Archivio mensile:Novembre 2017

La principessa dall’orchidea nera.

Di Fausto Carloni

….dormo a Larache in un
campament per turisti. Mi fermo spesso qui. Gratuito, ci
sono bagni puliti (rarità in Marocco) e un ristorante self
non troppo caro. In mattinata parto ed è il primo pomeriggio
quando passo sia Rabat che Casablanca. Di solito evito i
grossi centri vuoi per il traffico, vuoi per quel pò di
insicurezza che la massa ti da. Non in tutte le parti ma la
violenza è frutto a volte anche di una compressione altrui.
Scelgo la strada della costa quella di El-jadida, bella
cittadina di stile portoghese. Dormo in qualche parcheggio e
la mattina, dopo una buona colazione, parto alla volta di
Essaouira. Sono innamorato di questa città e non sono certo
il solo. Prima o poi mi ci fermerò un pò di tempo, almeno
qualche mese a scrivere e pensare. Vedremo….i buoni
propositi non mancano ed ogni volta che passo qui si
rafforzano (certo come dice un’altro maestro ci va il
tempo che ci va…tutto il tempo che
ci va..). Mi fermo 2 giorni. Vado all’ammam (specie di
bagno turco ). Sono un grande estimatore di questo
piacevolissimo luogo. Quando esci ti senti stanco, di quella
stanchezza rigeneratrice che ti fa sentire pulito e fresco.
Ho tempo, quanto non lo so poiche non ho impegni ma affetti,
per una madre anziana, parenti e amici a cui sono molto
legato. Il non lo so dipende come sempre da voglie, momenti
e situazioni. Non ho ancora deciso sulla principessa e non
dipende solo da me, spero solo che l’orchidea non
appassisca….e poi ritrovarla con le poche indicazioni che
ho…vedremo. Da molto non ho piu aspettative, questo vuol
dire che non avrò delusioni. Naturalmente è la parte
razionale che pensa cosi ma poi c’è tutto il
resto…… con tutte le aspettative del mondo. Qui apro una
lunga parentesi. Un viaggio del genere non si fa per una
donna o meglio per gli africani, è impensabile una cosa del
genere. Anche da noi i nostri nonni partivano per
migliorare le loro condizioni e il dettaglio di un
rapporto era solo la spinta in più. Cosi è per i tanti
africani che vengono qui (esistono sempre eccezioni in ogni
situazione). Questo vale sia per donne che per uomini. Siamo
strumenti dell’inevitabile uso e consumo per raggiungere
scopi. Che poi essere usati ci piaccia, ci fa comodo, ci
consapevolezzi ecc. è un’altra cosa. Nella razionalità
del dopo istinto, del dopo infautamento si valuta la
convenienza. Cosi ci si adegua ai rapporti di comodo. Col
tempo stima, fiducia e complicità si rafforzano, se cosi non
è beh…diventa quasi inevitabile la scissione. Facile
parlare o scrivere in generale poi ti trovi davanti a scelte
e li arrivano tutte le problematiche di un vissuto, di una
formazione, di un condizionamento sociale e culturale.
….tutto questo marasma di pensieri mi assale mentre da
Essaouira vado ad Agadir. Sono meno di 200 km ma la strada
è stretta e gran parte curvosa. Ai lati
km di piante di argan. Prima di arrivare ad Agadir si
intravedono zone piene di camper. Il clima qui è
ottimo tutto l’anno. Posto ideale per svernare. Mi fermo
una notte in città e parcheggio a fianco di un casinò. La
città non è molto grande ma vuoi per il clima, vuoi per la
tranquillità, è la meta piu gettonata dalle agenzie
turistiche. Qui vieni a riposarti e divertirti. La nostra
Rimini meno confusionaria. La scelta del parcheggio non è
un caso. Esco con un centinauio di euro in piu. Mi
basteranno per arrivare fino alla Mauritania( da qui ci sono
circa 1800 km) . Quando viaggi solo hai il fascino del
filosofo. Mentre lo fai, oltre le irrisorie problematiche
personali, sviluppi un modo di pensare profondista. Poi la
variante è caratteriale. Se sei ottimista fa futuristica e
la progettistica è rosea, se no……le difficoltà di un
bicchiere mezzo vuoto. Di solito il viaggiare rende realisti
facendoti acquisire la giusta misura che
pur personale è. Sono partito da Perugia dopo un incidente
stradale. Mi era venuto addosso uno scuterone che non aveva
fatto lo stop e mi aveva acciaccato la parte anteriore
destra. L’assicurazione mi aveva pagato e avevo deciso
di ripararlo qui in marocco poichè piu economico. Entro a
Dakhla e vado da Amed, carrozziere tuttofare conosciuto nei
precedenti viaggi. Ci accordiamo poi vado in dogana dove mi
rilasciano i documenti necessari ( non potrei uscire dal
paese senza il mezzo che è stato registrato in entrata) ed
ora vado a cercare un passaggio che mi porti in Mauritania.
Dakhla è l’ultima città marocchina e qui partono i
convogli scortati dai militari fino alla frontiera. Ai tempi
della guerriglia tra Marocco e fronte del Polisario (braccio
armato dei Sarawi) avevano minato la pista che portava al
confine, cosi dopo la fine del conflitto avevano provato a
disinnescare la strada, ma i rari mezzi che passavano a volte
subivano spiacevoli inconvenienti.
Ogni tanto qualche d’uno saltava. Poi con
l’apertura della frontiera avevano fatto i convogli con
scorta militare che partiva 1 volta la settimana (poi due
con l’aumentare del traffico) da Dakla. Per lo piu
pegiottari (sono coloro che vanno a vendere mezzi in africa
nera, ultimamente sono pochi. Non c’è piu guadagno,
ma tra metà anni settanta e fine anni ottanta vi era un
traffico notevole. Allora si passava per l’Algeria ed
era l’unica pista percorribile per arrivare in africa
nera via terra, ma anche rari turisti e avventurieri.
Avventuriero, strano termine da definire. Credo che rientri
in molte categorie: turisti, curiosi pellegrini, viaggiatori
ecc. però come parola è disprezzativa cosi almeno a me
sembra che sia catalogata. Invece credo che sia il
contrario…..non so. Si parte insieme all’uscita della
città dopo lungaggini burocratiche che durano ore e ore.
Una jeep militare ci accompagna per oltre i 350 km di
strada. Di solito ci si
impiega 2 giorni per arrivare e la notte si fa campo a metà strada circa.
Sono in un camion camper con tre ragazzi
tedeschi che vogliono andare in Camerun. Sono qui per la
prima volta. Silenziosi, gentili e discreti come lo sono la
maggior parte dei giovani tedeschi che incontri sulle strade
del mondo. Devo dire che sono quasi sempre disponibili a
darti una mano in caso di difficoltà. La notte, quando si
fa campo, si socializza e si ascoltano le tante storie
che il Sahara crea. Non ci sono italiani nel convoglio ma
due marocchini che vanno a consegnare la macchina in
Mauritania (noadhibou prima città che si incontra dove il
mio collega e predecessore ….bella
questa…. sant-exupery aveva casa) parlano italiano.
Viaggiano su una mercedes nuova e qui i traffici di macchine
sono tanti. Partono da Casablanca dove arrivano
dall’europa (alcune rubate, altre prese con i leasing e
poi denunciate per furto, altre taroccate e cosi via..) e
poi spedite con uno o due autisti in Mauritania dove i
controlli sono molto blandi e addomesticabili. Quando
arriviamo a Noadhibou è notte e dormiamo in un campeggio.
Il giorno dopo ci salutiamo con i ragazzi tedeschi con cui
sono venuto. Di solito si pagano i passaggi in quasi tutta
l’Africa ma loro non vogliono nulla. La prima volta che
sono capitato qui ero con il mio autobus e un gruppo di
persone. Volevamo girare un film sul rientro delle ceneri di
un africano che, morto e cremato in Europa, dovevano essere
sparse nella sua terra. Giovanni Makoschi aveva scritto la
sceneggiatura e tra i vari intenti di quel viaggio ( mostra
pittorica di Carmen e Tia giovani diplomate all’istituto
d’arte di Perugia, spettacoli teatrali di un gruppo di
Bologna, musica e canto di una coppia di
marchigiani-puglesi) avevamo quello di consegnare una
lettera e un pacco ad uno dei fratelli di Kadijia, una donna
sarawi che viveva in esilio a Livorno come rifugiata politica. Non
avevo messo tutti al corrente di questa consegna poiche era
una situazione particolare e non volevo coinvolgere altri in
questa piccola missione. Vi erano duri controlli delle
autorità marocchine su tutto quello che riguardava i
sarawi. Vi erano ancora strascici bellici e come spesso
avviene con le varie fazioni in conflitto di potere. Faceva
l’infermiere all’ospedale spagnolo. Con Carmelo (era
venuto a Livorno con me) andiamo a cercarlo. Ci invita a
casa sua dove ci fermiamo a mangiare e parlare. Ci racconta
la storia del popolo sarawi e ci fa conoscere quello che era
definito il capo delle armi del fronte del Polisario. Ogni
volta che passavo li’ ero ospite di qualche d’uno. Anche
quella volta dopo la notte al campeggio vado da lui. Saluti,
the, cuscus e tutto il repertorio dell’ospitalità. La
sera dopo sono invitato ad un matrimonio sarawi. Canti,
festa con orchestra venuta dalla capitale. I mauri sono la
razza dominante del paese. coloro che
decidono. Uno dei regali alla giovane sposa era una
ragazzina di circa 12 anni di pelle nera che avrebbe vissuto
la vita aiutando la sposa in tutto. Questa forma di
schiavitù (secondo loro) permetteva di far uscire quella
ragazza dalle forti difficoltà di sopravvivenza. Non so
giudicare. Usanze e condizioni di un paese sono difficilmente
capibili da formazioni culturali diverse.
Dopo tre giorni parto. Arrivo a Novaschot dopo due giorni pieni.
Sono circa 400 km di pista vera dove se il gruppo è
compatto si superano le difficoltà (insabbiamenti ed altro)
con allegra fatica. Qui il gruppo si scioglie. Prendo una
piccola stanza in hotel e conto di riposarmi qualche giorno
e poi andare in Senegal. La sera esco per mangiare un
boccone poi andare in un locale a curiosare
e………………la vedo come un miraggio che si
concretizza. è senza l’orchidea in mano e mi saluta
come se avessimo un appuntamento. La casualità, il
fatalismo sono proprie di questa
terra che sembra non stupire i suoi abitanti. Mi racconta
che vive li da due mesi dove era arrivata con un francese
che gli aveva promesso di portarla in Francia. Poi lui era
dovuto rientrare e non poteva o voleva portarla con se. Il
destino di molti, che illusi da aspettative che, senza
tenacia, convinzione e fortuna si perdono nei meandri della
difficoltà oggettive ( documenti soldi volonta altrui ecc).
Mi presenta a tutti come il suo uomo. Passo all’hotel
dove prendo lo zaino e mi trasferisco a casa sua. Vive in
una casa all’africana all’interno di un cortile dove
ci sono varie stanze fatte di paglia e fango e affittate a
non troppo. Stiamo li cinque giorni. Ci conosciamo meglio.
Bella, intelligente, in gamba, dignitosa, fiera e tantissime
qualità. Ma non scatta quella molla che supera la paura
della responsabilità. é l’alba quando ci lasciamo con
l’affetto profondo di persone che si stimano molto. Lo
so che sarebbe la persona giusta per
vivere una vita con fiducia ma in questo caso la paura è
piu forte. Finisce qui la storia della principessa
dall’orchidea nera. Una storia di…se…se…se che a
volte torna in mente come molti altri ricordi…

 

L’estetica del semplice

Di Roberto Fioroni
Forse perché non mi è ancora passata la crisi dei cinquant’anni ma provo,
sempre più spesso, una irrinunciabile necessità interiore di godere di
immagini semplici in un mondo che ci propone, con intensità crescente, una
sovrabbondanza di immagini sofisticate, ad alta definizione, spesso troppe e
troppo dense per i nostri sensi.
Oltre alle immagini il mio fastidio lo sento anche per tutto il complesso di
stimolazioni che interessano i nostri sensi, a partire da quello meno
ancestrale e più sofisticato, adatto ai nostri tempi, che è la vista. Anche gli
altri sensi vengono spesso coinvolti, come ad esempio l’udito con i rumori.
Questa sovrabbondanza o ridondanza è provocata in genere dai mass
media, e allora mi tocca di coinvolgere in questo discorso McLuhan e la sua
geniale distinzione tra mass media caldi e freddi: per essere semplicisti i
mass media freddi sono quelli poco ricchi di particolari e di stimoli, nel caso
specifico veniva presa come esempio di medium freddo la televisione di
allora, cioè degli anni ’50, che era sgranata, in bianco e nero, con suoni poco
limpidi; a questo punto il genio di McLuhan ci spiegava che la mancanza di
definizione era completata dai nostri sensi, dalla nostra fantasia, dalla
percezione della buona forma; perciò un medium freddo ci consente una
maggiore partecipazione emotiva, una stimolazione maggiore della nostra
fantasia, oltre a un maggiore senso di pace. E’ questo il punto fondamentale,
non abbiamo una necessità continua di immagini definite, ricche di particolari,
ridondanti di colori e di forme; non abbiamo questa necessità in nessun
campo e anche nell’estetica, nell’arte e nell’architettura. In proposito mi
ricordo di un trittico di quadri dipinti solo di colore bianco su tela bianca,
esposti al Centre Pompidou a Parigi, in mezzo ad una moltitudine di opere
variopinte; questi tre quadri bianchi, con cornice bianca, mi sembra di
ricordare che furono “dipinti” da Christo, il celebre impacchettatore di
monumenti. Penso che abbia voluto suggerirci una pausa, un vuoto, un
momento di silenzio, come il bianco tra le lettere, inframezzato in un
marasma di stimoli eccessivi. In architettura il migliore concetto di semplice
avviene con l’uso del vuoto, come ad esempio la piazza, o nel paesaggio una
radura tra i boschi; oppure per fare un esempio a noi vicino, cioè nella nostra
Perugia di oggi, come il vuoto sotto gli archi di un edificio, che non andrebbe
mai riempito; infatti vi sembra una buona operazione estetica andare a
riempire, con altre note musicali, le pause di silenzio di una vecchia sinfonia?

Commento di Massimo 21-11-2019

Riprendo questo vecchio articolo perche’ sento il desiderio di approfondirlo,visto che
nasconde,anzi per dir meglio abbozza, uno degli aspetti che piu’ hanno influenzato le
mie ricerche intellettuali, e che a buon diritto costituisce il problema per eccellenza
con cui ci confrontiamo agli estremi confini del pensiero umano:il Nulla.
Quando si parla di vuoto l’accostamento sorge immediato e l’autore dell’articolo ne parla
compiutamente alla fine del pezzo, in riferimento ad arte ed architettura, abbozzando
anche l’importanza delle pause in ogni forma di comunicazione.Per l’approfondimento mi avvalgo di uno stimolante allegato scovato nella rete a firma di Gianfranco Bertagni, un gigante erudito,
in fondo non molto conosciuto,ma che merita di esser letto con attenzione.Tralascio dell’articolo la parte dedicata all’impatto del Nulla in filosofia, che ha dato luogo a fiumi di pensieri di eccelsi filosofi antichi e moderni, sfociati nel moloch in cui ci confrontiamo ancora oggi: il Nichilismo.

La parola a Gianfranco Bertagni:

Il silenzio dell’arte

L’arte è un mezzo per esprimere ciò che si sente: poichè in condizioni dapprima eccezionali,
e poi sempre più comuni, il sentire di alcune `civiltà’ è l’alienazione, il nulla ha acquistato
un ruolo consistente nelle loro rappresentazioni artistiche.

Parole
La prima apparizione letteraria del nulla è forse nel libro ix dell’Odissea : dopo essere rimasto
intrappolato nella grotta di Polifemo con i suoi compagni, Ulisse (Odisseus: OdnsseuV) dice astutamente al ciclope di chiamarsi Nessuno (Oudeis: OudeiV),1 e lo acceca; quando gli altri ciclopi accorrono alle urla di Polifemo e gli domandano se abbia bisogno di aiuto, egli risponde che Nessuno gli sta facendo del male; l’equivoco impedisce loro di aiutarlo, e permette invece ad Ulisse di attendere l’occasione propizia per fuggire.

In seguito il nulla divenne una costante di riferimento della letteratura tragica: dai classici greci che lo subirono nell’amaro destino, ai romantici ottocenteschi che lo corteggiarono con nostalgica malinconia.
In casa nostra un campione di questo atteggiamento fu Giacomo Leopardi, nel cui canto Ad Angelo Mai il nulla affiora come immagine universale: della condizione umana
(a noi presso la culla, immoto siede, e su la tomba, il nulla'', 74-75), della conoscenza (discoprendo, solo il nulla s’accresce”, 99-100), e della realtà stessa
(ombra reale e salda ti parve il nulla'', 130-132). E sul tema egli ritornò frequentemente, da La ginestra (questo globo ove l’uomo è nulla”, 172-173) allo Zibaldone (il principio delle cose, e di Dio stesso, è il nulla'';tutto è nulla al mondo, anche la mia disperazione”; “è un nulla anche questo mio dolore”).

Nella direzione opposta alla tragicità, i nonsense di Lewis Carroll mostrano invece come il nulla possa avere effetti comici devastanti. In Alice nel paese delle meraviglie ad Alice viene offerto del vino inesistente; il gatto del Cheshire svanisce lentamente, fino a che non ne rimane nulla se non il ghigno; e la regina pretende che si decapiti la testa del gatto, benchè essa non abbia un corpo. In Attraverso lo specchio dapprima il Re Bianco si stupisce che Alice abbia la vista così buona da riuscire a vedere che nessuno è in arrivo; e quando il messaggero arriva senza aver superato nessuno, il re conferma che questi è stato visto anche da Alice, e deduce che
nessuno cammina più lento del messaggero, altrimenti sarebbe arrivato prima di lui.

Passando dal nulla stesso alle sue metafore, la più nota è certo il nichilismo : un termine inizialmente introdotto nel 1862 da Turgenev in Padri e figli , per indicare il rifiuto radicale dei valori stabiliti che caratterizza il conflitto generazionale. Detto dai padri, biologici o spirituali, siete tutti nichilisti'' significa dunque: non rispettate nulla” (beninteso, di ciò che noi rispettiamo''). Raccontato dai letterati, il nichilismo raggiunse il suo apice nell'ottocento nei romanzi di Dostoievski, in particolare negli atteggiamenti di personaggi quali Raskolnikov in Delitto e castigo , Stavrogin nei Demoni , e Ivan nei Fratelli Karamazov . Nel novecento il nichilismo letterario subì poi varie metamorfosi, dallagenerazione perduta” di Gertrude Stein alla “gioventù bruciata” di James Dean, per culminare infine nella letteratura esistenzialista francese dell’ultimo dopoguerra, da La nausea di Jean Paul Sartre a Lo straniero di Albert Camus.

Un altra metafora quasi scontata del nulla è il tema dell’ assenza : e le opere che parlano di qualcuno che non c’è o non arriva abbondano, dai Sei personaggi in cerca di autore di Luigi Pirandello all’Aspettando Godot di Samuel Beckett.

Altrettanto immediata è la metafora dell’ombra : dalla Storia straordinaria di Peter Schlemihl di Adelbert von Chamisso,del 1812, a Peter Pan e Wendy di James Matthew Barrie, del 1911, sino al film Luna e l’altra di Maurizio Nichetti, del 1997,
si narrano le avventure di ombre che si staccano dai rispettivi corpi e acquistano vita propria
.

Una terza ovvia metafora del nulla è il buco . Nell’era elisabettiana con `nulla’ si intendeva più precisamente quel buco primordiale e prototipale che è la vagina: il che permise allora a William Shakespeare di descrivere le tresche amorose come Tanto rumore per nulla , e permette a noi ora di annettere ai discorsi sul nulla buona parte della letteratura mondiale
. Rimanendo però più sul letterale, come opere sui buchi si possono citare: Il tunnel di Dürrenmatt, del 1952; Yellow submarine di George Dunning, del 1968, che è il viaggio dei Beatles nel mare dei buchi; e Chi ha incastrato Roger Rabbit di Robert Zemeckis, del 1982 (in entrambi i film al momento opportuno dei buchi vengono estratti da una tasca provvidenziale, e applicati al muro per permettere la fuga in situazioni disperate).

Se però assenze, ombre e buchi sono metafore letterarie del nulla, solo il silenzio ne è la realizzazione letterale.
Il silenzio della mente è stato elogiato da Socrate
(tutto ciò che so è che non si può sapere nulla'') e da Chuang Tzu (il vero sapere è sapere che ci sono cose che non si possono sapere”). Al silenzio della bocca hanno invece incitato memorabilmente Lao Tze con il chi sa non parla, chi parla non sa'' (Tao Tze Ching , lxxxi), e Wittgenstein con ilsu ciò di cui non si può parlare, si deve tacere” (Tractatus , 7). Quest’ultimo era però
già stato anticipato e superato nel 1786 da Lorenzo da Ponte, librettista delle Nozze di Figaro : di fronte all’accusa di essersi ispirato ad un’opera di Beaumarchais bandita dalla corte, egli si era infatti giustificato sostenendo che“su ciò di cui non si può parlare, si può cantare”, suggerendo che le limitazioni del linguaggio possono essere superate da una sua estensione quale il canto, che non è solo linguaggio (essendo anche musica).

Una realizzazione pratica del silenzio può essere l’opera letteraria non stampata, non terminata o addirittura non scritta, di cui esistono svariati esempi: i grandi profeti, da Socrate a Cristo, hanno solo parlato; il famoso secondo libro della Poetica di Aristotele forse non è mai stato scritto; libri certamente mai scritti sono stati recensiti da Jorge Luis Borges
in Finzioni , e da Stanislav Lem in Vuoto perfetto ; Marcel Bénabou ha analizzato la sua inesistente produzione inPerchè non ho scritto nessuno dei miei libri , di cui viene detto e ripetuto che non è un libro; Suburbia , di Paul Fournel, è un’opera completa di prefazione, introduzione, note, postfazione, indice ed errata corrige,ma non di testo; gli ultimi due capitoli, il xviii e il xix, del Tristam Shandy di Laurence Sterne consistono di fogli bianchi, così come il Saggio sul silenzio di Elbert Hubbard, la monografia Serpenti delle Hawaii dello Zoo di Honolulu,
e il The n \bigcircthing book che viene venduto negli Stati Uniti.

Suoni
Se nella musica, secondo Da Ponte, il canto può essere considerato una forma paradossale e metaforica di silenzio, la pausa ne è una versione letterale, e svolge nella notazione musicale un ruolo analogo a quello dello spazio fra parole nella scrittura moderna (nella scrittura antica, così come nel parlato, le parole non sono staccate fra loro),
o dello zero nella notazione numerica. A differenza di questa, però, in cui le ripetizioni di 0 sono indicate per esteso, in musica ci sono otto tipi di pause (breve, semibreve, minima, semiminima, croma, semicroma, biscroma, semibiscroma),
ciascuna di durata doppia della seguente: esse possono essere seguite da un punto (che ne moltiplica il valore per 1,5), o sovrastate da una corona (che ne prolunga il valore arbitrariamente), ma non collegate da una legatura.

La composizione musicale che ha più sfruttato il silenzio è 4’33” di John Cage, che si articola in tre movimenti:30” , 2’23” e 1’40” . La durata totale è di 273”, che sono un esplicito richiamo ai -273° di quell’altra forma di nulla che è lo zero assoluto, a cui ritorneremo più oltre. La poetica di Cage era comunque non tanto quella di suonare il non suono, quanto di mostrare che il silenzio assoluto non esiste, o almeno non è purtroppo di questa terra
(come il regno dei cieli): una qualunque esecuzione del silenzio si scontra infatti contro gli inevitabili rumori di fondo dell’ambiente e del pubblico, ed è dunque una pratica dimostrazione della propria teorica irrealizzabilità.

Il passo successivo al silenzio puro è la composizione con un solo suono: essa è stata realizzata nella Sinfonia monotona di Yves Klein, del 1947, che consiste di un lungo suono continuo seguito da un lungo silenzio. L’idea in questo caso è che un suono prolungato o ripetuto finisce per essere rimosso dall’apparato uditivo, e diventa dunque a tutti gli effetti
un analogo del silenzio; viceversa, la mancanza di un suono o di un rumore a cui ci si è abituati viene invece percepita effettivamente, come se fosse un suono.

Anche il rumor bianco , che si ottiene per somma di tutti i possibili suoni, è una forma di silenzio. Matematicamente, la possibilità di ottenere il silenzio dalla composizione di suoni è una versione del fatto che la funzione costante di valore 0 si può scrivere in serie di Fourier, come somma di funzioni sinusoidali di varia ampiezza e periodo.

Immagini
Come il silenzio è l’assenza di suono, così il color nero è l’assenza di colore, e il buio è l’assenza di luce. All’estremo opposto, analoghi del rumor bianco che contiene tutti i suoni sono invece il color bianco e la luce , che contengono tutti i colori (come mostra l’esperimento del prisma che decompone la luce bianca nello spettro delle varie lunghezze d’onda corrispondenti ai vari colori).

Il ruolo della pausa nella musica è preso nella pittura da porzioni del colore di fondo del foglio o della tela su cui si disegna o si dipinge, e analoghi del silenzio sono i quadri non dipinti di Lucio Fontana, che alla mancanza di pittura uniscono anche buchi o tagli che rappresentano il vuoto. Alle composizioni ad un solo suono corrispondono invece le tele monocrome bianche, nere o blu di artisti quali Robert Rauschenberg, Ad Reinhardt e Yves Klein.

Naturalmente, qualunque raffigurazione pittorica (e, più in generale, iconica 2) è un simulacro del nulla: anche se le immagini sulla tela pretendono infatti di rappresentare qualcosa, non per questo esse cessano di essere segni, e dunque niente di ciò che è rappresentato. Il concetto è stato espresso in maniera memorabile da Magritte con Il tradimento delle immagini : un disegno di una pipa con la scritta Ceci n’est pas une pipe ,ad indicare da un lato che la scritta non è la raffigurazione, e dall’altro che la raffigurazione non è l’oggetto raffigurato. E proprio sull’ambiguità tra i vari livelli si giocano i giochi delle rappresentazioni apertamente
paradossali del surrealismo, così come delle rappresentazioni apparentemente consistenti dei paradossi percettivi alla Escher.

Dopo questo vertiginoso sfoggio di erudizione,lascio spazio alla pagina bianca che vi dara’ modo magari di approfondire qualcuno degli Autori citati enciclopedicamente da Bertagni, dopo che vi sarete presi una giusta…”pausa”.

Magritte

IL Personale è politico

Di Roberto Monchieri

Sono passati, anzi volati 40 anni dal 1977, è quindi il momento di piccole riflessioni o ricordi su un periodo denso di emozioni.
Ero qualche anno prima militante di ” Lotta continua ” che in quegli anni si stava sfaldando. Alcuni compagni ritenevano importante smettere con le chiacchere e passare all’azione, Altri come me avevano scoperto che l’ideologia e il far parte di un’organizzazione gerarchicamente strutturata era in qualche modo una schiavitù che imbrigliava la capacità di pensiero e giudizio autonomo.
Avevamo scoperto che (cosi si diceva con uno slogan in quel periodo ) IL PERSONALE é POLITICO,  in poche parole basta negare il sè in nome di un concetto  superiore come l’idea di rivoluzione. Tutte queste idee fluttuavano nell’aria, era una grande fucina in piena operatività.
Il giornale Lotta continua negli ultimi periodi prima della chiusura era diventato un centro di dibattito vivo attraverso le moltissime lettere che arrivavano al giornale e venivano pubblicate senza censura. Dibattito sulla propria vita, sull’amore , sul nuovo modo di immaginare il lavoro, sui rapporti tra compagni , sulla rivoluzione, sui rapporti tra i sessi, sull’omosessualità e su tantissimi altri argomenti.
Ricordo con grande emozione le giornate di quella che chiamavamo l’occupazione di Bologna poi culminata in una grande manifestazione. Non ci eravamo arrivati come organizzazione, ma come gruppi di compagni, di amici festanti . Una sensazione di risveglio generale che esplodeva nelle varie assemblee, in interventi di compagni di base non solo di dirigenti. Ci sembrava di aver instaurato il contropotere in città.
In quel periodo a Milano alcuni compagni, tra cui Mauro Rostagno, (poi ucciso dalla mafia in Sicilia), avevano affittato un grande stabile ex industriale, forse un ex magazzino del Corriere della sera , e nacque MACONDO, un posto meraviglioso in cui trovavano posto un sacco di iniziative culturali, attività economiche di alcuni compagni, cineforum, spettacoli teatrali , musica di gruppi nuovi , bar, thea room, massaggi, joga,e tanta creatività.Si stava distillando una nuova maniera di vivere e di pensare anche i rapporti umani. Ovviamente venne chiuso con la scusa della droga. IL POTERE è MOLTO ATTENTO AL PERICOLO DEL NUOVO NON CONTROLLATO.
Qualcuno può pensare che quel periodo ha generato un negativo riflusso nell’individualismo ma non è vero, non è del tutto vero. Quando ci incontriamo tra amici/compagni di quel periodo vedo che ancora brilla sotto la cenere la brace del libero pensiero e nella voglia di confrontarci ci riconosciamo.
Ovvio che queste sono i miei ricordi, le mie emozioni di quel periodo. Se interrogate quelli che poi chiamammo i “militonti ” o i fautori della lotta armata vi diranno altro.

L’uomo nel Reale. Il falso mito dell’ illimitatezza umana.

 

Di Massimo Chiucchiu’

 

L’uomo é l’essere confinario che non ha confini.
Il paradosso di Georg Simmel fotografa molto bene la realtà
psico-fisica dell’uomo di oggi. Se da una parte apparteniamo
ad una specie che si muove con meccanismi biologici simili
a quelli di tante altre specie, con cui condividiamo lo stesso
ambiente, per altro verso siamo completamente diversi dagli
animali, anche quelli più vicino a noi, come le scimmie antro-
pomorfe che si situano completamente entro gli spazi naturali
che si sono conquistati con la lotta per la sopravvivenza.
Una delle caratteristiche, se non la più importante della nostra
eccentricità, consiste, oltre che ad avere una coscienza, cosa
peraltro comune in altre specie, in quella particolare
capacita’ di mettersi nei panni degli altri, di condividerne le
emozioni per meglio capirne le intenzioni. Si chiama
empatia e rappresenta un marchio di fabbrica della specie uomo.
Ne abbiamo fatto oggetto di studio in molti incontri del Gruppo
di lettura dell’anno scorso, studiando il metodo Rogers in
psicologia e diversificandola da concetti simili come simpatia e
compassione.
Se negli animali superiori i rapporti interspecie si stabiliscono con
variegate ritualizzazioni, come le danze di corteggiamento sessuale,
oppure abbassando lo sguardo o mostrando l’addome al culmine della
lotta, nell’uomo la questione si fa più complessa.
Le relazioni umane non soggiacciono ad alcun rituale istintivo codificato,
l’interazione approda nel circolo culturale umano arricchendosi di
connotati nuovi e sconosciuti in natura.
La capacità empatica, unita alla nascita di un linguaggio dotato di
semantica, ha fatto si’ che la specie homo sapiens si sia trovata nella
condizione di scrivere le pagine del proprio destino al di là dei rigidi
protocolli biologici.
Ma e’ proprio cosi’?                                                                                                                                          

Intanto appare piu’ chiaro il paradosso di Simmel: diversi da tutti gli altri
Esseri che popolano la terra, con cui abbiamo rapporti incidentali, come
un inquilino che viva in un pied-a-terre, con ingresso autonomo, ci
muoviamo liberamente dentro e fuori l’appartamento misurando i passi
che ci separano da qualsiasi destinazione. Gia’ sogniamo di andare via
da quel palazzo in cui conviviamo con altri che neanche conosciamo.
Eppure e’ chiaro che viviamo nel migliore dei mondi improbabili,
circondati come siamo da un’ entropia negativa indirizzata alla morte
termica. Ci confrontiamo con stelle lontane con temperature inimmagi-
nabili rispetto al nostro quotidiano o con attrazioni gravitazionali che
fermano il corso della luce e del tempo.
I limiti dell’umano, ora che la scienza ci ha spalancato le finestre delle
galassie, sono incontestabili. Viviamo in una nicchia esotica dell’ Universo,
alla mercè del “caso e della necessità”, come ebbe a dire il premio nobel
Jaques Monod.
Se biologicamente il limite appare essere un fatto, cosi’ non pare per la
nostra natura “culturale”.
Se l’eccentricità, quel mettersi nei panni dell’altro, quell’estraniarsi da sè
stesso, che crea i presupposti per (ri)trovare i propri limiti, o per meglio
dire la propria misura, tanto cara alla filosofia greca, se dunque, l’empatia
si è tradotta per lunghi millenni in vantaggio nella lotta per sopravvivere,
permettendo l’interazione umana, la nascita dei gruppi sociali, la nascita
del linguaggio semantico e, in definitiva, la genesi della cultura, tutto questo
ha, metaforicamente, nascosto la faccia oscura della medaglia.
Non essendo piu’ ancorato ad alcun supporto naturale,oggi il linguaggio si è
fatto carne (All’inizio fu il verbo….recita un celebre salmo), i concetti sono
diventati fatti, il denotativo trasla in connotativo, l’analogico in digitale.
La parola acquisisce esistenza propria, acquisendo la capacita’ di
albergare nei nostri cuori e nelle nostre menti, il medium diventa
messaggio, diventando infine il nostro piu’ fedele alleato, piu’ amico
dei nostri stessi consanguinei.
Possiamo cosi’ tranquillamente parlare di concetti che nessuno, dico nessuno,
ha mai provato nè visto, come il nulla, la morte, l’infinito. A niente sono valsi gli
ammonimenti dei presocratici. Apeiron in Anassimandro era il nulla da cui tutto
nasceva e a cui tutto tornava, ma non era oggetto dell’ossessione totale di
controllo, tipico della cultura moderna. La ricerca di senso, tipica del linguaggio,
tracima fino a cercare verità sempre provvisorie inerenti oggetti non reali.
Il linguaggio si parla addosso.

Il limite è solo un ostacolo da superare per tendere continuamente verso una
linea di orizzonte che appare piena di aspettative; il tempo non è circolare, ma
una freccia lanciata verso un futuro radioso od ostile.
Nel secolo breve, Nietsche, con febbrili parole, proclama la morte di dio.
Cio’ non fa che peggiorare le cose. Non trovando piu’ alcun ostacolo nei divieti
e precetti ecclesiastici, la fede trasla dalla Chiesa alla Scienza e tecnologia,
anche qui trovando un gigante d’argilla e gli stessi tristi epigoni. Come non ricordare
padri della scienza come Newton, Darwin che appartenevano alle gerarchie religiose.
In fondo il disegno divino, il teleologismo e’ duro a morire se anche Einstein si lancia
nella famosa invettiva: ” Dio non gioca a dadi con l’Universo!”
Ma, ahinoi, nessuna legge della natura e’ scritta nel linguaggio matematico, esistono
solo interpretazioni e manipolazioni da parte del soggetto che ha preso il posto di
dio:l’osservatore.

 

Ma noi non siamo qui per osservare, noi siamo qui per vivere, a dio e agli uomini
piacendo. E soprattutto vivere in mezzo agli altri, secondo le proprie attitudini.
Ma l’uomo e’ smarrito, non sa trovare in sè la casa perduta. Avido di infinito, di
teorie del tutto, non accetta l’ombra, il mistero laico che in passato ha reso rotonda
la sua vita. L’uomo ha perso dio, ma ancora ha gambe gracili per camminare o anche
solo per stare in piedi.
Il sentimento che ci pervade in questo mondo popolato di simboli non e’ più quello della
paura ma dell’angoscia, che è la conoscenza della nostra paura.-Questa, ed altre
emozioni fondamentali, non possiedono alcun meccanismo d’arresto
biologicamente evoluto – (J. Jaynes…Il crollo della mente bicamerale…)
Che fare?
Spezzare le” ragioni” che ci portano alla paura e all’angoscia e lasciare fluire liberamente
la vita che ci e’ data e che e’ puro fatto, non interpretabile e che si svolge in un eterno
presente. A volte mi abbevero alle parole di un grande assente della cultura italiana e che
dovrebbe essere un po’ più conosciuto:
L’uomo si trova di fronte al reale come di fronte a
una combinazione di casi avuti per sorte. Questa discontinuita’ prima e radicale nulla puo’
obliterarla. L’idea di accordare i due regni, l’uomo e il mondo, è l’errore degli errori.
Di qui l’inutilita’ di pensare i fatti singoli, non si possono pensare i fatti, ma solo le strutture,le  costanti, i tipi, le concatenazioni. Si possono solo sentirli i fatti. patirli………..
(Nicola Chiaromonte- ( Cosa rimane-Taccuini, pag. 66-67)
ed ancora:
L’equanimita’, la serenita’, la capacita’ di vedere impassibilmente le vicissitudini umane
come degli “oggetti” naturali situati in uno spazio a tre dimensioni…….tale equanimita’
e serenita’ vengono innanzitutto dalla semplicissima constatazione greca: l’uomo
è mortale. L’estremita’ della condizione dell’uomo sta in questo, e la sua dignita’ anche,
nè può stare altrove………..Questa estremita’ fonda il sentimento dell’uguaglianza degli
uomini,degli esseri umani, quale nessun Rousseau ha mai concepito cosi’ profonda……
Giacchè nella mortalita’ e’ insito il fatto del limite……(ibidem, pag.32-33).

Anche il mondo umano delle idee appare in Chiaromonte chiuso fin
dalla sua origine, non potendosi incontrare l’uomo con il mondo, se non attraverso
“le strutture, le costanti, i tipi”. Ma l’ uomo persegue “l’errore degli errori”,
cercando sempre un impossibile mediazione dove niente e’ in rapporto,
mancando sempre l’incontro con la realta’, che appare essere sempre un passo
piu’ in la’, sempre sfocata. Piu’ che illimitato l’uomo appare carente, addomesticato
ad una vita artificiosa, sempre lontano dal flusso vitale. La “spontaneità” perduta
e’ stata rimpiazzata dalla razionalita’ e dalla logica, i confini umani sono plastici per
difetto, non certo per forza acquisita dalla sua storia. L’uomo appare
indebolito.
La vita come puro fatto, non interpretabile e non accordabile con un mondo che
appare indifferente, e’ in perfetta sintonia con i personaggi camusiani come il
Mersault dello Straniero. Chiaromonte si trova nel bivio tra Esistenzialismo e
Platonismo, cosi’ oscura e misteriosa appare la vita individuale, cosi’ perfetta e
significativa la via platonica;” Cosi’ l’utopia platonica:essa e’ una dottrina
da non mettere in pratica, consiste in se stessa, e’ fatta per rimanere dove è….
Ma stando li’ affascina,ammaestra, e’ una continua tentazione non di passare
agli atti, ma di giudicare il reale secondo quel modello…..
Quel che e’ greco e’ considerare qualsiasi forma ideale come infinitamente
distante da ogni possibile realta’…..(ibidem pag.52)
Tentazione che nel Cristianesimo diventera’ fortissima con la fondazione
della chiesa militante e governante. Con tutte le conseguenze storiche che
hanno pesato nello sviluppo delle società.