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Polvere di stelle

Di Vito Nigro

Per un amante della musica tout court rimane difficile condividere l’opinione espressa da Alex Ross, noto critico musicale che con la pubblicazione del suo scritto ” Il Resto e’ Rumore – Ascoltando il XX Secolo (ed.Bompiani) ” ha riscosso importanti riconoscimenti ma che rimane per parte mia una visione piuttosto miopica del vasto panorama dell’arte musicale. Alex Ross nel suo libro prende a paradigma della cultura musicale unicamente la musica Classica lasciando fuori aspetti dell’espressione artistica come il folk popolare, la canzone napoletana o la pizzica salentina per non dire della musica afro-americana. Il resto e’ rumore appunto, non meritevole di ascolto. Che poi John Cage si sia esibito facendo ascoltare una pietra che rotola legata e tirata da una corda o seduto al pianoforte con lo spartito aperto ad eseguire la partitura in tre movimenti 4’33” cioe’ la durata del pezzo in cui non una nota viene eseguita e si ascolta e ci si ascolta in sala e sul palco solo i suoni dell’ambiente e del pubblico e’ qualcosa che ad Alex Ross deve essergli sfuggito.
Due artisti che di rumore ne hanno fatto tanto in senso buono intendo sono l’indimenticabile Frank Zappa ( Baltimora 1940 – Hollywood 1993) e Bob Dylan.
La musica senza le parole non ha significato dice Dylan, eppure Allen Ginsberg leggeva e declamava i testi delle sue canzoni nei sotterranei del Greenwich Village come fossero componimenti poetici.
I testi delle canzoni di Dylan possono leggersi come poesie ma poi vanno ascoltate cantate per quello che sono.
Dylan a conclusione del suo discorso di accettazione del premio Nobel nel 2016 per la Letteratura ha detto:
” Questo e’ quello che sono le canzoni.
Le nostre canzoni sono vive nella terra dei vivi. Ma le canzoni non sono
letteratura. Sono pensate per essere cantate, non lette.
Le parole delle commedie di Shakespeare sono state pensate per essere recitate sul palcoscenico. Proprio come le parole delle canzoni devono essere cantate, non lette.
Cito da Luca Grossi ” L’ Inferno di Bob Dylan ” ed Arcana. Il dialogo con Dante nell’opera del Bardo di Duluth.
Potrebbe apparire un eccesso accostare la Divina Commedia all’opera di Dylan ma leggendo le argomentazioni di Luca Grossi non si puo’ non convenire e rimanerne sconcertati allo stesso tempo.
La grandezza di un artista come Dylan e’ incontestabile, rimane tale la si apprezzi o no.
La stessa canzone ” A Hard Rain A Gonna Fall ” e’ un capolavoro di letteratura che Alessandro Portelli nel suo breve saggio ” Bob Dylan, Pioggia e Veleno ” ed. Saggine, analizza rivelandoci aspetti inusitati. E’ noto che durante la cerimonia dell’assegnazione a Dylan del premio Nobel la canzone che Patty Smith porto’ sul palco visibilmente commossa fu proprio A Hard Rain’s Gonna Fall , ma meno noto e’ che l’origine di questa canzone ha una antichissima tradizione orale; nasce nel Veronese italiano del ‘600 come il ” Testamento dell’Avvelenato “
e poi passata nel mondo anglosassone come testo di ” Lord Randal ” ed infine giunge in America dove e’ Dylan a vestirla di nuovo vigore e splendore facendone uno dei suoi cavalli di battaglia.
Si puo’ concordare con Jean Paul Sartre quando si chiede che cos’e’ la letteratura ma di sicuro possiamo replicare che …la risposta soffia nel vento.
Fin dall’inizio della sua attivita’ Robert Zimmerman, in arte Bob Dylan, ha rifiutato di appartenere, di essere racchiuso in degli schemi; scandalizzo il suo pubblico quando lascio’ l’acustica per l’elettrico.
Non partecipo’ a Woodstock in quei giorni che faranno storia per non essere Leader, il capo portavoce di un popolo, la Beat Generation, il mondo della Pace e Amore libero.
A Woodstock il sistema aveva organizzato un bel campo recintato con cucine e infermerie, dove per tre giorni ci si poteva illudere di essere padroni di se stessi e delle proprie idee.
Nemmeno Frank Vincent Zappa prendera’ parte a quella manifestazione divenuta il simbolo di un’epoca, il movimento giovanile gia’ iniziato con il ’68 studentesco.
L’ italo-americano Zappa, compositore chitarrista, prendera’ invece parte all’evento piu’ radicale dell’epoca, per gli sviluppi musicali che seguirono e che si svolse ad Amougies in Francia, dove Zappa si merito’ l’ingaggio come guest guitarrist, come maestro delle ceriminie ed avendo da poco sciolto il proprio gruppo delle Mothers of Invention era in cerca della strada da percorrere e per l’occasione ebbe modo di accompagnarsi ai piu’ variegati gruppi pop rock folk jazz; memorabile la sua collaborazione con i Pink Floyd.
La musica di Frank Zappa non si puo’ definire in alcun modo.
Lo stesso Pierre Boulez interprete e direttore di orchestra si chiedeva quale grande fatica dovesse essere stare con un piede in due scarpe come per Zappa tra la pop music e la classic music.
In realta’ la composizione di musica classica e’ stato il punto di arrivo di tutta l’ opera di F.Zappa.
Come Dylan ha avuto il suo nume tutelare in Woody Guthrie , Frank Zappa lo ebbe in Eldgar Varese, compositore tra i grandi del ‘ 900 che Zappa ascolto’ occasionalmente da un trasmissione radiofonica rimandone per cosi dire folgorato tanto gli piacquero quelle sonorita’ e soprattutto la struttura ritmica, la sezione delle percussioni; tant’e’ che con la sua prima paghetta ricevuta dai genitori corre a comprarsi un disco del maestro Varese e dopo innumerevoli ascolti maturo’ l’idea e realizzo di telefonargli presentando se stesso giovanetto interessato alla musica di Eldgar, congratulandosi per l’affascinante scrittura musicale e chiedendogli un incontro. Si dice che E.Varese non riaggancio’ in malo modo il telefono ma che con piacere avrebbe volentieri fatto la sua conoscenza ricevendolo in casa propria. Il resto e’ leggenda.
Non e’ leggenda invece la scoperta nel 1980 di un Asteroide della fascia principale, asteroide 3834 che e’ stato ribattezzato 3834 ZappaFrank.
Quasi un Nobel.



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Ezma.

Di Donatella Yvonne Perfetti.

Ezma è una bambina di quasi quattro anni. E’intelligente, vivace, curiosa; è una bimba minutina con i capelli neri e due codini fissati in cima alla testa con due fiocchetti bianchi. Ezma è di una famiglia di Yezidi che vivevano a Shengal (Nord Irak). Durante l’agosto del 2014 sono dovuti scappare dalla furia omicida di quei mostri dell’Isis\Daesh: La loro città è completamente distrutta e da allora, insieme a tanti altri come loro, vivono in campi profughi, prima in Turchia, poi in Irak. La loro casa ora è una tenda. Chissà se Ezma ricorda come era la sua casa o una casa qualunque. Forse qualche vago ricordo ce l’ha ma per fortuna i bambini si adattano più facilmente degli adulti alle nuove situazioni, anche difficili e apparentemente non sembrano risentirne troppo (anche se poi nel profondo non sappiamo cosa succede). Ho conosciuto Ezma nel marzo 2015 quando sono andata a Urfa (Sanliurfa per i Turchi) insieme ad altri membri di una delegazione per il Newoz (Capodanno di origine iranica che per i Curdi ha un alto valore simbolico e identitario) e che oltre ai festeggiamenti per noi è anche occasione di incontri con persone e associazioni della società civile e politica. Quest’anno in più c’erano i profughi. Questo piccolo campo dove alloggia(va)no poco più di duecento persone (dopo la liberazione di Kobanè chi poteva se ne era già andato o era in procinto di farlo) è stato allestito dal Comune di Viransheir (cittadina di circa ottantamila abitanti nella provincia di Urfa). Come tutti i Campi è un po’ squallido, isolato in mezzo alla campagna con le tende allineate in più file ma con le “strade” lastricate (altri campi a Suruch, per esempio erano in mezzo al fango e polvere). Inoltre c’è una tenda cucina,un’infermeria e due tende scuola: una piccola per i bimbi dell’asilo e l’altra più grande per i ragazzi fino ai 14 anni. Insegnanti vengono dalla città vicina e insegnano in Curmanci, lingua curda che in Turchia è proibita ma che nell’Irak curdo è la lingua ufficiale. Questa tenda scuola è abbastanza ampia ed è usata anche come sala riunioni. La co-sindaca di Viransheir inoltre si vanta di aver fornito acqua calda per tutti. C’è poi un campetto da calcio. Ma la vita è molto monotona specialmente per gli uomini che hanno perso il lavoro senza possibilità di trovarne un altro dato che anche qui la disoccupazione raggiunge percentuali altissime.
Quando siamo arrivati al Campo, eravamo circa venti persone, Ezma girava da sola mentre in genere i bambini stanno in gruppo. Ed è successa una cosa incredibile: come ci ha visto, la bambina si è avvicinata e ha messo la sua mano nella mia. Mi ha scelto fra tutti. Un momento l’ho lasciata per fare delle foto e un’altra del gruppo l’ha presa per mano ma appena ho finito lei è tornata vicino ed è stata sempre con me per tutto il tempo che siamo rimasti al Campo. Mi ha seguito in una tenda dove ci aveva invitato una famiglia a raccontarci la loro storia e prendere il tè ed è stata sempre in braccio a me. Ezma è anche molto curiosa: voleva vedere come funziona la macchina fotografica e ha scattato diverse volte, ha vuotato tutta la mia borsa per guardare quello che c’era dentro e poi….ha rimesso tutto a posto – cosa che altri bambini non avrebbero fatto probabilmente – e questo mi ha fatto pensare che i suoi genitori le hanno dato comunque una buona educazione. Ezma è un folletto. Gira dappertutto e ovunque e con chiunque si sente a suo agio, come se fosse sempre vissuta lì. Il Campo è la sua casa e il suo mondo dove si muove con molta disinvoltura. Tutti la conoscono e le sorridono e lei ha l’aria di essere la beniamina di tutti. Quando ce ne siamo andati ha pianto e a me si stringeva il cuore. Ormai mi aveva conquistato completamente e non potevo lasciare che la cosa finisse lì come in genere succede in questi incontri: ci si trova bene con le persone, si creano simpatie ed empatie e poi si riparte e tutto finisce. Raramente capita di ritrovare ancor qualcuno in un viaggi successivo e i rapporti restano comunque sempre superficiali.

Ezma a quattro anni

In viaggio.

Così prima di ripartire per l’Italia mi sono unita a un altro gruppo che si recava a Viransheir e sono tornata al Campo per rivedere Ezma e cercare di stabilire un rapporto meno precario e se possibile duraturo. Quando siamo arrivati io ero un po’ indietro ma l’interprete mi ha poi detto che appena ci ha visto arrivare Ezma che era corsa lì davanti a tutti, ha chiesto subito “Dov’è la mia amica?” Appena mi ha visto mi è corsa incontro con il suo bel sorriso ed è stata quasi sempre con me anche quando eravamo nella “sala riunioni” ad ascoltare i racconti drammatici delle persone scampate alle aggressioni dell’ISlS grazie al salvataggio dei guerriglieri del PKK. Intanto la notizia di questo rapporto speciale tra me e la bambina si era diffusa nel Campo ed era per me doveroso andare a conoscere la famiglia..La loro tenda era tra le più povere: invece dei tappeti avevano solo un telo di plastica sul pavimento e i materassi per la notte appoggiati alle pareti. Così ho conosciuto il padre Elyas che lavorava come poliziotto, o più probabilmente vigile urbano, a Shengal e oltre alla casa distrutta ha perso anche il lavoro. Ha l’aspetto di una persona molto provata, con lo sguardo triste, quasi assente. Sembra abbastanza più anziano della moglie (ma in seguito ho scoperto che lui ha solo 42 anni!) che nonostante i numerosi figli è ancora una donna piacevole. Di figli ne hanno 10, il maggiore di 17 anni lo hanno mandato da uno zio in Germania e là sperano di andare tutti quanti: poi ci sono altri tre maschi e sei femmine un po’ di tutte le età. Ezma è la più piccola e tra lei e la penultima c’è uno stacco di tre o quattro anni. Forse non l’aspettavano più. Sono tutti bambini molto belli , Meruha, (dieci anni) ha degli occhi grigi stupendi, unica in tutta la famiglia, chissà da quale antenato ha ripreso! ma Ezma ha una marcia in più perché è la più sveglia e simpatica. Osman, un ragazzo di Viranshehir che ci ha accompagnato al Campo insieme alla sindaca, ci ha fatto da interprete. Non sa molto bene l’inglese ma si fa capire e capisce. Ho detto che intendo seguire la bambina e sono disposta ad aiutare la famiglia per quanto mi è possibile, l’importante è non perdere i contatti. Naturalmente nella tenda non è mancata l’offerta del tè, un rito a cui neanche i più poveri si sottraggono e sarebbe una grave scorrettezza rifiutare. Quando me ne sono andata è stato un distacco molto triste. Chissà se e quando avrei rivisto Ezma : la vita per i profughi è così precaria e da questo Campo già diverse persone erano partite e altre stavano per farlo: chi può torna alle proprie case specialmente chi viene da Kobanè che per quanto bombardata è ora libera, ma Shengal è in mano all’ISIS.
Per un po’ di tempo ho tenuto i contatti tramite Osman, poi un giorno mi ha fatto sapere che la famiglia era tornata in Irak dove il padre aveva ancora interessi e questioni da risolvere, ma a Shengal non potevano tornare per cui sono stati costretti ad andare a vivere in un altro campo profughi allestito dal governo curdo iracheno (Sud Kurdistan) , non lontano dal confine con la Turchia. . Per fortuna ho avuto il numero di cellulare di Elyas e sono riuscita a farci parlare un mio amico curdo. Infatti uno dei grossi problemi di comunicazione è la lingua: loro non parlano inglese e io non conosco né il curmanci (lingua curda) né l’arabo.
L’occasione per rivedere Ezma è stato in luglio quando sono tornata in Kurdistan per il matrimonio della mia amica curda Pervin a cui non potevo né volevo mancare. Dopo la festa che si è svolta a Nusaybin sono partita alla volta del Campo di Sexan o Scekan nei pressi della cittadina di Duhok ,(Nord Irak o Kurdistan Iracheno) Mi sono avventurata da sola sottovalutando le difficoltà . Avevo preso un biglietto per Silopi, ultima città nella Turchia ma la frontiera non era così vicina come credevo e così mi hanno ampiamente fregato sul costo del viaggio facendomi cambiare mezzi di trasporto non necessari e conseguenti richieste di soldi in più. Donna, straniera per di più europea, sola, senza conoscere la lingua, un vero pollo da spennare!
Ma intanto ero arrivata a Duhok dove, previ accordi telefonici, ho incontrato Ezma con il padre e un autista che mi aspettavano lungo la strada in un posto stabilito. L’incontro è stato emozionante, rivedere Ezma è stata una grande gioia e da come mi guardava ho capito che era così anche per lei. In quattro mesi era cresciuta un po’, sempre magrolina e aveva i codini più lunghi; mi ha accolto con il suo bellissimo sorriso e il suo sguardo vivacissimo. Non mi aveva dimenticato, si stringeva a me ed ha voluto subito venirmi in braccio. Anche in macchina, nel tragitto per arrivare al Campo, mi è sempre stata vicina, mi guardava e sorrideva felice.
Il Campo di Shexan è sotto la direzione del governo curdo iracheno, è recintato ed ha un unico ingresso controllato dalle autorità del Campo, mi è parso abbastanza rigidamente. Mi hanno detto che ospita circa cinquemila persone, in massima parte Yezidi per lo più fuggiti da Shengal. Il Campo è molto grande, isolato in una zona desertica dove non si vede una pianta, neanche un cespuglio a perdita d’occhio e non è poi tanto vicino alla città di Dohuk come pensavo. I Campi profughi che avevo visto in Turchia, gestiti dalle municipalità curde o autogestiti erano aperti e le persone erano libere di andare e venire come volevano. Comunque da qui pochi escono: dove potrebbero andare se non sono motorizzati?
Sono rimasta al Campo due giorni e ho dormito nella tenda con la famiglia. In realtà le tende sono due, visto che la famiglia è molto numerosa, disposte una di fronte all’altra con il lato anteriore aperto e tra le due c’è un corridoio di sassi largo meno di un metro e coperto da un telo. Come in quasi tutte le tende c’è un condizionatore d’aria (qui fa molto caldo in estate, di giorno credo che si superano i 43 gradi) e questo è l’unico “lusso” insieme ad un piccolo televisore. I bagni sono fuori, in comune con le tende vicine e sono quanto di più squallido abbia mai visto. Due o tre bagni attaccati, poco più di un metro quadrato l’uno, con un rubinetto a circa 30 centimetri dal suolo, in un angolo un buco largo poco più di dieci centimetri e il pavimento in cemento è molto irregolare per cui l’acqua ristagna e non scorre (in confronto il bagno “alla turca” è raffinato.) Unica suppellettile un chiodo attaccato al muro. Ho evitato di fare la doccia visto che stavo poco tempo, ma avrei trovato grande difficoltà ad adattarmi. E’ vero che loro non sono abituati ad avere tutte le comodità che abbiamo noi, ma quelli che hanno costruito il Campo potevano essere un po’ più attenti alle necessità di chi è costretto a restare qui chissà quanto tempo. Di fronte ai bagni, dal lato opposto del rettangolo formato da quattro tende, c’è una cucina, aperta e in comune tra il gruppetto di tende che formano questo piccolo “isolato”. Così si creano piccoli nuclei familiari abbastanza indipendenti e relativamente isolati. Ci sono poi le strade principali abbastanza larghe e polverose che quando piove diventano un pantano anche se qui non credo che piova molto spesso. Abbastanza vicino all’ingresso c’è l’infermeria che funziona solo di mattina con cinque medici che si alternano. C’è un campetto da calcio dove i ragazzi che lo desiderano possono fare una partitella la sera, ma non mi risulta che ci sia un luogo in cui riunirsi o altre strutture per tutte queste persone. Ritengo molto grave il fatto che non ci sia la scuola (a quanto mi risulta. Ci sono volontari all’interno del campo che fanno animazione, o forse scuola, con i bambini) Qualcuno ha messo su un negozietto di generi di prima necessità, con pochi clienti a dire il vero. Lo squallore è totale e l’inedia a cui le persone sono costrette è terribile specialmente per i ragazzi che non avendo niente da fare passano le giornate sdraiati a guardare la televisione; non studiano, non leggono, non lavorano, non aiutano “in casa” e così si impigriscono sempre più con conseguenze che potrebbero essere gravi se questo stato persiste a lungo. Per le donne è diverso: fin da piccole aiutano la madre nelle faccende comuni come tenere in ordine e pulita la tenda, guardare i bimbi più piccoli e poi lavano, rammendano, cucinano… anche loro hanno ore vuote ma almeno possono sentirsi utili. La antiquata mentalità tradizionale impedisce agli uomini di occuparsi di faccende domestiche. Le bambine comunque e le donne in genere sono molto più vivaci e meno rassegnate dei maschi. Per gli uomini è comprensibile: hanno perso il lavoro che spesso si identifica con la dignità, per i ragazzi è ancora peggio come già accennato. Pur essendo il Campo molto vasto la gente si muove poco e resta per lo più circoscritta alle tende vicine o a quelle di amici e parenti. Quasi hanno timore di avventurarsi “più in là”, o almeno questa è stata la mia impressione.
Prima di venire avevo chiesto un interprete ma il ragazzo che doveva farlo conosceva l’inglese come io il tedesco: non lo capivo e non mi capiva (anche se parlavo molto lentamente), ad ogni domanda rispondeva “no problem” per cui non sono riuscita ad avere risposte alle molte domande che avevo in mente e questo resoconto è solo il frutto delle mie parziali osservazioni. Poco dopo il mio arrivo è venuto un signore, non so se arabo o curdo, che aveva l’aria di un boss e mi ha fatto molte domande in buon inglese. Mi ha chiesto tutti i miei dati, voleva sapere perché ero lì, preoccupato che fossi una giornalista e mi ha imposto di non fotografare, di non fare domande e soprattutto di non interessarmi o parlare di politica. Alcune domande volevo fargliele io ma appena saputo quel che voleva se ne è andato senza salutare. Poco dopo mi hanno chiamato i responsabili del Campo per vedere il mio passaporto e registrarmi (e questo è normale) ma anche loro temevano che fossi una giornalista e hanno ribadito che non dovevo fare fotografie, eccetto alla famiglia, ma il colloquio è stato molto breve a causa della lingua. Notizie importanti quindi non ne ho avute, ma di foto alcune sono riuscita a farne. Questa insistenza – quasi paura – che fossi una giornalista e volessi parlare di politica forse è dovuta al fatto (ci ho ripensato in seguito) che il Campo è gestito dalle autorità curde irachene e loro non sono contenti che la gente dica di essere stata salvata dai guerriglieri del PKK e YPG, come avevano detto apertamente e con immensa gratitudine al Campo di Viransheir. Infatti nonostante i guerriglieri del PKK e i peshmerga irakeni combattano insiemi contro l’ISIS, c’è rivalità tra loro più che altro a livelli di comando: il governo curdo irakeno non vuole ammettere la superiorità dei guerriglieri e cerca quindi di minimizzare il valore e l’importanza del loro Non so cosa si aspettasse da meintervento soprattutto se messa in relazione con la fuga dei peshmerga che, a Mosul, sono scappati quasi senza combattere e lasciando le armi pesanti agli uomini dell’ISIS.
Ho visto un filmato su Shengal con tutta la città rasa al suolo. Mentre lo guardavamo Elyas aveva le lacrime agli occhi. Chissà quante volte lo avrà visto e rivisto.. Deve essere terribile perdere tutto e da una vita normale trovarsi in uno squallido campo profughi con la responsabilità di una famiglia così numerosa. Tramite il signore che parlava inglese mi ha chiesto aiuto per andare in Germania dove è già il figlio maggiore e dove spera che ,almeno, i figli potranno studiare. Non so cosa si aspettasse da me, certo io non ho alcun potere. Ho portato quanto potevo, forse meno di quanto si aspettavano ma per me era il massimo. Per tutti loro l’Europa e la Germania in particolare è vista come una nuova terra promessa dove le persone stanno tutte bene e sono ricche ! Speriamo che non abbiano troppe delusioni quando (e se) riusciranno ad andarci.
Una cosa che mi è parsa strana è la domanda che mi è stata fatta due volte: cioè se volevo portare via con me la bambina. Ho sempre risposto che assolutamente no, Ezma non è orfana, ha un padre una madre tante sorelle e fratelli e sradicarla dal suo ambiente non avrebbe senso. Io voglio restare in contatto con lei (e la famiglia) aiutare per quanto posso ma portarla via no, non ci ho mai pensato (anche se mi piacerebbe tenerla per un po’ di tempo) Non ho capito se la domanda nascondesse un timore o un desiderio. Dalle espressioni non ho capito niente come non mi è chiaro se la domanda fosse partita dalla famiglia o un’idea dell’interprete o del “boss”
Al Campo mi sono affezionata anche alle sorelle di Ezma: Sonia 8 anni (forse la più bella), Meruha 10 (con la faccia tonda come la madre ma con magnifici occhi grigi, l’unica in famiglia), Wanech 12 (mi è sembrata la più intelligente), Frida 14 ( in bilico fra l’infanzia e l’adolescenza) tutte carine, affettuose, allegre e simpatiche e la più grande Inas che a 16 anni già sembra una donna fatta, aiuta molto la madre e non si unisce ai giochi. I maschi, 9, 13 e 15 anni quasi non mi hanno rivolto uno sguardo e a parte Yussuf, il più piccolo, quando sono partita non mi hanno nemmeno salutato. Le bambine mi stavano sempre intorno ed è incredibile come i mezzi di comunicazione non verbali sono comunque efficaci, loro parlavano, parlavano io qualche volta intuivo, qualche volta no ma andava tutto bene lo stesso. Wanech mi ha fatto fortemente capire che desiderava la portassi via con me e questo la dice lunga quanto -in fondo- sia sentito pesantemente il disagio di questa vita innaturale e senza prospettive.
Un piccolo particolare mi ha colpito. In marzo avevo messo al collo di Ezma un fazzolettino celeste, poco dopo non lo aveva più. Avevo pensato che lo avesse lasciato cadere da qualche parte, come fanno spesso i bambini senza neanche accorgersene o senza dargli importanza. Invece , con meraviglia, lo ho ritrovato al Campo in Irak, se lo passavano da una sorella all’altra, e lo mettevano al collo o in testa, e lo tenevano come un oggetto di valore.
Per passare il tempo e farle divertire cercavo di inventare qualche gioco ma avevo poca fantasia e non sono andata molto più in la di qualche girotondo ma loro erano contente e ridevano. Quando si ha poco basta pochissimo per divertirsi e la novità della mia presenza era sufficiente a creare un piacevole diversivo nella monotonia della vita quotidiana. Oltre alle sorelle venivano spesso le bimbe delle tende vicine. Ezma naturalmente era sempre la privilegiata. Non mostrava gelosia se le sue sorelle mi abbracciavano ma quando due bambine di circa la sua età si avvicinavano troppo a me, le cacciava anche dando loro delle botte. Ezma è la più piccola e quindi un po’ viziata, se qualcosa non le sta bene e se qualcuno la sgrida anche leggermente si adombra o si mette a piangere. Però dura poco perché ben presto prevalgono la sua naturale allegria e vivacità.
Durante le ore più calde (pir germer = molto caldo in Curmancj) almeno 43-45 gradi, quasi non ci si muove dalla tenda ma poi nelle due giornate sono andata con Ezma e Fedha a trovare una fami glia di parenti che mi hanno accolto nella loro casa-tenda e ci sorridevamo continuamente ma purtroppo senza poter comunicare diversamente. Il pomeriggio del secondo giorno siamo andate dal lato opposto del Campo dove sono altri parenti e|o amici e lì c’era un bel po’ di gente: donne di tutte le età e tanti bambini che mi stavano sempre intorno e hanno voluto parecchie foto. In un’altra tenda abbiamo incontrato una coppia giovane con due bambine piccole e una terza in culla nata lì al campo, che ho fotografato insieme al padre ma la madre, una bella ragazza giovane (che non portava niente in testa) non ha voluto che la riprendessi. C’era poi un ragazzo che il giorno dopo doveva andare all’università (dove non so) per dare un esame di inglese. Ho visto il libro, era molto elementare. Lui però, giustamente, era molto preoccupato. Se l’avessi visto prima avrei potuto aiutarlo un po’ ma chissà se avrebbe accettato, qui sono tutti molto schivi e preferiscono offrire piuttosto che accettare. Addirittura la madre di Ezma (Bashin Hoja) mi ha offerto spazzolino e dentifricio!
Nonostante il Campo di Shekan sia molto più esteso di quello di Viransheir, o forse proprio per questo, Ezma e gli altri bambini sembrano meno liberi. Ezma che nell’altro Campo girava sola liberamente dappertutto, qui si allontana appena dalla tenda e mai da sola. Forse i suoi genitori temono che possa andare troppo lontano ma apparentemente non ci sono pericoli. Tuttavia sembra esserci “una legge non scritta” che regola e limita i movimenti. Mentre passeggiavo con Fedah perché volevo vedere un po’ più del Campo a un certo punto quasi implorandomi mi ha preso per un braccio e mi ha fatto capire “qui no” ed è voluta tornare indietro. Non ho capito il motivo ma l’ho accontentata. Mi rifiuto di pensare che possano esserci rischi di violenze come mi è stato riferito di un altro Campo (violenze da parte delle autorità che qui sembrano poche persone che restano a controllo dell’ingresso).
La partenza è stata molto triste, con Ezma che non si voleva staccare da me e io che mi sentivo un peso allo stomaco pensando alla difficoltà di rivederci.
Il viaggio di ritorno è stato quasi un’Odissea. Con la macchina del solito amico siamo partiti verso le 8 per andare a Z., città un po’ più lontana di Dohuk ma dove ci sono autobus diretti per Dyarbakir. Durante il percorso la macchina si è bloccata e abbiamo perso un’ora e mezzo così l’autobus era partito e il successivo era alle 5 del pomeriggio (arrivo previsto 10 di sera) ma alla frontiera Irak-Turchia siamo stati fermi per oltre 5 ore con lunghissime attese tra un controllo e l’altro. Solo il giorno dopo (26 luglio) ho saputo che c’erano stati attentati dell’ISIS e aggressioni da parte dei militari turchi e conseguenti reazioni dei curdi a Diyarbakir e in altre località. Di lì a poco la città di Cizre (che ho attraversato con l’autobus e dove ero già stata nel 2007 e 2011) sarebbe stata oggetto di distruzione e atrocità indescrivibili da parte dei turchi verso la popolazione civile. La guerra non dichiarata ma feroce era cominciata e dura ancora.
Non ho più rivisto Ezma. Ogni tanto riesco a mettermi in contatto (indiretto) con il padre, hanno tentato di avere il permesso per andare in Germania e per questo sono stati ad Ankara (non ho capito perché il permesso deve venire dalla Turchia dal momento che loro appartengono allo stato iracheno) ma sono tornati indietro e ancora aspettano. Intanto nel Campo la vita continua monotona e squallida. C’è un loro amico, o meglio compagno di campo, da cui ogni tanto ho notizie tramite face book anche se non sempre il suo inglese è del tutto comprensibile. Da lui ho qualche notizia sulla vita del campo. , ad es. lui, che ha dovuto interrompere gli studi , ha avuto l’incarico di intrattenere i bambini dell’asilo, ma solo per tre mesi, ora il breve contratto è finito. Lì il caldo arriva presto ma l’elettricità funziona poco, i controlli delle autorità sono sempre più rigidi. Quindi la vita è ancora peggiorata e le speranze di averne una migliore diminuiscono. I residenti si trovano in una situazione sempre più insostenibile, vivono in un campo profughi che si sta trasformando in prigione a cielo aperto . D’altra parte è impensabile che questa famiglia tenti di arrivare Europa con barconi o altri mezzi di fortuna con tutti questi figli adolescenti.
Mi sento molto triste , vorrei fare qualcosa ma non so che né come., vorrei avere tanti mezzi per dare una mano e aiutare ma sono legata qui e non posso neanche andare a trovarli e portare con me Ezma e una delle sorelline……….
Recentemente ho avuto una foto di Ezma (loro scrivono Asma) che ormai ha circa otto anni: è talmente cambiata da essere quasi irriconoscibile. Il suo sorriso aperto e luminoso è sparito lasciando il posto a uno sguardo triste e diffidente. Mi è venuto da piangere.

Fiorira’ l’aspidistra (Keep the aspidistra flying)

Di Roberto Fioroni

E’ un romanzo, in parte autobiografico, di George Orwell, terminato nel 1936, è ambientato nella Londra degli anni ’30. Il protagonista è Gordon Comstock, un trentenne di buona cultura che si professa poeta, proveniente da una famiglia borghese,

prologo libro

mandato a scuola con profondi sacrifici della mamma e della sorella, nella speranza che si elevasse di classe sociale e che trovasse un buon posto, un uomo del ceto medio è costretto a tirare avanti per anni di seguito con un tenore di vita che perfino un operaio a giornata disprezzerebbe”. Gordon si rende conto che il culto del denaro è stato elevato a religione; legge la storia di un falegname affamato che impegna tutto ma non si stacca dalla sua aspidistra “ Fiore d’Inghilterra, dovrebbe essere sul nostro stemma, invece del leone e dell’unicorno. Non scoppieranno rivoluzioni in Inghilterra finchè ci saranno aspidistre alle finestre. L’aspidistra è l’emblema dell’opaca rispettabilità e del conformismo.” ( aggiungerei come il telefonino o l’auto nella nostra epoca ) . Gordon capisce quale è il male di tutta la classe piccolo borghese: non è semplicemente la mancanza di denaro, piuttosto che , “ pur non avendo quattrini, continuano ancora a vivere mentalmente nel mondo dei soldi, quel mondo in cui il denaro è virtù e la povertà è un delitto.” Meglio regnare all’inferno che servire in cielo. Gordon dichiara una guerra personale ai quattrini ma non gli impedisce di essere maledettamente egoista verso chi gli vuole bene, soprattutto la sorella Julia che lo aiuta con grandi sacrifici. Gordon lavora in uffici pubblicitari, “ la cosa interessante della New Albion consisteva nel fatto che era una ditta di spirito così moderno. Non c’era nessuno tra i suoi dipendenti che non si rendesse perfettamente conto di come la pubblicità sia la truffa più sudicia che il capitalismo abbia mai perpetrato… La maggioranza dei dipendenti appartenevano al tipo americanizzato, aggressivo, dei duri, quel tipo per il quale nulla al mondo è sacro, eccetto il denaro. Mettevano in pratica il loro cinico codice morale. Il pubblico è fatto di porci; la pubblicità ( e/o la politica? ) è il rumore che fa il mestolo rimescolando il pastone nel truogolo. … Gordon li studiava discretamente. Egli disprezzava e respingeva la morale del denaro.” Sarebbe riuscito a tagliare la corda… si trovava nel mondo del denaro, ma non ne faceva parte; lui non è il tipo che Fa Bene , per lui la vita d’ufficio è insignificante. Dopo i primi anni abbandona bruscamente il lavoro d’ufficio, se ne va senza nessun motivo. “ Voleva bruciarsi le navi alle spalle” ( un Chris Mc Candless degli anni 30 ) , vivere senza puzzo di denaro, vivere nel tentativo di respingere asceticamente la schiavitù del denaro. Gordon attua un volontario declassamento che lo porta a scendere i gradini della scala sociale e a vivere in condizioni di povertà, estrema, e squallore sempre maggiori. Anche i rapporti con le persone di riferimento della sua vita, la fidanzata Rosemary, la sorella Julia, l’amico Philip Ravelson, si degradano e si spappolano. Comstock vuole precipitare nel fango, vuole sottrarsi alla “ dignità e decoro borghesi” , gli piace pensare alla gente perduta, la gente del sottosuolo, i vagabondi, i mendicanti e le prostitute…Non vuole far parte del sistema, di chi Fa Bene. ( come P. K. Dick, mi considero un visionario tra i ciarlatani, e allora mi viene in mente il dialogo tra Amleto e i suoi falsi amici Rosencratz e Guildenstern nel secondo atto dello Hamlet shakespeariano, Amleto dice che la Danimarca è una galera, Rosencratz risponde che Allora lo è tutto il mondo, e Amleto replica che Certo, una gran bella galera con tante celle e bracci e segrete. E la Danimarca è una delle peggiori. O forse dovremmo reagire come fece Salvador Dalì, il cui anagramma è Avida Dollars, che tenne a Londra una conferenza con uno scafandro da palombaro? P. K. Dick dice che c’è una rovinosa entropia, tutto si sarebbe fuso e avrebbe perso individualità, sarebbe diventato identico a ogni altra cosa, un mero pasticcio di Palta …) “ Nessun uomo ricco riesce mai a camuffarsi da povero, perché il denaro, come il delitto, prima o poi salta fuori” l’amico Ravelston è il redattore di “Anticristo” , un mensile piuttosto intellettualistico, socialista in un suo modo violento ma vago; in generale, dava l’impressione di essere diretto da un ardente nonconformista che avesse trasferito il suo giuramento di obbedienza da Dio a Marx ( Marx, a proposito delle rivoluzioni borghesi che hanno distrutto i valori del mondo antico, dirà che tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria ) e così facendo si fosse impelagato con una banda di poeti paroliberi, o parolieri. Ravelston è un intellettuale dell’alta borghesia aderente al marxismo, anche se si vergognava non era capace di tirare avanti senza la sua cospicua rendita di 800 sterline all’anno, secondo lui il minimo per campare, più di venti volte lo stipendio di Comstock. Inoltre “nutriva l’ingenua fiducia che entro breve tempo il socialismo avrebbe messo a posto ogni cosa. Il capitalismo era un fenomeno temporaneo che era nella sua ultima fase.” L’amico Ravelston rimaneva spesso imbarazzato ma non prendeva mai una posizione netta. Gordon sapeva benissimo che i contatti con i ricchi, come le gite in alta montagna, devono essere sempre brevi. Ravelston e Rosemary avrebbero volentieri aiutato finanziariamente Gordon ma lui non ne voleva sapere, rispondeva: “ Ho dichiarato guerra al denaro e devo stare alle regole del giuoco; la prima regola è di non accettare la carità, la carità uccide l’amicizia. Il cupo spleen di Orwell è rischiarato solo dal grande e incondizionato amore di Rosemary, lei che pensava a se stessa come una ragazzina e così la percepivano tutti gli altri, adorava Gordon e non si vergognava mai di dirgli quello che pensava; lei non diceva mai “ Gordon ha ragione in teoria “, era convinta che un buon posto di lavoro non si rifiuta mai però accettava la sua caparbia ricerca di povertà. Insisteva col suo tipico furore femminile, la sua pazienza e la sua costanza da donna, ma lo amava, sempre ( Le donne, come dice Andreoli, vivono di più, vivono più intensamente, e se lo meritano ) . Ma Gordon vuole scendere sempre più nel fango, nella palta di Dick, vive in un posto che è quasi uno slum, fa un lavoro da fallito all’estremo, un lavoro senza luce, senza via d’uscita, senza possibilità di riscatto. “ Ha solo il desiderio di sottrarsi ad ogni sforzo, a ogni decoro, di affondare, sprofondare nel fango. Non era solo dal denaro ch’egli si ritraeva ormai, ma dalla vita stessa.

disegno Roberto Fioroni

Quando ormai sembra tutto perduto, anche l’amore di Rosemary e l’amicizia con Ravelston, accade che Rosemary gli dice di essere incinta, ma non ha nessuna intenzione di legarlo con un matrimonio riparatore non voluto, al limite preferisce farsi macellare con un aborto. Gordon deve scegliere tra due possibilità, rifiuta senza esitazioni la possibilità di un aborto clandestino e decide di diventare un “ “uomo rispettabile” e di assumersi le responsabilità che aveva sempre scansato, bollandole come scelte di ordinario conformismo. Si rende conto che la sua scelta non è dovuta a Rosemary e al bambino, che sono comunque la ovvia causa e l’elemento di decantazione; alla fine Gordon non manca di vitalità e la squattrinata esistenza a cui si era condannato lo aveva spietatamente gettato fuori dalla corrente della vita. Decide di tornare a fare il pubblicista, tanto era un poeta e quello sapeva fare, scriverà le frasi dei cartelli pubblicitari che prima aveva sempre odiato. Capisce che “ la nostra civiltà è fondata sull’avidità e la paura, ma nelle vite della gentarella comune, avidità e paura sono misteriosamente tramutate in qualcosa di più nobile.” Quei piccoli borghesi là, dietro le loro tendine ricamate, coi loro figli, i loro mobili dozzinali e le loro aspidistre, essi vivevano secondo il codice del denaro, senza dubbio, e riuscivano ciò nonostante a conservare la loro dignità. Avevano le loro norme, i loro inviolabili punti d’onore. Si mantenevano rispettabili: facevano garrire le loro aspidistre, come bandiere. E poi erano vivi . Erano avvolti nell’involto della vita. Generavano figli, cosa che i santi e i salvatori di anime non hanno mai avuto il modo di fare. Le ultime tre parole del libro sono il pensiero di Gordon: “ Vicisti, o Aspidistra! “ Vince l’aspidistra, vince il sistema fondato sul denaro, ma resta la dignità dell’uomo e la sua difesa della famiglia, e le donne sono le vere eroine del romanzo, l’unica vera luce nel cupo, malinconico spleen, così realisticamente tracciato da Orwell; è la solita faccenda del dito e la luna, il problema non è il denaro ma l’uomo

Ai margini

Di Fernando Giannini.

Oggi una giornata di campagna. Mi sono dedicato ai marginali. Sono questi degli alberi un po’ speciali. Racchiudono in se’ l ‘assenza di una volontà  umana, nessuno li ha voluti, ma anche la forza di resistere al peggio, che in campagna vuol dire siccità, gelate  e malattie; ma oltre questo portano nel loro essere la vita che avviene nel terreno limitrofo, di cui risentono costantemente. Se il vicino ara molto e tu invece no, la tua pianta andrà con le radici e i rami verso quella direzione. E regalerà i suoi frutti di la dal muretto di pietre. Lo stesso vale per l acqua.                 

C é in questi alberi una stanca assenza che poi è proprio ciò  che li rende affascinanti ed in alcuni casi struggenti. Questo dipenderà anche dal tipo di albero. Quelli eleganti, ieratici armoniosi nella fronda, si vestiranno poco di quella marginalità. Quelli che rendono più il senso di essa sono i poveri mandorli o i perastri o le ficare o i melograni o i sorbi o le giuggiole. Ti dicono di abbandonarti alla vita ma di resistere, ti insegnano ad adattarti ma anche ad assorbire da ciò  che ti è  vicino. E proprio in questo abbandonarsi vivo, in questa passività  mediocre e senza pretese di aiuto, ti donano attraverso il frutto la loro dolcezza rustica.                         Sono come dei barboni o dei vecchi dimenticati da tutti che ti offrono inaspettatamente un viatico per esistere fatto di poche frasi e di sguardi fissi sull orizzonte.

La scoperta dell’acqua calda.

Di Vito Nigro

Possiamo permetterci di tornare indietro nel tempo con i nostri ricordi,con la mente, con i nostri pensieri; mai col tempo, il dejà vù non è altro che una allucinazione sensitivo-temporale che nasce nelle aree ancestrali del nostro cervello e per interconnessioni neuronali attraverso il lobo corticale temporale giunge alla corteccia frontale cognitiva.
Il tempo fugge e ci sfugge scorrendo sempre e solo in una direzione determinata, dal presente al futuro lasciando dietro il passato.
Quale legge fisica può dare ragione di questa elementare intuizione-sensazione, per quale legge della natura il tempo assume la direzione che pensiamo di misurare e che forse conoscendo di più sulla realtà dei buchi neri potremmo scoprire che ci stiamo ingannando.
Per il momento, qui ed ora per noi può valere come spiegazione razionale il secondo principio della termodinamica: il calore passa da un corpo caldo ad uno freddo e non viceversa.
Quest’unica legge è la sola che spiega la direzione del tempo in fisica; non ne hanno trovate di meglio Einstein con la relatività, Max Plank con la fisica quantistica; forse ci stava lavorando il recentemente scomparso scienziato affetto da SLA Stephen Hawkings.
L’enunciazione delle leggi della termodinamica sono opera del prussiano Rudolf Clausius nella seconda metà dell’800 ; citato da Carlo Rovelli, fisico teorico membro dell’Institut  Universitaire de France, (et altro ancora) nel suo libro – L’ordine del Tempo – (ed. Adelphi).
L’Entropia, di scolastica memoria, misura questa irreversibile direzione del calore ed è una quantità che in un sistema isolato può essere misurata e risulterà essere sempre maggiore o uguale a zero, cioè cresce sempre o resta uguale.
Il bello di questo principio della termodinamica ( il primo e quello della conservazione dell’energia) è che l’ho ritrovato citato con mia compiacente sorpresa leggendo un articolo di Raffaele Sinno, docente di Bioetica, dell’Univ. degli Studi di Bari, dal titolo “Questioni etiche e bioetiche nella bioeconomia: tra mercato globale e glocale” pubblicato su – L’Ancora nell’Unità di Salute -, rivista bimestrale di cui mi è stato fatto dono.
In questo articolo l’autore descrive e analizza le cause che portano l’uomo e la società ad un consumo sfrenato e scorretto delle risorse naturali e quindi il verificarsi consequenziale dell’effetto serra. Infatti poiché vige il secondo principio della termodinamica, secondo il quale l’energia in un dato sistema può solo aumentare, sarà necessario utilizzare sempre più fonti aggiuntive per contrastare la inefficienza del sistema.
L’utilizzo invece di fonti energetiche alternative, rinnovabili, come l’energia solare, non priverebbe certo le future generazioni di un bene prezioso inesauribile perlomeno nel “tempo-spazio dell’uomo” come invece sta succedendo per le acque dolci, le foreste, gli idrocarburi.
La Termodinamica insegna e permea la Bioeconomia per un mercato glocale vincente sul globale. E’ sufficiente uno spirito critico di osservazione per apprendere le nozioni basilari che tengono su il mondo, non senza una adeguata intelligenza intuitiva; cosa quest’ultima che sembra venir meno ai grandi politici del nostro tempo che sono arrivati a gingillarsi prima con il nucleare ed adesso ci provano con il genoma umano… clonando se stessi.
Rischiamo ancora una volta di farci male.
Lasciamo a Dio quel che è di Dio.
La prima clonazione umana non l’ha forse fatta Dio stesso quando prendendo dal costato di Adamo una cellula staminale creò Eva,con tanto di manipolazione genetica sui geni eterosessuali X Y; X X.
Se non è questa la SCOPERTA dell’ACQUA CALDA…ditemi voi

La Grecia al tempo dei colonnelli.

Di Carmela

. Ero in grecia con il mio compagno che a quel tempo non era nella resistenza contro i colonnelli. Quindi giravamo tranquilli in un paese in dittatura. Janis entrò in politica quando gli ammazzarono il fratello dopo averlo torturato a morte. Il regime era durissimo e lo scoprimmo a nostre spese quando vedemmo di essere controllati anche in italia da spie che si infiltravano nel nostro ambiente. Presero janis l anno dopo e così mi trovai a impegnarmi anch io come staffetta fra italia e grecia. L essere italiana alla frontiera mi facilitava ma non fu facile.
Ricordo sempre il giorno prima che i colonnelli prendessero il potere. Ero con janis nel giardino della mia casa siciliana. Gli aranci profumavano l aria e mangiavamo la caponata di mia madre. Fu l ultima volta che l ho mangiata. Non potrei piu. Da quel giorno e da quella ora per noi scese l inferno in terra. La serenita, dolcezza dei nostri incontri in un clima primaverile ed in un paesaggio che sa chi conosce la sicilia furino spazzati via da una tempesta di brutalità che non avremmo mai pensato esistere. Eravamo nati nella pace e nel benessere ed eravamo due ragazzi innamorati della vita. Cominciavamo a scoprire il sesso con molta delicatezza.
Penso da allora che ogni giorno sereno anche oggi puo essere l ultimo. Non potrò più essere ingenua inconsapevole innocente. La vita ci spiazza e ci spazza. Ianis morì come il fratello. Ritrovarono il corpo martoriato dalle torture in un canale mentre i corvi finivano il lavoro degli sgherri fascisti. Della sua famiglia rimase solo la povera madre che ogni estate andavo a trovare dalla sicilia. Ci guardavamo a lungo in silenzio mentre l immancabile cuccuma di caffè greco sbuffava sulla stufa ed il sole tramontava quasi a non risogere mai più.

 

La principessa dall’orchidea nera.

Di Fausto Carloni

….dormo a Larache in un
campament per turisti. Mi fermo spesso qui. Gratuito, ci
sono bagni puliti (rarità in Marocco) e un ristorante self
non troppo caro. In mattinata parto ed è il primo pomeriggio
quando passo sia Rabat che Casablanca. Di solito evito i
grossi centri vuoi per il traffico, vuoi per quel pò di
insicurezza che la massa ti da. Non in tutte le parti ma la
violenza è frutto a volte anche di una compressione altrui.
Scelgo la strada della costa quella di El-jadida, bella
cittadina di stile portoghese. Dormo in qualche parcheggio e
la mattina, dopo una buona colazione, parto alla volta di
Essaouira. Sono innamorato di questa città e non sono certo
il solo. Prima o poi mi ci fermerò un pò di tempo, almeno
qualche mese a scrivere e pensare. Vedremo….i buoni
propositi non mancano ed ogni volta che passo qui si
rafforzano (certo come dice un’altro maestro ci va il
tempo che ci va…tutto il tempo che
ci va..). Mi fermo 2 giorni. Vado all’ammam (specie di
bagno turco ). Sono un grande estimatore di questo
piacevolissimo luogo. Quando esci ti senti stanco, di quella
stanchezza rigeneratrice che ti fa sentire pulito e fresco.
Ho tempo, quanto non lo so poiche non ho impegni ma affetti,
per una madre anziana, parenti e amici a cui sono molto
legato. Il non lo so dipende come sempre da voglie, momenti
e situazioni. Non ho ancora deciso sulla principessa e non
dipende solo da me, spero solo che l’orchidea non
appassisca….e poi ritrovarla con le poche indicazioni che
ho…vedremo. Da molto non ho piu aspettative, questo vuol
dire che non avrò delusioni. Naturalmente è la parte
razionale che pensa cosi ma poi c’è tutto il
resto…… con tutte le aspettative del mondo. Qui apro una
lunga parentesi. Un viaggio del genere non si fa per una
donna o meglio per gli africani, è impensabile una cosa del
genere. Anche da noi i nostri nonni partivano per
migliorare le loro condizioni e il dettaglio di un
rapporto era solo la spinta in più. Cosi è per i tanti
africani che vengono qui (esistono sempre eccezioni in ogni
situazione). Questo vale sia per donne che per uomini. Siamo
strumenti dell’inevitabile uso e consumo per raggiungere
scopi. Che poi essere usati ci piaccia, ci fa comodo, ci
consapevolezzi ecc. è un’altra cosa. Nella razionalità
del dopo istinto, del dopo infautamento si valuta la
convenienza. Cosi ci si adegua ai rapporti di comodo. Col
tempo stima, fiducia e complicità si rafforzano, se cosi non
è beh…diventa quasi inevitabile la scissione. Facile
parlare o scrivere in generale poi ti trovi davanti a scelte
e li arrivano tutte le problematiche di un vissuto, di una
formazione, di un condizionamento sociale e culturale.
….tutto questo marasma di pensieri mi assale mentre da
Essaouira vado ad Agadir. Sono meno di 200 km ma la strada
è stretta e gran parte curvosa. Ai lati
km di piante di argan. Prima di arrivare ad Agadir si
intravedono zone piene di camper. Il clima qui è
ottimo tutto l’anno. Posto ideale per svernare. Mi fermo
una notte in città e parcheggio a fianco di un casinò. La
città non è molto grande ma vuoi per il clima, vuoi per la
tranquillità, è la meta piu gettonata dalle agenzie
turistiche. Qui vieni a riposarti e divertirti. La nostra
Rimini meno confusionaria. La scelta del parcheggio non è
un caso. Esco con un centinauio di euro in piu. Mi
basteranno per arrivare fino alla Mauritania( da qui ci sono
circa 1800 km) . Quando viaggi solo hai il fascino del
filosofo. Mentre lo fai, oltre le irrisorie problematiche
personali, sviluppi un modo di pensare profondista. Poi la
variante è caratteriale. Se sei ottimista fa futuristica e
la progettistica è rosea, se no……le difficoltà di un
bicchiere mezzo vuoto. Di solito il viaggiare rende realisti
facendoti acquisire la giusta misura che
pur personale è. Sono partito da Perugia dopo un incidente
stradale. Mi era venuto addosso uno scuterone che non aveva
fatto lo stop e mi aveva acciaccato la parte anteriore
destra. L’assicurazione mi aveva pagato e avevo deciso
di ripararlo qui in marocco poichè piu economico. Entro a
Dakhla e vado da Amed, carrozziere tuttofare conosciuto nei
precedenti viaggi. Ci accordiamo poi vado in dogana dove mi
rilasciano i documenti necessari ( non potrei uscire dal
paese senza il mezzo che è stato registrato in entrata) ed
ora vado a cercare un passaggio che mi porti in Mauritania.
Dakhla è l’ultima città marocchina e qui partono i
convogli scortati dai militari fino alla frontiera. Ai tempi
della guerriglia tra Marocco e fronte del Polisario (braccio
armato dei Sarawi) avevano minato la pista che portava al
confine, cosi dopo la fine del conflitto avevano provato a
disinnescare la strada, ma i rari mezzi che passavano a volte
subivano spiacevoli inconvenienti.
Ogni tanto qualche d’uno saltava. Poi con
l’apertura della frontiera avevano fatto i convogli con
scorta militare che partiva 1 volta la settimana (poi due
con l’aumentare del traffico) da Dakla. Per lo piu
pegiottari (sono coloro che vanno a vendere mezzi in africa
nera, ultimamente sono pochi. Non c’è piu guadagno,
ma tra metà anni settanta e fine anni ottanta vi era un
traffico notevole. Allora si passava per l’Algeria ed
era l’unica pista percorribile per arrivare in africa
nera via terra, ma anche rari turisti e avventurieri.
Avventuriero, strano termine da definire. Credo che rientri
in molte categorie: turisti, curiosi pellegrini, viaggiatori
ecc. però come parola è disprezzativa cosi almeno a me
sembra che sia catalogata. Invece credo che sia il
contrario…..non so. Si parte insieme all’uscita della
città dopo lungaggini burocratiche che durano ore e ore.
Una jeep militare ci accompagna per oltre i 350 km di
strada. Di solito ci si
impiega 2 giorni per arrivare e la notte si fa campo a metà strada circa.
Sono in un camion camper con tre ragazzi
tedeschi che vogliono andare in Camerun. Sono qui per la
prima volta. Silenziosi, gentili e discreti come lo sono la
maggior parte dei giovani tedeschi che incontri sulle strade
del mondo. Devo dire che sono quasi sempre disponibili a
darti una mano in caso di difficoltà. La notte, quando si
fa campo, si socializza e si ascoltano le tante storie
che il Sahara crea. Non ci sono italiani nel convoglio ma
due marocchini che vanno a consegnare la macchina in
Mauritania (noadhibou prima città che si incontra dove il
mio collega e predecessore ….bella
questa…. sant-exupery aveva casa) parlano italiano.
Viaggiano su una mercedes nuova e qui i traffici di macchine
sono tanti. Partono da Casablanca dove arrivano
dall’europa (alcune rubate, altre prese con i leasing e
poi denunciate per furto, altre taroccate e cosi via..) e
poi spedite con uno o due autisti in Mauritania dove i
controlli sono molto blandi e addomesticabili. Quando
arriviamo a Noadhibou è notte e dormiamo in un campeggio.
Il giorno dopo ci salutiamo con i ragazzi tedeschi con cui
sono venuto. Di solito si pagano i passaggi in quasi tutta
l’Africa ma loro non vogliono nulla. La prima volta che
sono capitato qui ero con il mio autobus e un gruppo di
persone. Volevamo girare un film sul rientro delle ceneri di
un africano che, morto e cremato in Europa, dovevano essere
sparse nella sua terra. Giovanni Makoschi aveva scritto la
sceneggiatura e tra i vari intenti di quel viaggio ( mostra
pittorica di Carmen e Tia giovani diplomate all’istituto
d’arte di Perugia, spettacoli teatrali di un gruppo di
Bologna, musica e canto di una coppia di
marchigiani-puglesi) avevamo quello di consegnare una
lettera e un pacco ad uno dei fratelli di Kadijia, una donna
sarawi che viveva in esilio a Livorno come rifugiata politica. Non
avevo messo tutti al corrente di questa consegna poiche era
una situazione particolare e non volevo coinvolgere altri in
questa piccola missione. Vi erano duri controlli delle
autorità marocchine su tutto quello che riguardava i
sarawi. Vi erano ancora strascici bellici e come spesso
avviene con le varie fazioni in conflitto di potere. Faceva
l’infermiere all’ospedale spagnolo. Con Carmelo (era
venuto a Livorno con me) andiamo a cercarlo. Ci invita a
casa sua dove ci fermiamo a mangiare e parlare. Ci racconta
la storia del popolo sarawi e ci fa conoscere quello che era
definito il capo delle armi del fronte del Polisario. Ogni
volta che passavo li’ ero ospite di qualche d’uno. Anche
quella volta dopo la notte al campeggio vado da lui. Saluti,
the, cuscus e tutto il repertorio dell’ospitalità. La
sera dopo sono invitato ad un matrimonio sarawi. Canti,
festa con orchestra venuta dalla capitale. I mauri sono la
razza dominante del paese. coloro che
decidono. Uno dei regali alla giovane sposa era una
ragazzina di circa 12 anni di pelle nera che avrebbe vissuto
la vita aiutando la sposa in tutto. Questa forma di
schiavitù (secondo loro) permetteva di far uscire quella
ragazza dalle forti difficoltà di sopravvivenza. Non so
giudicare. Usanze e condizioni di un paese sono difficilmente
capibili da formazioni culturali diverse.
Dopo tre giorni parto. Arrivo a Novaschot dopo due giorni pieni.
Sono circa 400 km di pista vera dove se il gruppo è
compatto si superano le difficoltà (insabbiamenti ed altro)
con allegra fatica. Qui il gruppo si scioglie. Prendo una
piccola stanza in hotel e conto di riposarmi qualche giorno
e poi andare in Senegal. La sera esco per mangiare un
boccone poi andare in un locale a curiosare
e………………la vedo come un miraggio che si
concretizza. è senza l’orchidea in mano e mi saluta
come se avessimo un appuntamento. La casualità, il
fatalismo sono proprie di questa
terra che sembra non stupire i suoi abitanti. Mi racconta
che vive li da due mesi dove era arrivata con un francese
che gli aveva promesso di portarla in Francia. Poi lui era
dovuto rientrare e non poteva o voleva portarla con se. Il
destino di molti, che illusi da aspettative che, senza
tenacia, convinzione e fortuna si perdono nei meandri della
difficoltà oggettive ( documenti soldi volonta altrui ecc).
Mi presenta a tutti come il suo uomo. Passo all’hotel
dove prendo lo zaino e mi trasferisco a casa sua. Vive in
una casa all’africana all’interno di un cortile dove
ci sono varie stanze fatte di paglia e fango e affittate a
non troppo. Stiamo li cinque giorni. Ci conosciamo meglio.
Bella, intelligente, in gamba, dignitosa, fiera e tantissime
qualità. Ma non scatta quella molla che supera la paura
della responsabilità. é l’alba quando ci lasciamo con
l’affetto profondo di persone che si stimano molto. Lo
so che sarebbe la persona giusta per
vivere una vita con fiducia ma in questo caso la paura è
piu forte. Finisce qui la storia della principessa
dall’orchidea nera. Una storia di…se…se…se che a
volte torna in mente come molti altri ricordi…

 

IL Personale è politico

Di Roberto Monchieri

Sono passati, anzi volati 40 anni dal 1977, è quindi il momento di piccole riflessioni o ricordi su un periodo denso di emozioni.
Ero qualche anno prima militante di ” Lotta continua ” che in quegli anni si stava sfaldando. Alcuni compagni ritenevano importante smettere con le chiacchere e passare all’azione, Altri come me avevano scoperto che l’ideologia e il far parte di un’organizzazione gerarchicamente strutturata era in qualche modo una schiavitù che imbrigliava la capacità di pensiero e giudizio autonomo.
Avevamo scoperto che (cosi si diceva con uno slogan in quel periodo ) IL PERSONALE é POLITICO,  in poche parole basta negare il sè in nome di un concetto  superiore come l’idea di rivoluzione. Tutte queste idee fluttuavano nell’aria, era una grande fucina in piena operatività.
Il giornale Lotta continua negli ultimi periodi prima della chiusura era diventato un centro di dibattito vivo attraverso le moltissime lettere che arrivavano al giornale e venivano pubblicate senza censura. Dibattito sulla propria vita, sull’amore , sul nuovo modo di immaginare il lavoro, sui rapporti tra compagni , sulla rivoluzione, sui rapporti tra i sessi, sull’omosessualità e su tantissimi altri argomenti.
Ricordo con grande emozione le giornate di quella che chiamavamo l’occupazione di Bologna poi culminata in una grande manifestazione. Non ci eravamo arrivati come organizzazione, ma come gruppi di compagni, di amici festanti . Una sensazione di risveglio generale che esplodeva nelle varie assemblee, in interventi di compagni di base non solo di dirigenti. Ci sembrava di aver instaurato il contropotere in città.
In quel periodo a Milano alcuni compagni, tra cui Mauro Rostagno, (poi ucciso dalla mafia in Sicilia), avevano affittato un grande stabile ex industriale, forse un ex magazzino del Corriere della sera , e nacque MACONDO, un posto meraviglioso in cui trovavano posto un sacco di iniziative culturali, attività economiche di alcuni compagni, cineforum, spettacoli teatrali , musica di gruppi nuovi , bar, thea room, massaggi, joga,e tanta creatività.Si stava distillando una nuova maniera di vivere e di pensare anche i rapporti umani. Ovviamente venne chiuso con la scusa della droga. IL POTERE è MOLTO ATTENTO AL PERICOLO DEL NUOVO NON CONTROLLATO.
Qualcuno può pensare che quel periodo ha generato un negativo riflusso nell’individualismo ma non è vero, non è del tutto vero. Quando ci incontriamo tra amici/compagni di quel periodo vedo che ancora brilla sotto la cenere la brace del libero pensiero e nella voglia di confrontarci ci riconosciamo.
Ovvio che queste sono i miei ricordi, le mie emozioni di quel periodo. Se interrogate quelli che poi chiamammo i “militonti ” o i fautori della lotta armata vi diranno altro.

Kurdistan: guerriglia come e perche’.

Di Donatella Perfetti

Spesso ci si domanda cosa spinge una persona giovane o adulta, uomo o donna,
ad unirsi alla guerriglia. Per un Curdo la risposta è quasi ovvia e anche se non
condivisa da tutti, è comunque compresa.
Noi invece dobbiamo innanzi tutto cercare di capire a fondo la situazione di questo
popolo e immedesimarci nella loro realtà. In Turchia ad esempio, ma anche negli
altri stati in cui il Kurdistan è diviso (Iran, Siria, Irak –dove dalla caduta di Saddam
Hussein c’è la regione autonoma del Kurdistan) i Curdi teoricamente hanno gli
stessi diritti e doveri degli altri cittadini, ma non è così. La loro lingua è proibita,
ammessa solo a livello familiare (per grande concessione da quando la Turchia
vuole entrare in Europa) cioè in pratica considerata come un dialetto che nessuno,
in nessuna parte del mondo si sognerebbe di proibire. Fino a qualche anno fa non era
raro essere arrestati se si parlava curdo in pubblico o ascoltare musica curda. Nel
2003 studenti universitari hanno manifestato per chiedere di poter studiare il
curdo “come lingua straniera”: son stati arrestati e poi, non potendo essere
trattenuti a lungo, sono stati sospesi per due anni, con le gravi conseguenze che si
possono immaginare.

Poche persone sanno che i comuni ricevono dallo stato un budget basato su vari
parametri tra cui il numero degli abitanti. Quasi tutte le città curde hanno
raddoppiato o triplicato il numero degli abitanti in questi ultimi vent’anni per
l’afflusso massiccio di profughi interni provenienti, per esempio, da villaggi
bombardati, ma questi non vengono considerati cittadini residenti e quindi le città
curde ricevono meno fondi rispetto alle altre e spesso i comuni non hanno soldi
nemmeno per le necessità più urgenti ed il degrado è evidente a chiunque .
In queste città, prendiamo ad esempio Shirnak, che ha un distretto molto vasto,
c’è un medico ogni 10.000 abitanti, e spesso non è nemmeno reperibile, perche’
costretto a girare da un posto all’altro, con lunghi percorsi in strade di montagna
non sempre agevoli. Proprio a Shirnak una associazione Italiana ha allestito un
ambulatorio che ora è chiuso perché manca il medico e spesso anche l’infermiere.
Ad Hakkari l’ospedale è stato chiuso per anni.. la struttura più vicina è a Wan, che
dista circa 200 km e 5 ore di viaggio!!!!

Donatella sulle rovine di Wan

C’è grande discriminazione sociale ed economica per cui difficilmente un curdo
può raggiungere alti livelli sociali e culturali, specialmente se si occupa di politica.
L’attuale partito filo-curdo, il BDP (Partito per la pace e la democrazia) ha
cambiato sigla numerose volte (DEP, HEP, HADEP, OZDEP, DEHAP,DTP) , perché di
volta in volta chiuso dalle autorità turche e riaperto con altre sigle.
Capi e funzionari del partito, sindaci regolarmente eletti, consiglieri comunali,
giornalisti sono stati quasi tutti in carcere per periodi più o meno lunghi, e molti
sono costretti a emigrare. Altri prendono il loro posto con una volontà veramente
eccezionale di fare sopravvivere una idea, ma con privazioni personali e collettive
altrettanto eccezionali.
Quasi ogni famiglia curda, specialmente nella parte piu’ orientale del paese,
distretti di Dersim ( ribattezzata Tunceli dai Turchi, come del resto tutte le città
curde hanno cambiato nome), Van, Hakkari, Shirnak, ha o ha avuto almeno un
membro in carcere, in guerriglia o ucciso: queste famiglie non possono piu’
usufruire della Carta Verde che da’ diritto all’assistenza sanitaria alle persone piu’
povere, restando così senza il minimo soccorso umanitario.
Gli scontri con la polizia sono frequenti sia durante i festeggiamenti del Newroz
(capodanno curdo, 21 marzo) che per ogni manifestazione organizzata dai curdi.
Altrettanto frequenti sono gli arresti, anche di minorenni, sparizioni, esecuzioni
extragiudiziarie. Il trattamento dei minorenni in carcere è davvero indecente e
non di rado i giovani subiscono violenze di ogni tipo tanto che se ne occupa anche
Amnesty International, ma i Media europei vergognosamente tacciono come
purtroppo hanno taciuto sul massacro di Roboski (un villaggio di montagna ai
confini con l’Irak,) quando il 28 dic. 2011 un aereo turco ha bombardato, senza
alcun motivo, con gas e ucciso 34 curdi inermi di cui 19 minorenni ed è tornato
indietro dopo circa mezz’ora per completare la strage quando i sopravvissuti
cercavano di venire in aiuto ai compagni. Su 36 persone solo due si sono salvate.
Questi esempi pur sommari e non esaustivi, danno comunque un’ idea della
situazione e fanno capire perché un giovane possa decidere di lasciare tutto ed
andare in montagna. La discriminazione sessuale che pesa sulle ragazze e i limiti
imposti da tradizioni e religione, sono altra causa di fughe in montagna, per
affiancarsi alla guerriglia .

la festa di Newroz, capodanno curdo

La vita di guerriglia è una vita molto dura, non tutti quando entrano sanno
esattamente quello che li aspetta, non tutti resistono. L’addestramento è di tipo
militare, con marce, esercizi, disciplina ferrea. Non ci sono normali campi di
addestramento in posti appositamente scelti e protetti. Qui si è in montagna tra
cime aspre e spesso aride con pareti scoscese e passaggi non agevoli e in inverno
c’è molta neve. Inoltre il nemico è sempre in agguato e può spuntare fuori da un
momento all’altro o sorvolare con aerei ed elicotteri pronti a bombardare, anche
con gas, appena vedono qualcosa muoversi o una postazione
Spesso addestramento e battaglia vanno di pari passo. Il giovane appena arrivato
è subito immerso in una realtà diversa, difficile, spesso sconvolgente . Nelle
montagne ci sono grotte o cavità naturali che possono essere sfruttate in maniera
temporanea, a volte si trovano case abbandonate. Ma più spesso si scavano
tunnel sotterranei (che per lo più ricalcano la forma delle abitazioni tradizionali
con corridoio al centro, due o tre camere da un lato e cucina e bagno dall’altro),
che sono un rifugio più sicuro per poter dormire, avvolgersi in coperte, quando
possibile accendere un fuoco per cucinare e scaldarsi e soprattutto non essere visti.
Questi rifugi, costruiti in fretta e con grande fatica quando arriva l’ inverno e
comincia a cadere la neve, comunque possono cambiare a seconda delle
circostanze e delle necessità contingenti.

Presenza militare turca

Durante le marce di spostamento il bagaglio deve essere essenziale, il più
possibile leggero per non essere impacciati nei movimenti; spesso capita di
dormire fuori e le notti sono fredde, per questo i guerriglieri devono essere ben
temprati e addestrati a sopportare ogni sorta di difficoltà, intemperie, disagi.
Per lavarsi ci sono le sorgenti, le cascate, i vari corsi d’acqua limpidi e puliti ma
certamente freddi e d’inverno gelidi. La sera spesso si usano calderoni messi sul
fuoco con dentro la neve in modo che, sciogliendosi fornisce acqua calda con cui
farsi il bagno etc. Gli uomini riescono a tagliarsi i capelli e farsi la barba ma in
genere in inverno la lasciano lunga, forse per mantenere un po’ più di calore.
Le marce di spostamento o in vista di una battaglia avvengono spesso di notte
e…….”ci guidano le stelle” come recita la nota canzone. Le camminate in lunga fila
si vedono per lo più nei films o……nei calendari. Queste si possono effettuare solo
in casi di estrema sicurezza soprattutto nel sud del Kurdistan (nord Irak), dove
minori sono i rischi di essere visti da ricognizioni turche o almeno sono fuori dalla
loro giurisdizione. Lì ci sono vere e proprie basi dove si concentrano molte
persone , si costruiscono villaggi militarizzati e si svolgono diverse attività non
solo destinate a fini bellici. Ad esempio qualche anno fa i guerriglieri hanno
costruito una piccola diga e con un generatore sono riusciti a portare la luce non
solo per se stessi ma anche ai villaggi vicini che ne erano privi.
I guerriglieri che operano nel Kurdistan del nord (attuale Turchia) sono per lo più
divisi in gruppi non molto numerosi, per poter nascondersi ed agire più
agevolmente, guidati da un capo responsabile. Si comincia ad avere responsabilità
di quattro persone, poi il numero aumenta progressivamente. Le “nomine”
avvengono dall’alto, in stretto ordine gerarchico e non si contestano. I requisiti
non sono l’anzianità ma meriti ottenuti sul campo, attitudini particolari, destrezza,
serietà. Può capitare infatti che un ragazzo giovane dopo pochi mesi di ingresso in
clandestinità venga scelto come capo di un gruppetto di persone più anziane di lui
e venga accettato di buon grado.
Le donne, per lo più ragazze, che scelgono di unirsi alla guerriglia mi sembrano
ancor più degne di ammirazione perché il loro fisico e il tipo di vita che hanno
sempre condotto le rendono meno adatte a sopportare le difficoltà che questo
nuovo genere di vita comporta. Ma certamente sono determinate e convinte
quanto i maschi. Quando le azioni sono comuni, durante gli spostamenti spesso
gli uomini aiutano le donne a portare il bagaglio o danno una mano nei punti più
difficili ma non c’è molta differenza tra quello che fanno uomini e donne; spesso si
viene a conoscenza di donne uccise in battaglia o in agguati; comunque fanno vita
un po’ separata e dormono in posti diversi.
L’amore è fortemente scoraggiato, soprattutto i rapporti sessuali in quanto
eventuali conseguenze sarebbero ingestibili nella vita di guerriglia. Ma è naturale e
inevitabile che nascano storie d’amore, più o meno palesi, più o meno forti e
anche molto belle.
La guerriglia non è solo lotta armata, è anche sinonimo di Libertà. Può sembrare
un controsenso considerando, ad esempio, il tipo di disciplina che vige tra
guerriglieri. Ma è così. Non sempre si combatte e nei lunghi periodi di tregua si
svolgono varie attività. Innanzi tutto si parla curdo, nelle sue varie componenti
(curmanchi, sorani, zazachi, gorani) e chi non lo sa, lo impara. Si seguono
corsi,cosa molto importante vista la scarsa cultura di molte persone che non
hanno potuto, e in alcuni casi voluto, andare a scuola. Nelle scuole turche infatti
gli studenti fin dalle elementari vengono imbottiti di idee e mentalità turca, la
storia viene distorta e addirittura negata ( secondo una certa mentalità i Curdi non
esistono, sono Turchi della montagna). Insegnamenti di lingua, storia, politica
vanno di pari passo. Ma la scuola di guerriglia è una scuola particolare (molto
moderna tra l’altro ) diversa dalle scuole normali e in cui le lezioni frontali sono
ridotte al minimo. Gli “insegnanti” vengono scelti dalla base. Ad esempio , si
sceglie un argomento da trattare: due o tre persone indicate, soprattutto in base
alle loro competenze specifiche (ci sono anche parecchi laureati) ma non solo,
questi si preparano per il tempo necessario e poi espongono l’argomento a cui
segue una discussione aperta, ad es. se due persone parlano tra di loro gli altri
ascoltano, imparano, intervengono a loro volta con domande spesso volte a “tirar
fuori” dall’interlocutore quello che già ha dentro ma non riesce ad esprimere,
oppure attraverso domande mirate riesce a rendersi conto dei propri errori. Un
po’ il metodo che di usava nell’antica Grecia con Socrate; il tutto avviene
democraticamente e con ordine, cosa che sarebbe abbastanza difficile da noi
quando tutti parlano insieme e poco si ascoltano gli altri.

scena vita quotidiana

Tra i guerriglieri si impara ad essere autonomi, a chiedere aiuto solo quando è
indispensabile, ma anche ad essere solidali, non solo tra di loro ma con le varie
persone con cui vengono in contatto. Si impara ,o si rafforza, il senso di umanità,
di giustizia, di lealtà. La loro forza sta soprattutto nella mente, nella convinzione
psicologica di lottare per una causa giusta: la libertà e la dignità di un popolo che è
il più antico che abita questa terra, anche se questo comporta a volte la necessità
di essere duri e inflessibili. (Non credo sia casuale ma per la mia esperienza
personale posso affermare con sicurezza che tra i numerosi curdi che conosco
quelli che sono stati in guerriglia sono i più seri e affidabili.)
Si sente spesso dire che il PKK si finanzia anche con la droga. Questo è del tutto
falso. Alcuni curdi, è vero, spacciano o sono corrieri di droga ma il PKK è
fortemente nemico della droga ; se qualche gruppo si imbatte nei corrieri la
droga viene sequestrata e bruciata. Il denaro invece viene tenuto, ma questo
capita di rado, come rarissimo è il caso di guerriglieri che ne approfittano e sono
così fuori dell’organizzazione. Lo stesso atteggiamento hanno i sindaci dei comuni
nei quali la droga comunque passa (dall’Afganistan, dall’Iran la Turchia è un
passaggio obbligato), un altro genere di contrabbando (ad es. benzina, generi di
prima necessità) è invece tollerato in quanto spesso è unica fonte di guadagno per
la povera gente.
Il principale sostentamento della guerriglia viene dai contributi che
volontariamente danno gli emigrati curdi , in proporzione al loro reddito; dai
pedaggi che i guerriglieri riscuotono per aiuto prestato nel trasferimento di greggi
da un paese all’altro (es. Iran Turchia) che i pastori fanno per vari motivi spesso
familiari: questa è una “transazione” che conviene a tutti perché le quote che
esigono le autorità di frontiera sono molto più alte. ( 1 continua)

Pensare e ricordare accorciano le distanze..

Di Fausto Carloni
…la strada che da Perugia porta a San Biagio non è bella da fare a piedi,  ma interessi (andare al parco giuochi) e voglia di camminare me la rendono attraente. In fondo è quasi come una breve tappa del cammino di Santiago e farla mi da quel benessere, magari solo psicologico, che appaga le proprie convinzioni come il camminare che fa bene. In fondo quando  cammini, e non lo fai per la dietistica, il colesterolo e cose varie, non usando cuffiette musicali e telefonini, ti porti dietro la profondità dei pensieri del solitario. Siamo troppo spesso attaccati al quotidiano che ci attanaglia con tutte le sue problematiche (lavoro, famiglia, amici, amanti, soldi ecc.) e ci rende spesso pettegoli, critici, invidiosi, superbi ecc.
La stazione di Perugia non è diversa dalle altre stazioni europee (concentrato di etnie che sperano in qualche colpo di fortuna; dopo un po si conoscono tutti, lo spacciatore, il pensionato, il sognatore, il rimorchione, il falso tassinaro, la prostituta, l’affittacamere ecc. In fondo l’aggregazione la cerchi nei luoghi di presenza. Una volta erano le piazze, poi gli stadi, i centri commerciali ecc. L’attraverso con l’attenzione del prudente (stare insieme da’ sicurezze e se c’é lo spaccone di turno che deve farsi ammirare o voler dimostrare una stupida supremazia può diventare scomodo per chi li passa ) e comincio a camminare in via Settevalli. Ma chi me lo fa fare,  mi chiedo. La pigrizia è una gran virtù se non diventa abitudine,  ma anche la determinazione lo è quindi cercare la giusta misura, valutarla con i momenti, gli umori, le voglie, gli obbiettivi, è risultanza di scelte. In questo cocktail di sensazioni arrivo al bivio fra Sette valli e Prepo. Qui la strada diventa meno trafficata. Nel passare le case popolari di Ponte la pietra vedo un africano in stile europeo. Mi chiedo da dove viene, ma i suoi lineamenti( alto dinoccolato, nero) mi fanno pensare al Senegal. Sono tentato di salutarlo nella sua lingua ,conosco solo 4-5 parole di wolof, e so che gli farebbe piacere ma la mia proverbiale timidezza mi fa solo ipotizzare il farlo.Il Senegal, scattano alcuni ricordi. Eravamo a Saint-Louis, la vecchia capitale, città di stile cubano. Bella e decadentista come lo sono certe città d’altri tempi. Eravamo li per consegnare un camion della spazzatura. Omaggio dell’associazione Alia e della sua voglia di conoscenza. Dovevamo anche girare un film di tutto questo con un percorso che da Genova a Tangeri , in nave , si inoltrava poi attraverso i deserti di Marocco e Mauritania fino ad arrivare a destinazione. Un viaggio lungo con un mezzo  che non faceva piu di 80 km. ora e consumava un litro ogni 2 km. Come sempre momenti piacevoli e tensioni si alternavano nel gruppo.Arrivati li siamo ospiti del Comune di Saint-Louis che ci mette a disposizione una specie di villetta. Una sera in cui avevano organizzato un concerto e molti di noi partecipavano, decisi di restare a casa da solo. Ero stanco, ma sopratutto volevo staccarmi un po dal gruppo ed avere un po di tempo per me, scrivere, leggere,pensare. In quell’ultimo mese non mi era stato possibile, cosi decisi che era la serata giusta. Dopo poco più di 2 ore provai ad addormentarmi. Troppo stanco per riuscirci, cosi in quel faticoso dormiveglia ripensavo a quanto fatto fin li. Le riprese, le persone incontrate, le discussioni i posti visti. Fu un rumore strano, di qualche cosa che cade,  a svegliarmi da quel torpore dove è difficile distinguere realtà e sogno. Mi alzo nudo e insicuro ( è strano come si é insicuri quando si é nudi) e vado verso la sala dalla parte opposta da dove ero io. Non faccio in tempo ad uscire dalla camera che mi vedo una persona che scappa con l’agilità di un gatto attraverso una porta che da’ sul cortile. Urlo, un urlo di paura, ma dura solo un attimo poi un urlo premeditato, di rabbia avendo capito la situazione.Ho aspettato un attimo ad uscire, non si sa mai, poi quando l’ho fatto niente in giro. Un controllo ed é sparita solo una piccola telecamera di poco valore.Il grosso dell’attrezzatura c’era come vi erano i bagagli importanti. Le varie ipotesi su chi, sul perche quella sera e altre considerazioni. Provo a dormire ma non ci riesco e al ritorno degli altri il racconto con l’immancabile chiacchiericcio. Tutto finisce con quel po’ di insicurezza che certe situazioni creano. Attraverso Ponte della pietra con la voglia di viaggiare. I ricordi stimolano nuove voglie, nuovi sogni,nuove conoscenze che arricchiscono quel bagaglio umano che l’esperienza di strada da’. La voglia attuale è la Cina. Vorrei arrivarci via terra con tutti gli sbattimenti che comporta un simile viaggio. Visti, treni, permessi, autobus, lingua, soldi incontri e sopratutto quell’ attraente mistero della scoperta. Dove non sai, non conosci, non ti crei il tuo pensiero ma vedi ,ascolti osservi, ti adatti , è una vera e propia palestra per la mente che poi trasforma in esperienza le risultanze finali. E’ propio di un viaggio cosi che ho bisogno ma non mi va di farlo da solo….aspetterò.  Arrivo al bivio che da via Settevalli si può andare all’interno di case nuove e zona industriale. Arrivo al semaforo e vedo due lavavetri. Mi chiedo da dove vengono. Mi tornano in mente i vari sbarchi di fine anni 80, inizi anni 90 dall’Albania all’italia. Con gommoni, barche a vela, motoscafi, piroscafi e mezzi similari rischiando a volte la vita per la speranza. La speranza è il contrario di rassegnazione. Speranza di un futuro, speranza di un lavoro, speranza di guadagni, speranza di felicità. La speranza è una dote del fatalista-ottimista. Poi perche lo fanno è capibile e credo che finche’ ci sarà qualche d’uno che soffre la fame ci saranno sempre barconi pronti a sbarcare da qualche parte. Altri ricordi…..mi telefona Giovanni Bazzucchi, un mio caro amico di gioventù,. Lui è geometra e lavora per lui ( o meglio in un cantiere che lui segue come tecnico) un albanese di nome Edoardo. Mi dice di una strana storia , di un tesoro nascosto nel suo paese, di sapere dove ma non poter cercarlo per mancanza di mezzi. Chi di noi non ha mai sperato di trovare un tesoro? Nelle prima metà degli anni 80 mi era capitata una lettera ( allora pulivo cantine e soffitte) di tale Peghin che parlava di un tesoro nel mantovano Insieme a Lida, impareggiabile amica, siamo partiti e abbiamo provato a cercarlo con le poche informazioni che avevamo. La lettera era degli anni 20 e un certo Pedro Corte l’aveva portata in italia dall’Argentina. Non abbiamo trovato nulla e i luoghi erano molto cambiati da allora e dalle informazioni avute. Siamo tornati a Perugia e dopo un po di tempo facendo vedere il documento storico ad un mio amico. Mi dice che una certa Laura Peghin lavora alla regione. Vado a parlarci e mi conferma che nel mantovano vi erano suoi parenti e nella sua famiglia il bisnonno era partito all’improvviso con una ballerina argentina per andare a vivere in quel paese.  Insomma  decido di conoscere Edoardo e una sera a cena a casa di Giovanni mi racconta la storia di questo tesoro. Dice che durante la ritirata tedesca i nazisti che avevano fatto razzie in Grecia, Macedonia e Albania hanno nascosto l’oro in un campo di propietà di un amico del suo amico. Non avendo metal-detector non sapevano come trovarlo e mi chiedeva se potevo procurarmene uno e accompagnarlo nella ricerca. Gli chiedo due giorni di tempo per informarmi. E’ vero che sono un credulone ( in particolare quando mi fa piacere) cosi piu’ che il tesoro fu la curiosità di andare a vedere l’Albania che aveva aperto da pochi mesi le frontiere a motivarmi. Telefono a Bussi Giuliano (sapevo che aveva un metal-detector) e gli spiego la cosa. Lui si entusiasma e il giorno dopo viene con Antonio Maestrini al bar Turreno dove pianifichiamo il viaggio. Tre giorni dopo a bordo di una Talbot solara (una macchina simile mi è rimasta in mezzo al deserto tra algeria e niger, ero con Giulio ma questa è un’altra storia) andiamo ad imbarcarci a Brindisi. Siamo in 4 con 2 metal detector a bordo. Edoardo è eccitato, Giuliano entusiasta e Antonio tiene banco raccontandoci le sue  avventure. Arriviamo a Durazzo e per sbarcare troviamo le prime difficoltà. Fortunatamente per far passare tutto e per la macchina paghiamo qualche cosa. Edoardo parla per facilitare ma è poco considerato. Io mi guardo intorno e mai avevo visto un posto cosi degradato. Mi metteva a disagio Eppure conoscevo i porti di Cotonou, di lome, di Adbijan, di Manila e tante altre dove miseria e sopravvivenza si accettano. Qui mi sembra una vera e propia corte dei miracoli con tante persone a chiedere, topi grossi come gatti nelle strade, poliziotti , militari e una puzza incredibile con una mancanza assoluta di igiene.Credo  che sia il fatto che vi erano tanti che  aspettavano i barconi della speranza. Mentre usciamo dal porto per dirigerci verso la casa di Edoardo ci fermano almeno 5 volte ( poliziotti, militari, civili con bande ai bracci) e tutti ci chiedono qualche cosa. Ci vogliono fare la multa perche’ abbiamo la targa (incredibile  è una delle rarissime macchine con la targa) . Se non fosse per quell’aria un po pesante ci sarebbe da ridere. Edoardo parla e sembra riuscire a convincere i suoi connazionali ( trova amici tra i gendarmi) a farci passare i controlli. LA casa di Edoardo è un palazzone degli anni 60 storto e malfatto e ci chiediamo come fa a stare in piedi. Ci vivono i genitori e un fratello e sorella. Ci offrono ospitalità e vogliono che restiamo la notte ma  Antonio e Giuliano vogliono andare in hotel . A malincuore mi unisco a loro. L’unico albergo è senza luce e costa caro. Il bagno è impraticabile  e le stanze grandi e decorate puzzano di muffa. Vista la maestosità doveva essere uno splendore ai tempi del regime. Loro una camera in due,  io una singola. La porta non si chiude cosi memore del Tex Willer fumettistico metto una sedia ad incastro sotto la maniglia per fare in modo che sia bloccata. Mi addormento pregustando una calda doccia mattutina. Non c’è acqua. Partiamo presto per andare da questo amico di Edoardo. Sale con noi e via di nuovo verso sud-est dove dovrebbe trovarsi il luogo di ricerca. Ci fermiamo varie volte e qui la situazione è completamente diversa che a Durazzo. Gente ospitale, orgogliosa e generosa, molto dignitosa. Sempre quando c’è un cambiamento in corso gira quell’aria di freschezza che fa pregustare aspettative. Di solito nulla cambia. Gli opportunisti, gli arroganti, i furbi, i superbi, e i meno scrupolosi si trovano in tutte le categorie umane. Nei partiti, nei movimenti, nei centri sociali. Certo, se non lo vuoi diventare non lo diventi, ma non è facile resistere agli abbagli e ai ricatti di un possibile potere. Sono due giorni che giriamo senza poter usare gli strumenti portati. L’amico dell’amico sembra scomparso e c’è preoccupazione per lui.Arriviamo in un villaggio dove riusciamo a trovarlo. E’ in ospedale (messo davvero male) per le percosse subite  dai gendarmi greci. Aveva provato a passare la frontiera di nascosto, ma lo hanno preso e mal ridotto. Bisogna aspettare che si rimetta  poichè è il solo che sa, secondo Edoardo. Decidiamo di ripartire per l’Italia vista l’aria poco tranquilla. Vendiamo la macchina a Tirana e via con il traghetto. Diversi mesi dopo mi telefona da Milano Edoardo dicendomi che il tesoro è stato trovato ed è sotto forma di una campana. I nazisti avevano fuso l’oro ( cosi credo) facendone una campana colorata in bronzo. Non so quanto sia vera questa storia di trasformazione, ma i dubbi mi restano e poi  non vedo il motivo di telefonarmi dopo tanto tempo. Mi riprendo dai ricordi e mi accorgo di essere arrivato a Pila. Il pensare e il ricordare accorciano le distanze….