Archivio mensile:Maggio 2021

ARCHITETTURA SOCIALE.

Di Roberto Fioroni

Sul frontone del tempio di Apollo a Delfi ci sta scritto “ conosci te stesso” , Sant’Agostino riprende il concetto con un monito: non andare fuori, rientra in te stesso, è nel profondo dell’uomo che risiede la verità.
Mi ricollego ai principi dello Yoga con una frase del cinese Lao Tzu: chi conosce gli altri è sapiente, chi conosce se stesso è illuminato.
Ogni cittadino, più o meno consapevolmente affida la rappresentazione di sé e del proprio status alla apparenza visibile della casa. La stessa cosa è per gli edifici della città; nella città, come nella casa o nelle opere dei cimiteri, ciascun individuo affida il proprio desiderio di immortalità, il sentimento dell’eterno, che possa sopravvivergli, le nostre case durano almeno una generazione; altri edifici della città, con i temi collettivi, come le cattedrali, la piazza civica, il palazzo comunale, incorporano una durata senza limiti.
L’architettura sociale si contrappone alla architettura autoreferenziale con le sue esibizioni di tecnica ed estetica, queste cadono in secondo ordine se non sono finalizzate al benessere della collettività e al bene comune.
Nasce una componente “ politica”, intesa come sociale, nella progettazione a scala domiciliare e urbana. La finalità dell’architettura sociale è quella di restituire ai cittadini la possibilità di condividere i progetti e partecipare alla costruzione della città legata ai propri bisogni e aspettative; almeno la possibilità di costruire la propria casa; la città e la sua architettura sono lo specchio e la risultante della società.

RUOLO DELL’ARCHITETTO.

La casa e l’architettura della città deve saper narrare, e lo fa anche non volendo, i propri spazi e la loro genesi ( story telling ); l’architettura non deve essere alla moda, non deve fare inutili esercizi o capricci creativi. L’architetto deve evitare la vetrinizzazione, la plastificazione della vita quotidiana. Siamo all’inizio di un’era in cui le costruzioni ci fanno più paura delle rovine ( Rebecca Solnit ); le rovine sono quello che rimane della città: left over, trascurata, messa da parte, quando le intenzioni dei pianificatori, degli amministratori e degli architetti smettono di esistere; gli architetti abbandonano il progetto, una volta realizzato, la costruzione è lasciata al suo destino. L’architettura celebra spesso il potere, gli edifici sono sempre con noi, la democrazia è un fatto urbano, l’architettura è la sua arte. Fuksas dice che il problema è politico: i politici devono combattere l’ingiustizia distributiva che affligge le città, sta a i politici affrontare l’emergenza generali in cui viviamo. Gli architetti si occupano di ben altre cose, di abbellimento formale, di decoro, di cose carine, insomma. Questo è l’alibi, in un modo o nell’altro; gli architetti producono la ciliegina, il loro lavoro è sempre di più marketing dei prodotti, dei brands ( modi di vita suggeriti dall’alto ), della moda, o del turismo e dello spettacolo. Le ARCHISTAR sono artisti al servizio dei potenti, ormai delle grandi ditte economiche, stabiliscono trends adatti a stupire e a richiamare il grande pubblico con trovate che non sono nemmeno edifici, ma messe in scena, enormi cartelloni pubblicitari, sedi di agenzie di comunicazione e qualche spettacolare quartiere disneyzzato. Come la cittadina Seaheaven, perfetta, pulita, ordinata da sembrare finta:

Seaside nel Truman show

la cittadina in cui viveva Jim Carrey in The Truman Show; la storia è tratta da una intuizione di Philip K. Dick, il grande scrittore visionario di fantascienza. La città esiste davvero in California, si chiama Seaside, è la più importante comunità di vacanze dai tempi di Versailles, è la sede ideale della middle class americana; quella che può permettersi di traslocare, di vivere lontano dalla sede lavorativa, che cerca sicurezza, armonia, buon vicinato; tutto ciò che le grandi città non sono più in grado di offrire, ad un prezzo molto caro. Il capitalismo non è stato salvato solo dall’industria, siamo in una fase più avanzata: il capitalismo è stato salvato dalla finanza, dall’arte dei creativi applicata alla produzione di simulacri formali, tendenze, stili e superfici. L’archistar non lavora per la moda, diventa moda egli stesso e dunque brand, logo, garanzia per potere firmare un pezzo di città, un museo, un negozio, un’isola di Dubai ( con i suoi grattacieli senza democrazia ), tutto come se fosse una T-shirt. L’arte e l’architettura sono diventate puro spettacolo, non soltanto, si è ancora più smaterializzata per diventare l’allusione al guizzo creativo, la possibilità di acquisirne l’atmosfera: l’allure, il portamento, l’eleganza delle mosse. L’architetto garantisce che la città sia alla moda, inserita nei trends che fanno l’happening, la cornice dell’evento. Poi l’architetto ha l’alibi di non avere alcuna responsabilità, di essere un umile artista, un artigiano al servizio del potere, lasciando i problemi a quelli che dovrebbero gestirli, che non sono mai la soluzione dei problemi. L’architettura fa ancora il bene della città? In pochi anni l’85% dell’Umanità vivrà nelle città. Il settore delle grandi opere copre il 78% della corruzione mondiale, secondo l’agenzia Transparency International, associazione non governativa che si occupa della corruzione nel Mondo. Ma l’architettura può ancora avere una straordinaria funzione democratica, può essere il luogo di incontro di coloro che tentano di costruire la città più giusta. L’architettura è una professione di pensiero sul paesaggio e sulla città, un milieu intellettuale, un ambito, un contesto sociale, culturale e artistico, sensibile all’ambiente costruito e naturale. Vanno pensati luoghi di aggregazione, piazze, parchi, impianti per lo sport e lo svago, strade pedonali e ciclabili, orti: posti che consentono parità di accesso, occasioni di incontro, di integrazione sociale e di condivisione di esperienze quotidiane. Ci sono molte forme dell’abitare alternative. L’architettura spontanea, l’autocostruzione, il nomadismo urbano e non, comunità agresti e di mutuo soccorso, case per le comuni; ma non solo questo, ci sono forme semplici dell’abitare simili a quelle della cultura materiale del passato, la modernità è una tradizione ben riuscita.

Alejandro Aravena

LA BELLEZZA E L’ARCHITETTURA

Il passato: secondo i Greci la bellezza non è solo verità ma anche e soprattutto bene, il bello va con il buono. La natura, le piante e gli animali hanno il senso della bellezza, ce l’hanno i bambini e le persone ignoranti; gli architetti e gli artisti hanno un rapporto professionale con la bellezza, devono definirla, renderla esplicita e qualche volta misurarla. La bellezza che ci interessa è quotidiana, è quella del paesaggio domestico composto dal dentro e dal fuori delle nostre abitazioni., dalle strade che percorriamo normalmente, dai luoghi che ci sono consueti e cari: essa quando esiste ed è godibile da tutti, è simbolo di grande democrazia: in questo senso mi pare che abbia un valore umano e sociale incomparabile e un potere nobilitante che le attribuivano i classici e romantici.
Amare le cose belle significa provare piacere a dividerle con gli altri, la bellezza civile., il senso collettivo della armonia, dell’unità del fare. Occorre un amore disinteressato, Cicerone diceva che solo l’amante della sapienza si accosta alle cose come puro spettatore.
Se a pochi è dato il talento, di creare grandi opere, a noi tutti resta la grande gioia del FARE CON CURA ( cure giving ) , non possiamo tutti creare il sublime ma piuttosto sforziamoci di fare il piacevole: creare spazi interni ed esterni degni di essere amati, ricordati, luoghi del sentimento e della ragione.
Il bello è là dove si vede il lavoro della mente, dell’animo e delle mani.
L’architettura, come l’arte, è fatta di:
CUORE: i sentimenti, l’estetica, il ricordo, la filosofia, il chiedersi perché si fanno certe cose, la percezione della buona forma o psicologia della Gestalt, l’armonia o Kata Metron.
TESTA: il rigore scientifico, la misurazione, la professionalità, l’ingegneria delle strutture e degli impianti, lo studio della funzione, l’economia , il Sistema Qualità.
MANI: gli interventi concreti, le tecnologie, lo studio dei materiali,di come si applicano e dei loro cambiamenti nel tempo, la gestione, manutenzione e riparazione.
GENIUS LOCI: nell’antichità era la divinità protettrice di un luogo; lo spirito, il carattere di un posto, se opero in un luogo devo interagire con esso, con le sue peculiarità. Al contrario oggi nascono i non luoghi di Marc Augè, posti che potrebbero trovarsi ovunque sul pianeta.
IL PROGETTO: la scelta di infuturarsi, come diceva Dante. Provare a prevedere il futuro.
LA SOSTENIBILITA’: ci vogliono leggi giuste e condivise che evitano le azioni dannose per l’ecosistema città e paesaggio, che possano premiare le azioni che rendono essi più vivibili. I popoli moderni non sono più cattivi o stupidi di quelli del passato ma sono più confusi. Bisogna allora pensare globalmente e agire localmente, partire dalle piccole cose, dalla gente come protagonista diretto delle decisioni progettuali. From the bottom up, dal basso verso l’alto; spesso le soluzioni che vengono imposte dall’alto sono inefficaci, invece le soluzioni concordate e condivise dal basso risultano più efficaci.

LUOGO E COMUNITA’

In passato l’architettura, nata dalla tradizione locale, è stata il risultato di una perfetta armonia tra l’essere umano e l’ambiente circostante. Le strutture sono state costruite con grande economia di mezzi, con materiali disponibili localmente. Le comunità e l’architettura hanno imparato a conoscersi nel tempo, gli abitanti capivano il significato del costruire in tutti i suoi aspetti. Oggi, nelle società moderne, si tende a centralizzare e omologare il processo decisionale della trasformazione dell’ambiente; la maggior parte degli interventi urbani di grande dimensione è operata da soggetti che non fanno parte della collettività per la quale si sta progettando. I veri bisogni degli abitanti rimangono spesso inespressi e non risolti. SE LA POPOLAZIONE NON PARTECIPA ALLE DECISIONI CHE LA RIGUARDANO, E’ LECITO DEFINIRE UNA POPOLAZIONE COME UNA COMUNITA’ ? La parola comunità fa riferimento ad un gruppo di persone che hanno qualcosa in comune e che abitano lo stesso luogo. Con lo sviluppo della società moderna e con la nuova urbanizzazione questa cosa si è indebolita quasi fino a scomparire: l’uomo è confuso da questa frammentazione e globalizzazione del mondo. Spesso le tecnologie della comunicazione e le reti informatiche hanno esploso, confuso , frammentato il senso di identità spaziale e locale delle comunità. Invece all’interno delle comunità gli individui membri comunicano, si scambiano informazioni, elaborano e realizzano progetti; a volte si incontrano, spesso prendono decisioni comuni che apportano benefici alla comunità intera e facilitano la realizzazione di obbiettivi che la mantengono coesa. Ovviamente le persone continuano ad abitare delle località, quartieri, zone, frazioni, condomini, ma una località abitata non è necessariamente una comunità. Le componenti costitutive una comunità sono dunque indebolite nella città contemporanea soprattutto e si riflette nella caratteristica di insostenibilità propria dei nostri centri urbani. Nelle città stanno scomparendo i luoghi, CHE COSA E’ UN LUOGO? Non è un sito, uno spazio, cioè un punto nella carta geografica con delle coordinate. Il luogo deve essere fisico, tangibile, come la vita che va toccata, legato alle esperienze fisiche e sensoriali, intriso di sentimenti, significati, ricordi…Deve far stare bene chi vi abita: il luogo è un pezzo di ambiente di cui ci siamo riappropriati con i sentimenti. Per molti cittadini gli unici spazi di vita quotidiana, che si possono considerare luoghi sono gli ambiti privati: la casa, il giardino, l’auto; gli spazi pubblici, le aree aperte della nuova città, sono, per gran parte della popolazione, dei non luoghi: nessuno o pochi li amano e se ne prendono cura.
Il progressivo peggioramento della qualità dell’ambiente costruito si sviluppa con il marcato distacco tra i cittadini e gli spazi della città, e si perde lo spirito di un luogo, la qualità di uno spazio di renderlo memorabile o rappresentabile, una qualità presente in quei luoghi che ci danno la sensazione di “ essere arrivati”; questo sentire IO SONO QUI, l’identità di un luogo, quello che lo caratterizza come distinto e particolare. Qualità architettoniche e paesaggistiche che nel tempo diventano notevoli, possiedono armonia nelle loro dimensioni e nelle loro forme, sono inseriti in maniera equilibrata nei loro contesti naturali, nascono da capacità artigiane e di qualità dei materiali costruttivi. Ma non è solo la qualità fisica che crea questo spirito, che lo rende luogo, la sua identità è intimamente intrecciata con l’identità degli individui e della comunità che abitano in quel luogo. Le connessioni tra abitanti e luoghi storici, ricchi di genius loci, si sono costruite nel tempo con l’uso e i processi che hanno visto la comunità partecipe della sua creazione e sviluppo, della sua cura e difesa. E’ molto difficile affermare il proprio essere nelle strade anonime e tra i palazzi grigi e uniformi delle nuove periferie; l’origine di questo fenomeno va ricercata non solo nei modelli della nuova urbanizzazione o nella forma dello spazio urbano ma anche nei meccanismi della sua produzione e della sua gestione. Potersi identificare con la località nella quale si abita, potersi sentire parte di una comunità e di uno o più luoghi urbani, sono elementi che contribuiscono non solo alla qualità della nostra vita ma anche al nostro modo di fare politica, inteso come disponibilità a farsi coinvolgere nei processi decisionali che influenzano il presente e il futuro di quel territorio comune che sono la città e il paesaggio.

PARTECIPAZIONE E SVILUPPO SOSTENIBILE

Che cosa facciamo dipende da chi siamo o pensiamo di essere, o meglio siamo solo ciò che facciamo; in questo caso in che modo ci rapportiamo agli altri, dal luogo che abitiamo e dalle questioni che l’abitare quel luogo sollecita in noi.
ULAY, il compagno di Marina Abramovic dice: AESTHETIC WITHOUT ETHIC ARE COSMETICS, l’estetica senza etica è solo cosmetica.
Parafrasando Paul Goodman: siamo tutti disposti a eliminare qualsiasi privilegio personale per il verde dell’erba e le acque chiare dei fiumi, per gli occhi brillanti e i visi coloriti, di qualsiasi colore, dei bambini, per le persone non costrette a subire ordini e libere di essere se stesse? Che importanza hanno i prati, le acque chiare e i bimbi per un progettista delle città contemporanee e di chi le gestisce e le abita?
E’ meglio occupare il cortile sotto casa con le automobili o farci giocare i bambini?
Il migliore e più potente motore del cambiamento rimane l’esperienza diretta: le persone cambiano quando scoprono attivamente che un altro modo di fare le cose, di vivere o di essere è più piacevole o soddisfacente della vecchia maniera. Per quanto riguarda l’educazione ambientale il metodo si è raffinato negli ultimi anni mirando a informare o educare il cittadino a proposito di passi e azioni semplici che potrebbe intraprendere nel curare o gestire il proprio ambiente. Però, questa impostazione continua a escludere il cittadino dall’identificazione a monte dei problemi; in questa maniera, l’ordine del giorno ambientale continua a essere imposto dall’alto e continua erroneamente a far capire che ci sono risposte singole, spesso univoche, ai nostri problemi ambientali. Questo è un errore dal punto di vista ecologico. L’eco-design innesca uno sviluppo progressivo: gli stessi principi ecologici applicati in diversi contesti ambientali e culturali producono soluzioni diverse. La progettazione ambientale ecosostenibile, e l’architettura sociale, riconosce alle persone un ruolo importante a fianco degli esperti. Ci sono delle difficoltà, ad esempio nella attuale assenza di legami, che ci connettano alla comunità locale e al luogo che abitiamo, è impossibile sviluppare un senso di responsabilità presente e futura verso l’ambiente globale. Senza esperienza diretta nella definizione e gestione dei problemi ambientali, è molto difficile decifrare le interrelazioni tra le nostre azioni individuali o collettive e gli avvenimenti esterni e lontani nello spazio e nel tempo, e di conseguenza cambiare i nostri lavori. Dunque non esiste modo migliore per costruire la sostenibilità urbana che la partecipazione dei cittadini alla identificazione dei problemi e delle risorse locali e alla elaborazione delle soluzioni a queste connesse.
Per un sistema naturale, la biodiversità è una delle caratteristiche più importanti nel definire il suo grado di sostenibilità. Il dialogo tra le persone con diverse esperienze, percezioni e valori, permette di vedere l’oggetto della partecipazione come un’entità composita, come un insieme di luoghi e funzioni diversificate. In quanto individui, vediamo solo un pezzo del mosaico territorio/ città; per superare questa posizione e trovare il terreno comune ricercato è necessario ascoltare gli altri e apprendere de loro, soprattutto da quelli che la pensano diversamente da noi.
Mac Leod HA IDENTIFICATO DEI VALORI COMUNEMENTE ASSOCIATI ALLO SVILUPPO SOSTENIBILE:
Assicurare l’equità tra generazioni; una generazione, per stare bene, non deve farlo a scapito della prossima.
Conservare la biodiversità e l’integrità ecologica.
Preservare il capitale naturale e il reddito sostenibile minimo e dignitoso.
Sostenere un approccio alla politica che sia anticipatorio e precauzionale.
Garantire l’equità sociale.
Limitare l’uso delle risorse naturali.
Cradle to cradle, dalla culla alla culla, processi a rifiuti zero.
Attribuire un valore economico alle risorse ambientali, al paesaggio, alle acque chiare, all’aria pulita eccetera.
Perseguire in questo l’efficienza con poca burocrazia e molta praticità.
Realizzare un’economia stabile e ciclica, che gestisca lo stato di equilibrio.
Promuovere la partecipazione comunitaria
.
Ragionare con semplicità, in proposito Einstein diceva che se non riesci a spiegare un concetto ad un bambino di sei anni, non l’hai capito nemmeno tu!

UNA IPOTESI DI METODO

Questi valori o principi sono alla base dei documenti e delle convenzioni sull’ambiente ma quanti di questi sono noti e applicati da un cittadino? Parole come biodiversità, ecologia nella bocca dei politici e di tutti non hanno alcun significato senza questi valori, rimangono inutili e incomprensibili.

Raymond Lorenzo

Raymond Lorenzo, docente di urbanistica a New York, vive a Perugia ed è consulente del WWF, sostiene che per costruire o trasformare una città in un ambiente sostenibile è necessario prestare attenzione alla base, non solo intesa come supporto naturale o ecologico, ma soprattutto come coinvolgimento diretto della comunità locale nelle decisioni progettuali, propone un metodo di lavoro. Secondo Raymond Lorenzo va fatto un gioco di ruolo con un facilitatore, che presenta la strategia della partecipazione, i bambini come catalizzatori, narra dei casi concreti applicati a Foligno e Milano, e di altri casi nel mondo; il metodo è spiegato nel suo libro: “La città sostenibile, partecipazione, luogo, comunità.
Va citato anche il libro “ L’architettura di sopravvivenza” di Yona Friedman, con le sue riflessioni sulla povertà:” In passato avere una casa, in campagna, non era un problema insormontabile; il contadino muratore, con l’aiuto della famiglia e dei vicini, poteva costruire i muri e il tetto della propria casa servendosi dei materiali di cui disponeva in modo relativamente libero, i materiali erano terra battuta, pietra, paglia, legno…
Era più facile avere una casa che mangiare.
Nell’epoca industriale le città sono piene di case costruite male da altri e date spesso in affitto, la povertà si esprime in maniera opposta: è più facile mangiare che avere una casa. Nell’epoca contemporanea l’uomo moderno produce denaro, servizi. ( solo il 5% produce cibo, il 15% produce beni industriali ) Se con quel denaro prodotto poteva vivere meglio di come nel passato, adesso non può farlo perché non ne ha a sufficienza per le varie convenzioni, mode e servizi del mondo di oggi. “
Nelle case prima della guerra c’erano 40-100 oggetti, oggi ce ne sono almeno 4.000-10.000, provate a contare i vostri! Inoltre ecco che oggi bisogna spendere molto per avere dei servizi che in passato erano, in qualche modo, gratuiti: accudire bambini, fare riparazioni, lavare, pulire, farsi da mangiare…In futuro, forse l’uomo tornerà a farlo da sé, ecco che l’autoproduzione e l’autopianificazione potrebbe essere necessaria. Situazione diversa nei paesi non industrializzati: i contadini lasciano la campagna; la sovrappopolazione e l’impoverimento del suolo rendono la sopravvivenza più difficile, abbandonano la terra perché credono che nelle città troveranno un lavoro che permetterà loro un più alto livello di vita. E’ così che si formano le baraccopoli, o bidonville, intorno alle grandi città del terzo mondo e ogni tanto anche nei paesi occidentali.

Yona Friedman

Come potranno sopravvivere? La sovrappopolazione e la povertà con la mancanza di risorse potranno essere risolte dal progresso tecnico scientifico? Abbiamo una minima idea, da futurologi, per riuscirci? La attuale tecnologia industriale non basta a fare scomparire la povertà, lo farà una futura organizzazione politico-industriale? Magari organizzata sulla telecomunicazione.
E’ evidente che oggi nessuno ha la minima idea di come si potranno assicurare a circa 4 Mld di esseri umani: una casa all’occidentale anche rudimentale, un’automobile anche solo una bicicletta, per non dire della quantità di cibo abituale nei paesi industrializzati, i servizi, i trasporti, il tutto grazie ai metodi industriali. Con l’attuale produzione industriale, ammesso che ci siano le risorse e materie prime, ci vorrebbe circa mezzo secolo ma intanto l’Umanità avrà ancora più individui. Per il cibo e la casa, le promesse dell’industrializzazione non potranno dunque essere mantenute. Vivere significa avere acqua e cibo, il resto viene dopo. Se proviamo a classificare le cose indispensabili per la nostra esistenza, in funzione del tempo durante il quale non possiamo vivere senza, otterremo il seguente ordine: aria, acqua, cibo, protezione climatica; tutti gli altri bisogni vengono molto dopo…..
Dovremo vivere ed interagire in un contesto pensato e costruito a scala più umana che possa stimolare comportamenti e cambiamenti positivi, con il rispetto della cultura delle persone che ne beneficeranno. Non si vogliono imporre idee e soluzioni, nel nostro caso architetture, che possano risultare aliene o non coerenti con le necessità o il contesto in cui si inseriscono. Ogni persona ha diritto a un minimo di progetto di qualità anche estetica. Il rispetto per le risorse naturali del luogo e globali, questa è la sfida più grande.
Vorrei citare anche la proposta di Architettura della Partecipazione dell’architetto cileno Alejandro Aravena. D’ora in poi l’architettura sarà di tutti e per tutti; oltre che ridurre i costi, le comunità potranno vedere i risultati ottenuti e i miglioramenti che questa pratica hanno già prodotto in altre situazioni. Aravena ha postato sul suo sito un progetto free, ognuno è libero di scaricare questa proposta progettuale di casa piccola, autonoma e espandibile.

Alejandro Aravena

Un simpatico architetto italiano, Marco Ermentini, collaboratore di Renzo Piano, propone L’architettura Timida del Rammendo, della ricucitura della periferia e degli edifici nel caso del restauro; metto a posto o sostituisco solo quello che in una casa o in una città non funziona più, non ha senso buttare ciò che ancora può funzionare. L’architetto non vuole più lasciare il segno; vuole provare a risolvere le periferie che sono ormai il luogo primario, in fondo siamo alla periferia della galassia, nella periferia del nostro mondo animale. Un vecchio portone perché deve essere sostituito se ancora funziona o si può riparare, una muratura con i buchi, perché tapparli senza un buon motivo. I jeans strappati, evoluzione della estetica punk come le calze strappate, sono la testimonianza di una nuova bellezza. Questo nuovo modo di vedere la bellezza è il Wabi-Sabi, che costituisce una visione del mondo giapponese, o estetica, fondata sull’accettazione della transitorietà e dell’imperfezione delle cose. Tale visione, talvolta descritta come “bellezza imperfetta, impermalente e incompleta” deriva dalla dottrina buddhista dell’Anitya. Dunque vanno fatte piccoli azioni, meno interventi e più intelligenza. Viviamo un cambiamento epocale simile a quello della rivoluzione industriale, le professioni stanno cambiando e anche l’architetto dovrà diventare nomade, un medico condotto, tornerà la casa bottega. Cerchiamo di anticipare certi cambiamenti, infuturiamo la nostra professione con nuove azioni di regista, compositore e maestro di orchestra di una musica suonata in accordo con i fruitori. L’architetto sta con la gente e sperimenta con essa, è un facilitatore e un regista di un gioco di ruolo, un tutor.

Bibliografia un po’ ragionata:

La città sostenibile ( Raymond Lorenzo )
L’architettura di sopravvivenza ( Yona Friedman )
Una casa non è una tazza ( Giovanna Franco-Repellini )
Contro l’architettura ( Franco La Cecla )
Progettare la Felicità ( Sabino Acquaviva )
Salviamo il Paesaggio! ( Luca Martinelli )
Fate poco ( Angelo Fanelli e il Gorino! )
La città come opera d’arte ( Marco Romano )
Piccolo manuale per imparare a fare e ricevere critiche ( B. Beckhan )
Futuro ( Marc Augé )
Sociologia ( Berger P.L. e Berger B. )
Il cadavere della Bellezza ( S. Bulgakov, N. Berdjaev )
Maledetti Architetti ( Tom Wolfe )
Gli architetti dovrebbero ammazzarli da piccoli! ( Matteo Clemente )

Oltre all’Architettura Sociale, sarebbe giusto parlare di Arte Etica, menzionata prima da Ulay: per esempio l’artista Beyus, che disse che siamo tutti artisti, come è vero che siamo tutti architetti. Beyus creo’ la Fondazione dell’Istituto per la rinascita dell’Agricoltura, la piantagione Paradise con la messa a dimora di 7000 piante per biodiversità, è noto il suo incontro con Burri presso la Rocca Paolina di Perugia e le sue sei lavagne illustrate.

Beyus e Burri a Perugia

Banksy , che ci dice: “Ho intenzione di dire come la penso, perciò non ci metterò molto. Contrariamente a quanto si va dicendo, non è vero che i graffiti sono la più infima forma d’arte. Certo, può anche capitare di dover strisciare furtivamente in piena notte e dire bugie alla mamma, ma in verità è una delle forme d’arte più oneste che ci siano. Non c’è elitarismo o ostentazione, si espone sui migliori muri della città e nessuno è dissuaso dal costo del biglietto.” Banksy è contro la mercificazione dell’arte, espone all’esterno opere che ci obbligano a pensare in forma critica la nostra civiltà.
Infine l’artista cinese Ai Weiwei, attivista dei diritti umani, ha denunciato il governo cinese ma è stato spesso critico anche verso la civiltà occidentale; ha esposto varie volte in Italia, a Palazzo Te a Mantova e Palazzo Strozzi a Firenze. Ha diretto un documentario in cui racconta le migrazioni attraverso le immagini girate in 22 paesi del mondo. Ai Weiwei è artista ma soprattutto architetto e attivista, ecco cosa dice: “ Per me l’architettura ha un forte valore estetico e include un giudizio morale…Questo permette di potersi costantemente chiedere: E’ UTILE? Il giudizio è dunque su quanto e quanto bene coinvolgi attraverso l’architettura, su chi la userà.”