinandi sulla Scoccia, voluta d’imperio dai notabili del partito che l’ hanno imposta su altri candidati, subendo come sappiamo una brutta sconfitta. Proprio per questo alla fine, pur in presenza di diverse zavorre, la Tesei rimarrà la competitor del centro destra per le elezioni umbre; questo per salvaguardare la coalizione nazionale, in primis le istanze di Salvini, che già strepita contro gli alleati di governo. A mettere i bastoni tra le ruote del bis Tesei potrebbe essere anche la presenza degli altri competitors Bandecchi, Fiore e Rizzo, che possono erodere da destra ( sì anche il rossobruno Rizzo fulminato sulla via di Orban) il consenso alla governatrice che vedrebbe sfarinarsi il suo bacino elettorale. Ritengo che la Proietti gradisca molto il confronto con Tesei, visti anche certi sondaggi “segreti” che circolano nelle consorterie regionali. Sondaggi che conosce anche il centro-destra che potrebbe innescare un vero colpo di mano ai danni della governatrice per inserire un nome di peso nazionale. Da qui i tentennamenti della Proietti che magari si ritroverebbe con un avversario molto meno malleabile. In in ogni caso la sinistra avrebbe già pronto la riserva, che si sta già scaldando a bordo campo, pronta ad entrare in gioco e rispondente al nome di Anna Ascani, la tifernate vicepresidente del Senato e del Partito Democratico. Quindi l’ipotesi principale rimane lo scontro Tesei Proietti se la contesa non esce dai confini regionali, viceversa se gli viene assegnata una prevalenza nazionale si potrebbe ipotizzare un duello Romizi contro Ascani. In ogni caso avremo probabilmente per la sesta volta consecutiva una donna come presidente di regione, caso più unico che raro in ambito nazionale. Mi preme sottolineare che in questo contesto politico, umbro od italiano che sia, manca completamente il convitato di pietra, e questo la dice lunga sulla crisi di rappresentanza di cui soffre la nostra politica: il programma politico, le cose da fare, la visione di fondo. E i risultati si vedono anche in Umbria, soprattutto in Umbria. Tutti impegnati come sono a trovare alleanze che gli permettono di governare poi non hanno idee, non sanno come risolvere problemi, non riescono a spendere neanche i soldi elargiti dalla comunità europea. Questi rassemblement di partiti disomogenei che poco hanno in comune sembrano stare insieme solo per il potere, eppure dovrebbero ragionare in anticipo su un programma comune da portare avanti per il bene della comunità, specialmente gli enti intermedi come i comuni e le regioni. Altrimenti ci si ritrova come la Ferdinandi che è guidata nelle scelte dai progetti avventuristici delle passate gestioni, senza poter fare niente di quello promesso. Si spera in un suo scatto di orgoglio e di personalità. Ma almeno con la Ferdinandi concedo il beneficio del dubbio dato che si è insediata da così poco. Il fallimento della politica nella nostra regione è testimoniato dalla bruttezza di tante periferie, dallo sfarinarsi delle città nelle campagne, dalla perdita di ricchezza e di servizi di cui soffre la comunità, specialmente quella umbra che nei numeri oramai ha la stessa impronta di tante regioni del sud, con il divario con il centro nord che si fa sempre più cospicuo ogni anno che passa. Il presidente del Censis De Rita direbbe che siamo una regione in attesa, un attesa perenne mentre il mondo corre veloce. Auguriamoci un rinascimento che spezzi questa apatia stagnante.
Sul frontone del tempio di Apollo a Delfi ci sta scritto “ conosci te stesso” , Sant’Agostino riprende il concetto con un monito: non andare fuori, rientra in te stesso, è nel profondo dell’uomo che risiede la verità. Mi ricollego ai principi dello Yoga con una frase del cinese Lao Tzu: chi conosce gli altri è sapiente, chi conosce se stesso è illuminato. Ogni cittadino, più o meno consapevolmente affida la rappresentazione di sé e del proprio status alla apparenza visibile della casa. La stessa cosa è per gli edifici della città; nella città, come nella casa o nelle opere dei cimiteri, ciascun individuo affida il proprio desiderio di immortalità, il sentimento dell’eterno, che possa sopravvivergli, le nostre case durano almeno una generazione; altri edifici della città, con i temi collettivi, come le cattedrali, la piazza civica, il palazzo comunale, incorporano una durata senza limiti. L’architettura sociale si contrappone alla architettura autoreferenziale con le sue esibizioni di tecnica ed estetica, queste cadono in secondo ordine se non sono finalizzate al benessere della collettività e al bene comune. Nasce una componente “ politica”, intesa come sociale, nella progettazione a scala domiciliare e urbana. La finalità dell’architettura sociale è quella di restituire ai cittadini la possibilità di condividere i progetti e partecipare alla costruzione della città legata ai propri bisogni e aspettative; almeno la possibilità di costruire la propria casa; la città e la sua architettura sono lo specchio e la risultante della società.
RUOLO DELL’ARCHITETTO.
La casa e l’architettura della città deve saper narrare, e lo fa anche non volendo, i propri spazi e la loro genesi ( story telling ); l’architettura non deve essere alla moda, non deve fare inutili esercizi o capricci creativi. L’architetto deve evitare la vetrinizzazione, la plastificazione della vita quotidiana. Siamo all’inizio di un’era in cui le costruzioni ci fanno più paura delle rovine ( Rebecca Solnit ); le rovine sono quello che rimane della città: left over, trascurata, messa da parte, quando le intenzioni dei pianificatori, degli amministratori e degli architetti smettono di esistere; gli architetti abbandonano il progetto, una volta realizzato, la costruzione è lasciata al suo destino. L’architettura celebra spesso il potere, gli edifici sono sempre con noi, la democrazia è un fatto urbano, l’architettura è la sua arte. Fuksas dice che il problema è politico: i politici devono combattere l’ingiustizia distributiva che affligge le città, sta a i politici affrontare l’emergenza generali in cui viviamo. Gli architetti si occupano di ben altre cose, di abbellimento formale, di decoro, di cose carine, insomma. Questo è l’alibi, in un modo o nell’altro; gli architetti producono la ciliegina, il loro lavoro è sempre di più marketing dei prodotti, dei brands ( modi di vita suggeriti dall’alto ), della moda, o del turismo e dello spettacolo. Le ARCHISTAR sono artisti al servizio dei potenti, ormai delle grandi ditte economiche, stabiliscono trends adatti a stupire e a richiamare il grande pubblico con trovate che non sono nemmeno edifici, ma messe in scena, enormi cartelloni pubblicitari, sedi di agenzie di comunicazione e qualche spettacolare quartiere disneyzzato. Come la cittadina Seaheaven, perfetta, pulita, ordinata da sembrare finta:
Seaside nel Truman show
la cittadina in cui viveva Jim Carrey in The Truman Show; la storia è tratta da una intuizione di Philip K. Dick, il grande scrittore visionario di fantascienza. La città esiste davvero in California, si chiama Seaside, è la più importante comunità di vacanze dai tempi di Versailles, è la sede ideale della middle class americana; quella che può permettersi di traslocare, di vivere lontano dalla sede lavorativa, che cerca sicurezza, armonia, buon vicinato; tutto ciò che le grandi città non sono più in grado di offrire, ad un prezzo molto caro. Il capitalismo non è stato salvato solo dall’industria, siamo in una fase più avanzata: il capitalismo è stato salvato dalla finanza, dall’arte dei creativi applicata alla produzione di simulacri formali, tendenze, stili e superfici. L’archistar non lavora per la moda, diventa moda egli stesso e dunque brand, logo, garanzia per potere firmare un pezzo di città, un museo, un negozio, un’isola di Dubai ( con i suoi grattacieli senza democrazia ), tutto come se fosse una T-shirt. L’arte e l’architettura sono diventate puro spettacolo, non soltanto, si è ancora più smaterializzata per diventare l’allusione al guizzo creativo, la possibilità di acquisirne l’atmosfera: l’allure, il portamento, l’eleganza delle mosse. L’architetto garantisce che la città sia alla moda, inserita nei trends che fanno l’happening, la cornice dell’evento. Poi l’architetto ha l’alibi di non avere alcuna responsabilità, di essere un umile artista, un artigiano al servizio del potere, lasciando i problemi a quelli che dovrebbero gestirli, che non sono mai la soluzione dei problemi. L’architettura fa ancora il bene della città? In pochi anni l’85% dell’Umanità vivrà nelle città. Il settore delle grandi opere copre il 78% della corruzione mondiale, secondo l’agenzia Transparency International, associazione non governativa che si occupa della corruzione nel Mondo. Ma l’architettura può ancora avere una straordinaria funzione democratica, può essere il luogo di incontro di coloro che tentano di costruire la città più giusta. L’architettura è una professione di pensiero sul paesaggio e sulla città, un milieu intellettuale, un ambito, un contesto sociale, culturale e artistico, sensibile all’ambiente costruito e naturale. Vanno pensati luoghi di aggregazione, piazze, parchi, impianti per lo sport e lo svago, strade pedonali e ciclabili, orti: posti che consentono parità di accesso, occasioni di incontro, di integrazione sociale e di condivisione di esperienze quotidiane. Ci sono molte forme dell’abitare alternative. L’architettura spontanea, l’autocostruzione, il nomadismo urbano e non, comunità agresti e di mutuo soccorso, case per le comuni; ma non solo questo, ci sono forme semplici dell’abitare simili a quelle della cultura materiale del passato, la modernità è una tradizione ben riuscita.
Alejandro Aravena
LA BELLEZZA E L’ARCHITETTURA
Il passato: secondo i Greci la bellezza non è solo verità ma anche e soprattutto bene, il bello va con il buono. La natura, le piante e gli animali hanno il senso della bellezza, ce l’hanno i bambini e le persone ignoranti; gli architetti e gli artisti hanno un rapporto professionale con la bellezza, devono definirla, renderla esplicita e qualche volta misurarla. La bellezza che ci interessa è quotidiana, è quella del paesaggio domestico composto dal dentro e dal fuori delle nostre abitazioni., dalle strade che percorriamo normalmente, dai luoghi che ci sono consueti e cari: essa quando esiste ed è godibile da tutti, è simbolo di grande democrazia: in questo senso mi pare che abbia un valore umano e sociale incomparabile e un potere nobilitante che le attribuivano i classici e romantici. Amare le cose belle significa provare piacere a dividerle con gli altri, la bellezza civile., il senso collettivo della armonia, dell’unità del fare. Occorre un amore disinteressato, Cicerone diceva che solo l’amante della sapienza si accosta alle cose come puro spettatore. Se a pochi è dato il talento, di creare grandi opere, a noi tutti resta la grande gioia del FARE CON CURA ( cure giving ) , non possiamo tutti creare il sublime ma piuttosto sforziamoci di fare il piacevole: creare spazi interni ed esterni degni di essere amati, ricordati, luoghi del sentimento e della ragione. Il bello è là dove si vede il lavoro della mente, dell’animo e delle mani. L’architettura, come l’arte, è fatta di: CUORE: i sentimenti, l’estetica, il ricordo, la filosofia, il chiedersi perché si fanno certe cose, la percezione della buona forma o psicologia della Gestalt, l’armonia o Kata Metron. TESTA: il rigore scientifico, la misurazione, la professionalità, l’ingegneria delle strutture e degli impianti, lo studio della funzione, l’economia , il Sistema Qualità. MANI: gli interventi concreti, le tecnologie, lo studio dei materiali,di come si applicano e dei loro cambiamenti nel tempo, la gestione, manutenzione e riparazione. GENIUS LOCI: nell’antichità era la divinità protettrice di un luogo; lo spirito, il carattere di un posto, se opero in un luogo devo interagire con esso, con le sue peculiarità. Al contrario oggi nascono i non luoghi di Marc Augè, posti che potrebbero trovarsi ovunque sul pianeta. IL PROGETTO: la scelta di infuturarsi, come diceva Dante. Provare a prevedere il futuro. LA SOSTENIBILITA’: ci vogliono leggi giuste e condivise che evitano le azioni dannose per l’ecosistema città e paesaggio, che possano premiare le azioni che rendono essi più vivibili. I popoli moderni non sono più cattivi o stupidi di quelli del passato ma sono più confusi. Bisogna allora pensare globalmente e agire localmente, partire dalle piccole cose, dalla gente come protagonista diretto delle decisioni progettuali. From the bottom up, dal basso verso l’alto; spesso le soluzioni che vengono imposte dall’alto sono inefficaci, invece le soluzioni concordate e condivise dal basso risultano più efficaci.
LUOGO E COMUNITA’
In passato l’architettura, nata dalla tradizione locale, è stata il risultato di una perfetta armonia tra l’essere umano e l’ambiente circostante. Le strutture sono state costruite con grande economia di mezzi, con materiali disponibili localmente. Le comunità e l’architettura hanno imparato a conoscersi nel tempo, gli abitanti capivano il significato del costruire in tutti i suoi aspetti. Oggi, nelle società moderne, si tende a centralizzare e omologare il processo decisionale della trasformazione dell’ambiente; la maggior parte degli interventi urbani di grande dimensione è operata da soggetti che non fanno parte della collettività per la quale si sta progettando. I veri bisogni degli abitanti rimangono spesso inespressi e non risolti. SE LA POPOLAZIONE NON PARTECIPA ALLE DECISIONI CHE LA RIGUARDANO, E’ LECITO DEFINIRE UNA POPOLAZIONE COME UNA COMUNITA’ ? La parola comunità fa riferimento ad un gruppo di persone che hanno qualcosa in comune e che abitano lo stesso luogo. Con lo sviluppo della società moderna e con la nuova urbanizzazione questa cosa si è indebolita quasi fino a scomparire: l’uomo è confuso da questa frammentazione e globalizzazione del mondo. Spesso le tecnologie della comunicazione e le reti informatiche hanno esploso, confuso , frammentato il senso di identità spaziale e locale delle comunità. Invece all’interno delle comunità gli individui membri comunicano, si scambiano informazioni, elaborano e realizzano progetti; a volte si incontrano, spesso prendono decisioni comuni che apportano benefici alla comunità intera e facilitano la realizzazione di obbiettivi che la mantengono coesa. Ovviamente le persone continuano ad abitare delle località, quartieri, zone, frazioni, condomini, ma una località abitata non è necessariamente una comunità. Le componenti costitutive una comunità sono dunque indebolite nella città contemporanea soprattutto e si riflette nella caratteristica di insostenibilità propria dei nostri centri urbani. Nelle città stanno scomparendo i luoghi, CHE COSA E’ UN LUOGO? Non è un sito, uno spazio, cioè un punto nella carta geografica con delle coordinate. Il luogo deve essere fisico, tangibile, come la vita che va toccata, legato alle esperienze fisiche e sensoriali, intriso di sentimenti, significati, ricordi…Deve far stare bene chi vi abita: il luogo è un pezzo di ambiente di cui ci siamo riappropriati con i sentimenti. Per molti cittadini gli unici spazi di vita quotidiana, che si possono considerare luoghi sono gli ambiti privati: la casa, il giardino, l’auto; gli spazi pubblici, le aree aperte della nuova città, sono, per gran parte della popolazione, dei non luoghi: nessuno o pochi li amano e se ne prendono cura. Il progressivo peggioramento della qualità dell’ambiente costruito si sviluppa con il marcato distacco tra i cittadini e gli spazi della città, e si perde lo spirito di un luogo, la qualità di uno spazio di renderlo memorabile o rappresentabile, una qualità presente in quei luoghi che ci danno la sensazione di “ essere arrivati”; questo sentire IO SONO QUI, l’identità di un luogo, quello che lo caratterizza come distinto e particolare. Qualità architettoniche e paesaggistiche che nel tempo diventano notevoli, possiedono armonia nelle loro dimensioni e nelle loro forme, sono inseriti in maniera equilibrata nei loro contesti naturali, nascono da capacità artigiane e di qualità dei materiali costruttivi. Ma non è solo la qualità fisica che crea questo spirito, che lo rende luogo, la sua identità è intimamente intrecciata con l’identità degli individui e della comunità che abitano in quel luogo. Le connessioni tra abitanti e luoghi storici, ricchi di genius loci, si sono costruite nel tempo con l’uso e i processi che hanno visto la comunità partecipe della sua creazione e sviluppo, della sua cura e difesa. E’ molto difficile affermare il proprio essere nelle strade anonime e tra i palazzi grigi e uniformi delle nuove periferie; l’origine di questo fenomeno va ricercata non solo nei modelli della nuova urbanizzazione o nella forma dello spazio urbano ma anche nei meccanismi della sua produzione e della sua gestione. Potersi identificare con la località nella quale si abita, potersi sentire parte di una comunità e di uno o più luoghi urbani, sono elementi che contribuiscono non solo alla qualità della nostra vita ma anche al nostro modo di fare politica, inteso come disponibilità a farsi coinvolgere nei processi decisionali che influenzano il presente e il futuro di quel territorio comune che sono la città e il paesaggio.
PARTECIPAZIONE E SVILUPPO SOSTENIBILE
Che cosa facciamo dipende da chi siamo o pensiamo di essere, o meglio siamo solo ciò che facciamo; in questo caso in che modo ci rapportiamo agli altri, dal luogo che abitiamo e dalle questioni che l’abitare quel luogo sollecita in noi. ULAY, il compagno di Marina Abramovic dice: AESTHETIC WITHOUT ETHIC ARE COSMETICS, l’estetica senza etica è solo cosmetica. Parafrasando Paul Goodman: siamo tutti disposti a eliminare qualsiasi privilegio personale per il verde dell’erba e le acque chiare dei fiumi, per gli occhi brillanti e i visi coloriti, di qualsiasi colore, dei bambini, per le persone non costrette a subire ordini e libere di essere se stesse? Che importanza hanno i prati, le acque chiare e i bimbi per un progettista delle città contemporanee e di chi le gestisce e le abita? E’ meglio occupare il cortile sotto casa con le automobili o farci giocare i bambini? Il migliore e più potente motore del cambiamento rimane l’esperienza diretta: le persone cambiano quando scoprono attivamente che un altro modo di fare le cose, di vivere o di essere è più piacevole o soddisfacente della vecchia maniera. Per quanto riguarda l’educazione ambientale il metodo si è raffinato negli ultimi anni mirando a informare o educare il cittadino a proposito di passi e azioni semplici che potrebbe intraprendere nel curare o gestire il proprio ambiente. Però, questa impostazione continua a escludere il cittadino dall’identificazione a monte dei problemi; in questa maniera, l’ordine del giorno ambientale continua a essere imposto dall’alto e continua erroneamente a far capire che ci sono risposte singole, spesso univoche, ai nostri problemi ambientali. Questo è un errore dal punto di vista ecologico. L’eco-design innesca uno sviluppo progressivo: gli stessi principi ecologici applicati in diversi contesti ambientali e culturali producono soluzioni diverse. La progettazione ambientale ecosostenibile, e l’architettura sociale, riconosce alle persone un ruolo importante a fianco degli esperti. Ci sono delle difficoltà, ad esempio nella attuale assenza di legami, che ci connettano alla comunità locale e al luogo che abitiamo, è impossibile sviluppare un senso di responsabilità presente e futura verso l’ambiente globale. Senza esperienza diretta nella definizione e gestione dei problemi ambientali, è molto difficile decifrare le interrelazioni tra le nostre azioni individuali o collettive e gli avvenimenti esterni e lontani nello spazio e nel tempo, e di conseguenza cambiare i nostri lavori. Dunque non esiste modo migliore per costruire la sostenibilità urbana che la partecipazione dei cittadini alla identificazione dei problemi e delle risorse locali e alla elaborazione delle soluzioni a queste connesse. Per un sistema naturale, la biodiversità è una delle caratteristiche più importanti nel definire il suo grado di sostenibilità. Il dialogo tra le persone con diverse esperienze, percezioni e valori, permette di vedere l’oggetto della partecipazione come un’entità composita, come un insieme di luoghi e funzioni diversificate. In quanto individui, vediamo solo un pezzo del mosaico territorio/ città; per superare questa posizione e trovare il terreno comune ricercato è necessario ascoltare gli altri e apprendere de loro, soprattutto da quelli che la pensano diversamente da noi. Mac Leod HA IDENTIFICATO DEI VALORI COMUNEMENTE ASSOCIATI ALLO SVILUPPO SOSTENIBILE: Assicurare l’equità tra generazioni; una generazione, per stare bene, non deve farlo a scapito della prossima. Conservare la biodiversità e l’integrità ecologica. Preservare il capitale naturale e il reddito sostenibile minimo e dignitoso. Sostenere un approccio alla politica che sia anticipatorio e precauzionale. Garantire l’equità sociale. Limitare l’uso delle risorse naturali. Cradle to cradle, dalla culla alla culla, processi a rifiuti zero. Attribuire un valore economico alle risorse ambientali, al paesaggio, alle acque chiare, all’aria pulita eccetera. Perseguire in questo l’efficienza con poca burocrazia e molta praticità. Realizzare un’economia stabile e ciclica, che gestisca lo stato di equilibrio. Promuovere la partecipazione comunitaria. Ragionare con semplicità, in proposito Einstein diceva che se non riesci a spiegare un concetto ad un bambino di sei anni, non l’hai capito nemmeno tu!
UNA IPOTESI DI METODO
Questi valori o principi sono alla base dei documenti e delle convenzioni sull’ambiente ma quanti di questi sono noti e applicati da un cittadino? Parole come biodiversità, ecologia nella bocca dei politici e di tutti non hanno alcun significato senza questi valori, rimangono inutili e incomprensibili.
Raymond Lorenzo
Raymond Lorenzo, docente di urbanistica a New York, vive a Perugia ed è consulente del WWF, sostiene che per costruire o trasformare una città in un ambiente sostenibile è necessario prestare attenzione alla base, non solo intesa come supporto naturale o ecologico, ma soprattutto come coinvolgimento diretto della comunità locale nelle decisioni progettuali, propone un metodo di lavoro. Secondo Raymond Lorenzo va fatto un gioco di ruolo con un facilitatore, che presenta la strategia della partecipazione, i bambini come catalizzatori, narra dei casi concreti applicati a Foligno e Milano, e di altri casi nel mondo; il metodo è spiegato nel suo libro: “La città sostenibile, partecipazione, luogo, comunità. Va citato anche il libro “ L’architettura di sopravvivenza” di Yona Friedman, con le sue riflessioni sulla povertà:” In passato avere una casa, in campagna, non era un problema insormontabile; il contadino muratore, con l’aiuto della famiglia e dei vicini, poteva costruire i muri e il tetto della propria casa servendosi dei materiali di cui disponeva in modo relativamente libero, i materiali erano terra battuta, pietra, paglia, legno… Era più facile avere una casa che mangiare. Nell’epoca industriale le città sono piene di case costruite male da altri e date spesso in affitto, la povertà si esprime in maniera opposta: è più facile mangiare che avere una casa. Nell’epoca contemporanea l’uomo moderno produce denaro, servizi. ( solo il 5% produce cibo, il 15% produce beni industriali ) Se con quel denaro prodotto poteva vivere meglio di come nel passato, adesso non può farlo perché non ne ha a sufficienza per le varie convenzioni, mode e servizi del mondo di oggi. “ Nelle case prima della guerra c’erano 40-100 oggetti, oggi ce ne sono almeno 4.000-10.000, provate a contare i vostri! Inoltre ecco che oggi bisogna spendere molto per avere dei servizi che in passato erano, in qualche modo, gratuiti: accudire bambini, fare riparazioni, lavare, pulire, farsi da mangiare…In futuro, forse l’uomo tornerà a farlo da sé, ecco che l’autoproduzione e l’autopianificazione potrebbe essere necessaria. Situazione diversa nei paesi non industrializzati: i contadini lasciano la campagna; la sovrappopolazione e l’impoverimento del suolo rendono la sopravvivenza più difficile, abbandonano la terra perché credono che nelle città troveranno un lavoro che permetterà loro un più alto livello di vita. E’ così che si formano le baraccopoli, o bidonville, intorno alle grandi città del terzo mondo e ogni tanto anche nei paesi occidentali.
Yona Friedman
Come potranno sopravvivere? La sovrappopolazione e la povertà con la mancanza di risorse potranno essere risolte dal progresso tecnico scientifico? Abbiamo una minima idea, da futurologi, per riuscirci? La attuale tecnologia industriale non basta a fare scomparire la povertà, lo farà una futura organizzazione politico-industriale? Magari organizzata sulla telecomunicazione. E’ evidente che oggi nessuno ha la minima idea di come si potranno assicurare a circa 4 Mld di esseri umani: una casa all’occidentale anche rudimentale, un’automobile anche solo una bicicletta, per non dire della quantità di cibo abituale nei paesi industrializzati, i servizi, i trasporti, il tutto grazie ai metodi industriali. Con l’attuale produzione industriale, ammesso che ci siano le risorse e materie prime, ci vorrebbe circa mezzo secolo ma intanto l’Umanità avrà ancora più individui. Per il cibo e la casa, le promesse dell’industrializzazione non potranno dunque essere mantenute. Vivere significa avere acqua e cibo, il resto viene dopo. Se proviamo a classificare le cose indispensabili per la nostra esistenza, in funzione del tempo durante il quale non possiamo vivere senza, otterremo il seguente ordine: aria, acqua, cibo, protezione climatica; tutti gli altri bisogni vengono molto dopo….. Dovremo vivere ed interagire in un contesto pensato e costruito a scala più umana che possa stimolare comportamenti e cambiamenti positivi, con il rispetto della cultura delle persone che ne beneficeranno. Non si vogliono imporre idee e soluzioni, nel nostro caso architetture, che possano risultare aliene o non coerenti con le necessità o il contesto in cui si inseriscono. Ogni persona ha diritto a un minimo di progetto di qualità anche estetica. Il rispetto per le risorse naturali del luogo e globali, questa è la sfida più grande. Vorrei citare anche la proposta di Architettura della Partecipazione dell’architetto cileno Alejandro Aravena. D’ora in poi l’architettura sarà di tutti e per tutti; oltre che ridurre i costi, le comunità potranno vedere i risultati ottenuti e i miglioramenti che questa pratica hanno già prodotto in altre situazioni. Aravena ha postato sul suo sito un progetto free, ognuno è libero di scaricare questa proposta progettuale di casa piccola, autonoma e espandibile.
Alejandro Aravena
Un simpatico architetto italiano, Marco Ermentini, collaboratore di Renzo Piano, propone L’architettura Timida del Rammendo, della ricucitura della periferia e degli edifici nel caso del restauro; metto a posto o sostituisco solo quello che in una casa o in una città non funziona più, non ha senso buttare ciò che ancora può funzionare. L’architetto non vuole più lasciare il segno; vuole provare a risolvere le periferie che sono ormai il luogo primario, in fondo siamo alla periferia della galassia, nella periferia del nostro mondo animale. Un vecchio portone perché deve essere sostituito se ancora funziona o si può riparare, una muratura con i buchi, perché tapparli senza un buon motivo. I jeans strappati, evoluzione della estetica punk come le calze strappate, sono la testimonianza di una nuova bellezza. Questo nuovo modo di vedere la bellezza è il Wabi-Sabi, che costituisce una visione del mondo giapponese, o estetica, fondata sull’accettazione della transitorietà e dell’imperfezione delle cose. Tale visione, talvolta descritta come “bellezza imperfetta, impermalente e incompleta” deriva dalla dottrina buddhista dell’Anitya. Dunque vanno fatte piccoli azioni, meno interventi e più intelligenza. Viviamo un cambiamento epocale simile a quello della rivoluzione industriale, le professioni stanno cambiando e anche l’architetto dovrà diventare nomade, un medico condotto, tornerà la casa bottega. Cerchiamo di anticipare certi cambiamenti, infuturiamo la nostra professione con nuove azioni di regista, compositore e maestro di orchestra di una musica suonata in accordo con i fruitori. L’architetto sta con la gente e sperimenta con essa, è un facilitatore e un regista di un gioco di ruolo, un tutor.
Bibliografia un po’ ragionata:
La città sostenibile ( Raymond Lorenzo ) L’architettura di sopravvivenza ( Yona Friedman ) Una casa non è una tazza ( Giovanna Franco-Repellini ) Contro l’architettura ( Franco La Cecla ) Progettare la Felicità ( Sabino Acquaviva ) Salviamo il Paesaggio! ( Luca Martinelli ) Fate poco ( Angelo Fanelli e il Gorino! ) La città come opera d’arte ( Marco Romano ) Piccolo manuale per imparare a fare e ricevere critiche ( B. Beckhan ) Futuro ( Marc Augé ) Sociologia ( Berger P.L. e Berger B. ) Il cadavere della Bellezza ( S. Bulgakov, N. Berdjaev ) Maledetti Architetti ( Tom Wolfe ) Gli architetti dovrebbero ammazzarli da piccoli! ( Matteo Clemente )
Oltre all’Architettura Sociale, sarebbe giusto parlare di Arte Etica, menzionata prima da Ulay: per esempio l’artista Beyus, che disse che siamo tutti artisti, come è vero che siamo tutti architetti. Beyus creo’ la Fondazione dell’Istituto per la rinascita dell’Agricoltura, la piantagione Paradise con la messa a dimora di 7000 piante per biodiversità, è noto il suo incontro con Burri presso la Rocca Paolina di Perugia e le sue sei lavagne illustrate.
Beyus e Burri a Perugia
Banksy , che ci dice: “Ho intenzione di dire come la penso, perciò non ci metterò molto. Contrariamente a quanto si va dicendo, non è vero che i graffiti sono la più infima forma d’arte. Certo, può anche capitare di dover strisciare furtivamente in piena notte e dire bugie alla mamma, ma in verità è una delle forme d’arte più oneste che ci siano. Non c’è elitarismo o ostentazione, si espone sui migliori muri della città e nessuno è dissuaso dal costo del biglietto.” Banksy è contro la mercificazione dell’arte, espone all’esterno opere che ci obbligano a pensare in forma critica la nostra civiltà. Infine l’artista cinese Ai Weiwei, attivista dei diritti umani, ha denunciato il governo cinese ma è stato spesso critico anche verso la civiltà occidentale; ha esposto varie volte in Italia, a Palazzo Te a Mantova e Palazzo Strozzi a Firenze. Ha diretto un documentario in cui racconta le migrazioni attraverso le immagini girate in 22 paesi del mondo. Ai Weiwei è artista ma soprattutto architetto e attivista, ecco cosa dice: “ Per me l’architettura ha un forte valore estetico e include un giudizio morale…Questo permette di potersi costantemente chiedere: E’ UTILE? Il giudizio è dunque su quanto e quanto bene coinvolgi attraverso l’architettura, su chi la userà.”
Il carattere di grande precoce, che lo definisce, opera quel fraintendimento a cui è andato incontro Max Stirner nei confronti dei suoi contemporanei che perdura anche oggi, alla presenza di un’agiografia piuttosto corposa che ha fatto riprendere l’interesse per questo pensatore tedesco, trovatosi suo malgrado al centro di una nutrita serie di interpretazioni ognuna divergente dall’altra. Come in un test di Rorschach ognuno vi proietta quello che è il suo pensiero, ipotesi lievemente comica se si comprende il fatto che quello che è più importante nel suo discorrere è proprio ciò che non è detto, che è celato. E quindi è tutto un florilegio di soccorritori che vanno da un tizio che poi ci fonda su un partito fascista, un altro che è ideologo di qualche bomba intelligente, un terzo che ne fa professione di veggenza profetica, non mancando naturalmente l’uso di bignamino dell’anarchismo più spicciolo e casalingo. Per dissipare la nebbia ideologica che ha impedito di capire la portata più autentica del suo “Unico”, bisogna seguire quel filo di Arianna steso lungo il tortuoso percorso della sua opera, oltre le citazioni e i confronti con le filosofie altrui, oltre le invettive contro ogni forma di sacro, per approdare infine all’ “essenza”(scusami Max) delle sue intuizioni: l'”Unico” è il frutto cosciente, deliberato, perpetrato e ricercato di oltrepassamento di qualsiasi forma di oggettività e soggettività del cogitare umano. Il rifiuto di qualsiasi forma di dualismo. Tentativo perfettamente riuscito. Il nostro non si nasconde proprio, lo dice a chiare lettere, è che siamo noi, imbevuti di dogmi, a non accorgercene : <Come si può voler sostenere della filosofia che abbia portato libertà, dal momento che non ci ha liberati della schiavitù dell’oggettività(l’Unico e la sua proprietà pag.239) <Quando Fichte dice: l’Io è tutto, sembra che ciò si armonizzi perfettamente con quello che enuncio io. Non è vero che l’Io è tutto: è vero solo che l’io distrugge tutto, e soltanto l’io che dissolve se stesso, l’io che non è mai Essente, l’io finito, è veramente io. Fichte parla dell’Io assoluto, io invece parlo di me, dell’io caduco.(ibid.pag.457)