La via anarchica di Murray Bookchin

Di Massimo Chiucchiu’

 

Comprendere Murray Bookchin significa integrarlo nel flusso storico dell’anarchismo sociale, specialmente quello di impronta russa, Kropotkin e il suo mutuo appoggio, ma anche nel più generico Illuminismo francese, con la fede che ha sempre nutrito nella capacità razionale dell’uomo. Certo, non tutto l’ Illuminismo era accettato da Bookchin come salvifico: “-l’Illuminismo del XVIII secolo aveva limiti non indifferenti, eccesso di razionalismo, meccanicismo, dualismo, ciononostante ha lasciato alla società valori ed ideali eroici.-”
Ed ancora: -” l’Illuminismo ha concepito l’idea di un interesse umano generale, contrapposto al provincialismo feudale……..
La più preziosa eredità lasciata dall’illuminismo e’ la concezione di un umanità come unità in una società libera, accomunata da ragione ed empatia-.”
Essendo intellettuale del ventesimo secolo, Bookchin è stato tra i primi ad innestare nel generico corpus dell’anarchismo libertario il concetto di ecologia, trapiantato nella pratica della società ecologica. Dobbiamo ricordare che il nostro autore viene da una tradizione culturale americana profondamente coinvolta in concetti come libertà e natura: esempio John Muir oppure H.D. Thoureau e la sua Disobbedienza Civile.
Il fascino della libertà e della natura incontaminata con cui l’uomo deve avere un rapporto paritario, vengono accettati di default da Bookchin e da tanti altri anarchici d’oltreoceano, con posizioni come il Primitivismo o la proposta provocatoria di Akim Bey. Ma Bookchin rimane legato in maniera ortodossa all’analisi sociale, bollando come” tentazioni antirazionali teistiche, antisecolari”certe manifestazioni scaturenti in seno ai movimenti femministi ed ecologisti.
Proprio il carattere ambiguo dei nostri tempi, la mancanza di identità individuale e di senso sociale, la perdita di fiducia in caratteristiche umane come il pensiero concettuale e sistematico, l’attacco diffuso contro la ragione, la scienza e la tecnologia come portatrici di soluzioni ai problemi, sono viste come matrici della condizione caotica in cui è piombata la società attuale.
Rifiutando la semplice contrapposizione tra società e natura, Bookchin afferma in primis che-” Tutti i problemi ecologici sono problemi sociali e non semplicemente il risultato di concezioni religiose, spirituali o politiche-“
L’emergere della società è un fatto naturale che trae la sua origine dalla biologia della socializzazione umana. “-I rapporti di sangue madre figlio e le cure parentali protratte nel tempo ci dicono che siamo in presenza non semplicemente della riproduzione biologica, ma della riproduzione della società stessa.-” La partecipazione il mutuo soccorso, la solidarietà, l’empatia, sono caratteristiche dei primi raggruppamenti umani, che in seguito si sono formalizzati in vere e proprie strutture sociali sempre più complesse.
L’ecologia sociale deve mostrare, secondo Bookchin, in quale momento dell’evoluzione sociale si sono prodotte queste rotture che hanno portato la contrapposizione tra società e mondo naturale.

Il trauma che ha prodotto Il dualismo società- natura, è da ascriversi all’emersione delle gerarchie nelle prime società umane. Il dominio dell’uomo sull’uomo è venuto prima dell’idea di dominare la natura.L’ ecologia sociale chiarifica come le gerarchie, in natura, sono proiezioni dei nostri sistemi di controllo sociale. In campo animale il dominante è occasionale: lo stesso termine di gerarchia, etimologicamente parlando, ha significato sociale, non zoologico; indica il livello in cui erano indicati dapprima gli Dei e in seguito le strutture del clero.
C’è un continuo forviante tentativo di individuare nel mondo naturale un carattere etico. L’intenzionalità e la volontà animale sono troppo limitate per produrre un etica.
L’ecologia sociale evita i semplicismi delle concezioni dualistiche marxiste e la rozzezza del riduzionismo ecologico, che fa tabula rasa della cultura umana. Le società organiche preletterate erano formate sul principio del “minimo irriducibile, sull’arte della persuasione, sull’ uguaglianza sostanziale ed infine sull’usufrutto”. Le risorse disponibili a chiunque ne avesse bisogno. A spezzare questo equilibrio tra pari, la logica e i dati antropologici a nostra disposizione suggeriscono che la causa sia scaturita dal prestigio accumulato dagli anziani, che appaiono essere coloro che hanno dato il via ai primi sistemi istituzionalizzati di comando ed obbedienza.
La differenziazione gerarchica, rimodellando le relazioni esistenti nelle società preletterate, ha dato origine ad un sistema di status, in anticipo all’emersione di relazioni strettamente economiche, che stanno alla base dell’analisi sociale marxista. La gerontocrazia, a giudizio di Bookchin, è stata la prima forma di gerarchia ed il primo caso in cui la conoscenza di dati, tecniche di sopravvivenza è diventato territorio esclusivo degli anziani dei villaggi. Anche il ruolo della donna, dapprima paritario, dato che molte società arcaiche erano matricentriche , vedi il culto della dea madre, è franato in posizione subalterna rispetto allo status dell’anziano saggio.

La successiva svolta storica, che incontriamo è stata l’emergere delle prime città, ambito territoriale in cui le affinità ancestrali, basate sui vincoli di sangue, sono state sostituite dal luogo di residenza e vincoli economici.
“-La gerarchia è entrata a far parte integrante dell’inconscio umano, mentre le classi sociali diventano l’aspetto più rilevante di un umanità conflittuale e divisa-“.
Terza ed attuale svolta storica é quella dell’avvento degli stati nazionali e del capitalismo industriale. Tutto questo incedere storico, nota Bookchin, non è stato così lineare come sembrerebbe ad una superficiale analisi storica, ma pieno di deviazioni, di compromessi, di contaminazioni che risultano superflue in una trattazione così sommaria e rapida rispetto alla ponderosa ricerca antropologica dell’autore.
Basta, ad esempio, ricordare il bivio in cui si è ritrovata l’Europa medievale quando poteva muoversi nella direzione di una Confederazione di città stato, come avvenne nel episodio storico della sconfitta del Barbarossa ad opera delle città dell’Italia settentrionale. Per Bookchin le città italiane nel Medioevo rappresentano un esempio mirabile di come si dovrebbero organizzare i consorzi umani attraverso un consesso di municipalità In equilibrio. Durante il periodo successivo c’erano forze non irrilevanti che tendevano ad inibire lo sviluppo e l’ascesa del capitalismo, come i consorzi artigianali che privilegiavano la cooperazione rispetto alla competizione.
“-L’ideale del limite, la fiducia nella Grecia classica, nella aurea mediocritas non ha mai perso interamente la propria influenza.-”

Purtroppo la storia non si fa con i “se” e con i “ma”, sappiamo tutti com’è andata a finire. La situazione catastrofica in cui si trova il nostro pianeta, tra effetto serra e cambiamenti climatici, inquinamento dei mari, rischio estinzione per molte specie viventi, porta Bookchin a postulare che il capitalismo sia inemendabile, irreformabile, essendo intrinseca alla sua natura l’uso e l’abuso delle risorse naturali. Bisogna volgersi verso nuove, o antiche, forme di rapporti sociali. Per questo l’autore nega legittimità a quelle organizzazioni ecologiste che svolgono attività parlamentare, legittimando con questo lo Stato e le sue funzioni.
Stato che, nella riflessione dell’autore,non puo’ essere rappresentato nel Parlamentarismo perche’ “-ogni uomo normale ha competenza nel gestire i problemi della societa’ e della comunita’ di cui è membro-“.
Il nuovo programma libertario va riformato tenendo presente il più certo dei limiti del capitalismo:“- il limite ecologico che il mondo naturale oppone alla crescita incontrollata-“.
Le decisioni, in ambito comunitario, prese a maggioranza in assemblea popolare. Le soluzioni pratiche che si possono attualizzare per dar voce all’impellenza del cambiamento sono schematicamente : Orticoltura organica, acquacultura, energia da fonti rinnovabili, tecniche compostaggio e riciclo rifiuti, confederazioni di comuni, rifiuto nazionalizzazione imprese, municipalismo libertario, assemblee cittadine, economia basata su sistemi federativi a base regionale, trasporti con veicoli collettivi, attività lavorative diversificate favorenti le inclinazioni personali, produzione improntata alla qualità artigianale, impianti industriali piccoli e polivalentì, sviluppo di strumenti che permettono il risparmio del lavoro e favoriscono il tempo libero.
Nel variegato mondo dell’anarchismo americano Bookchin è figura eminente, ma anche piuttosto isolata rispetto ad altre forme di anarchia più nichiliste come il biocentrismo, che nega l’unicità e la peculiarità della collocazione umana nella natura, oppure l’Anarco- primitivismo,di impronta rousseuiana, che vagheggia il ripudio totale della tecnologia e del linguaggio.
In Bookchin la teleologia, un disegno Divino nel destino umano, è bandita, ma non un’evoluzione verso una crescente differenziazione, complessità, individualità che vede nell’umanità il suo apice. Rivoluzione partecipativa, sviluppo cosciente che, con scelte che, seppur limitate, contengono gli elementi di una libertà. L’umanità è voce potenziale della natura che si fa coscienza di sé, che si autodetermina.
Per Bookchin il biocentrismo svaluta l’attività volontaria dell’uomo e ciò è contraddittorio rispetto al fatto che l’anarchismo è intervento attivo nel mondo. L’etica ecologica afferma che la realtà è sempre formativa, ciò che può essere è altrettanto reale e oggettivo di ciò che è in un dato momento.

Da smaliziati naviganti del xxì secolo non possiamo non notare certe “forzature” intellettuali a cui l’autore sottopone la realtà sociale.
Tralasciando le continue critiche tra le varie anime anarchiche (invero soprattutto di matrice americana), incentrate sul ruolo dell’uomo nel divenire oppure sull’ingenua fiducia nel “mutuo appoggio” di Kropotkiniana memoria, il pensiero di Bookchin ha fortemente
influenzato il Movimento politico del Kurdistan Libero, che ha messo in pratica nelle sue enclaves, pur con le difficolta’ del caso, parte dei suoi dettami, in primis municipalismo e ruolo politico paritario tra uomini e donne.( Il doppio sindaco in alcune citta’ liberate).
Ma cio’ che lascia piu’ perplesso nel nostro Autore, e piu’ in generale nell’Anarchismo, e’ squisitamente filosofico: come e’ possibile tralasciare, nella disamina della genesi delle gerarchie come fattore divisivo uomo-natura, come e’ possibile, dicevo, dimenticare il ruolo del Sacro, inteso non nel senso religioso ma nell’ancor piu’ antico senso del Mistero e della Paura all’alba della cognizione umana, e come e’ possibile tralasciare l’assetto psicologico dell’uomo moderno, quello che chiamiamo Coscienza Individuale?
Paleoantropologia, cognitivismo, linguistica, filosofia del corpo convergono verso un’analisi complessa delle societa’ umane che mancano completamente nell’anarchismo, che pare rimane limitato all’ambito sociologico, pur con lo sforzo che fa rispetto al marxismo che individua nelle classi economiche il nodo del problema. A mio parere anche lo sguardo anarchico e’ miope, riflettendo in Bookchin certe infatuazioni della sua epoca, come quella della messa al bando della gerontocrazia maschile creatrice della prima
frattura sociale gerarchica.

La scoperta dell’acqua calda.

Di Vito Nigro

Possiamo permetterci di tornare indietro nel tempo con i nostri ricordi,con la mente, con i nostri pensieri; mai col tempo, il dejà vù non è altro che una allucinazione sensitivo-temporale che nasce nelle aree ancestrali del nostro cervello e per interconnessioni neuronali attraverso il lobo corticale temporale giunge alla corteccia frontale cognitiva.
Il tempo fugge e ci sfugge scorrendo sempre e solo in una direzione determinata, dal presente al futuro lasciando dietro il passato.
Quale legge fisica può dare ragione di questa elementare intuizione-sensazione, per quale legge della natura il tempo assume la direzione che pensiamo di misurare e che forse conoscendo di più sulla realtà dei buchi neri potremmo scoprire che ci stiamo ingannando.
Per il momento, qui ed ora per noi può valere come spiegazione razionale il secondo principio della termodinamica: il calore passa da un corpo caldo ad uno freddo e non viceversa.
Quest’unica legge è la sola che spiega la direzione del tempo in fisica; non ne hanno trovate di meglio Einstein con la relatività, Max Plank con la fisica quantistica; forse ci stava lavorando il recentemente scomparso scienziato affetto da SLA Stephen Hawkings.
L’enunciazione delle leggi della termodinamica sono opera del prussiano Rudolf Clausius nella seconda metà dell’800 ; citato da Carlo Rovelli, fisico teorico membro dell’Institut  Universitaire de France, (et altro ancora) nel suo libro – L’ordine del Tempo – (ed. Adelphi).
L’Entropia, di scolastica memoria, misura questa irreversibile direzione del calore ed è una quantità che in un sistema isolato può essere misurata e risulterà essere sempre maggiore o uguale a zero, cioè cresce sempre o resta uguale.
Il bello di questo principio della termodinamica ( il primo e quello della conservazione dell’energia) è che l’ho ritrovato citato con mia compiacente sorpresa leggendo un articolo di Raffaele Sinno, docente di Bioetica, dell’Univ. degli Studi di Bari, dal titolo “Questioni etiche e bioetiche nella bioeconomia: tra mercato globale e glocale” pubblicato su – L’Ancora nell’Unità di Salute -, rivista bimestrale di cui mi è stato fatto dono.
In questo articolo l’autore descrive e analizza le cause che portano l’uomo e la società ad un consumo sfrenato e scorretto delle risorse naturali e quindi il verificarsi consequenziale dell’effetto serra. Infatti poiché vige il secondo principio della termodinamica, secondo il quale l’energia in un dato sistema può solo aumentare, sarà necessario utilizzare sempre più fonti aggiuntive per contrastare la inefficienza del sistema.
L’utilizzo invece di fonti energetiche alternative, rinnovabili, come l’energia solare, non priverebbe certo le future generazioni di un bene prezioso inesauribile perlomeno nel “tempo-spazio dell’uomo” come invece sta succedendo per le acque dolci, le foreste, gli idrocarburi.
La Termodinamica insegna e permea la Bioeconomia per un mercato glocale vincente sul globale. E’ sufficiente uno spirito critico di osservazione per apprendere le nozioni basilari che tengono su il mondo, non senza una adeguata intelligenza intuitiva; cosa quest’ultima che sembra venir meno ai grandi politici del nostro tempo che sono arrivati a gingillarsi prima con il nucleare ed adesso ci provano con il genoma umano… clonando se stessi.
Rischiamo ancora una volta di farci male.
Lasciamo a Dio quel che è di Dio.
La prima clonazione umana non l’ha forse fatta Dio stesso quando prendendo dal costato di Adamo una cellula staminale creò Eva,con tanto di manipolazione genetica sui geni eterosessuali X Y; X X.
Se non è questa la SCOPERTA dell’ACQUA CALDA…ditemi voi

La Grecia al tempo dei colonnelli.

Di Carmela

. Ero in grecia con il mio compagno che a quel tempo non era nella resistenza contro i colonnelli. Quindi giravamo tranquilli in un paese in dittatura. Janis entrò in politica quando gli ammazzarono il fratello dopo averlo torturato a morte. Il regime era durissimo e lo scoprimmo a nostre spese quando vedemmo di essere controllati anche in italia da spie che si infiltravano nel nostro ambiente. Presero janis l anno dopo e così mi trovai a impegnarmi anch io come staffetta fra italia e grecia. L essere italiana alla frontiera mi facilitava ma non fu facile.
Ricordo sempre il giorno prima che i colonnelli prendessero il potere. Ero con janis nel giardino della mia casa siciliana. Gli aranci profumavano l aria e mangiavamo la caponata di mia madre. Fu l ultima volta che l ho mangiata. Non potrei piu. Da quel giorno e da quella ora per noi scese l inferno in terra. La serenita, dolcezza dei nostri incontri in un clima primaverile ed in un paesaggio che sa chi conosce la sicilia furino spazzati via da una tempesta di brutalità che non avremmo mai pensato esistere. Eravamo nati nella pace e nel benessere ed eravamo due ragazzi innamorati della vita. Cominciavamo a scoprire il sesso con molta delicatezza.
Penso da allora che ogni giorno sereno anche oggi puo essere l ultimo. Non potrò più essere ingenua inconsapevole innocente. La vita ci spiazza e ci spazza. Ianis morì come il fratello. Ritrovarono il corpo martoriato dalle torture in un canale mentre i corvi finivano il lavoro degli sgherri fascisti. Della sua famiglia rimase solo la povera madre che ogni estate andavo a trovare dalla sicilia. Ci guardavamo a lungo in silenzio mentre l immancabile cuccuma di caffè greco sbuffava sulla stufa ed il sole tramontava quasi a non risogere mai più.

 

Alle radici del libertarismo: Andrea Caffi su Marx e Proudhon

Di Fernando Giannini

La constatazione che di socialismi ce ne sono stati tanti e`scontata.
Interessa pero` la infinita differenza fra le due matrici fondamentali del socialismo. Differenza che portera` a risultati opposti: da una parte il socialismo autoritario
 e dall`altra il socialismo libertario, due forme di incontrare la realta` e dare risposte
inconciliabili tra loro.
Marx si fa intravedere molto bene nel suo modello autoritario quando attacca Proudhon. Facendosi forte delle sue conoscenze in economia politica ebbe gioco facile nel criticare il francese su questi aspetti. Non valutava che il pensiero di Proudhon partiva da basi opposte nelle sue coordinate.
Marx non riusci` cosi` a cogliere il senso del socialismo umanitario del francese. Il tedesco era quanto mai preso con diversi suoi contemporanei da un bisogno di superare una visione mitologica della storia cercando un`organizzazione razionale dell`osservazione e delle sue conseguenze. Si cercava febbrilmente di riportare il prodigioso, la superstizione, il miracolismo nei limiti del reale, del palpabile, dell`abituale.
Era una strada che gia` il nichilismo russo aveva percorso negli anni 30 (Nadezdin, Katkov), negando qualsiasi cosa non fosse reale quando sottoposta al vaglio della razionalita` scientifica. Niente di nuovo sotto il sole ma con Marx le cose cambiano. La sua e` urgenza di rendere scientifico un materiale umano, sociale di osservazione per dare basi solide, matematiche in un certo senso alle sue teorie.
Qui Caffi e` illuminante con le sue parole: “La scienza puo` analizzare all`infinito la nostra esperienza dell`essere sociale e del divenire storico in atto o passato. Il problema di una compenetrazione sintetica che sia comprensione assoluta esce dal terreno della scienza e l`intelligenza non vi accede che per folgorazioni momentanee nell ispirazione artistica, nel simbolismo mitologico…”
Lo stesso Proudhon si considerava scientifico nelle sue osservazioni e categorizzazioni come tutti coloro che appartenevano alle scuole socialiste, ma qui torna Caffi a chiarire le differenze:” Il marxismo vorrebbe che si accettasse come scientificamente indiscutibile non solo un insieme di fatti verificati, ma tutta una veduta d`insieme del destino del genere umano dall`ascia neolitica alla macchina a vapore e da questa alla bomba atomica”.
Continua Caffi: “ si dice che nella ricerca scientifica un solo fatto osservato basta a mettere in forse una teoria. La strana presunzione propria del marxismo e` che tutti i fatti che gli storici potranno scoprire dovranno confermare lo schema stabilito nella prefazione alla Critica dell`economia politica, a condizione che li si consideri secondo il metodo del materialismo dialettico”.
Considerando che il socialismo, checche` Marx volesse imporre, rappresenta piuttosto un corpo di idee ed una espressione sociale, e non una scienza in sviluppo vorrei riprendere da E. Durkheim:”il socialismo non e` una scienza, una sociologia in miniatura, e` un grido di dolore ed a volte di collera degli uomini che sentono piu` vivamente il nostro male collettivo”.
Per concludere riporto alcuni passi di scritti caffiani che chiariscono al contempo tanto il pensiero del nostro quanto le basi operative di una societa` organizzata in forma libertaria.
Il seguente scritto e` ripreso da “Societa` e Gerarchia” 1945:
“1. Ogni istituzione sociale ha come unica ragion d`essere quella di assicurare la felicita` dell`uomo cosciente della propria individualita`.
2.La felicita` dell`essere umano, per precarie che ne siano le possibilita` trattandosi di un organismo perituro e di un`intelligenza la cui sete di conoscenza non puo` per definizione essere mai soddisfatta, consiste nello sviluppo quanto piu` completo
possibile di tutte le facolta` del corpo e dello spirito e nel
raggiungimento di una coerenza sostenuta e giustificata dalla ragione negli atti e
nei pensieri che formano il corso di una vita. Tale sviluppo e tale coerenza non sono possibili che attraverso l`integrazione della persona in una comunita`.
3.La liberta` della persona e` limitata dagli impegni che si suppongono liberamente contratti per il fatto stesso di aderire ad una comunita`.
Tali impegni comportano da un canto una condotta nella quale sentimenti e passioni siano nella misura del possibile sottoposti al controllo della ragione, dall`altro che si accetti piena responsabilita` per il benessere di tutte le persone con le quali si e` liberamente associato e per il mantenimento della giustizia nei rapporti sociali. Ogni membro della comunita`
sociale libera del tipo che sto qui immaginando e`personalmente responsabile
 di ogni negligenza o mancanza di solidarieta che si verifichi nella
comunita`. La solidarieta` dei membri e` d`altra parte fondata e sostenuta sulla reciprocita` spontanea dei rapporti di aiuto reciproco, di reciproca educazione e di messa in comune delle esperienze acquisite.
4. La realizzazione di una tale comunita` si identifica con la realizzazione delle norme della giustizia: e` quindi un ideale che richiede di essere continuamente nutrito dalla pratica. La giustizia implica l`eguaglianza assoluta delle persone unite in societa`. L`eguaglianza e` indispensabile perche` i rapporti fra gli individui rimangano spontanei e perche` ogni persona possa avere piena coscienza della propria liberta`, responsabilita` e dignita`, senza cui la nozione stessa di felicita` umana perderebbe di significato.
5. La giustizia non puo` assicurare la felicita` dell`uomo che se e` applicata in maniera assoluta. Cio`implica in primo luogo che i rapporti di comunita` fra eguali devono estendersi a tutti gli uomini, senza mai ammettere alcuna idea di superiorita` o inferiorita` ne` fra persone ne` fra gruppi.In secondo luogo cio` esige che quando la debolezza di un individuo a causa della sua eta`, della sua infermita` o della sua ignoranza, rende necessaria una tutela protettiva o educatrice da parte della comunita`, tale sorveglianza
ed assistenza dovranno esercitarsi in modo da rispettare l`autonomia sovrana della persona, evitando ogni sopraffazione e violenza contro il suo essere intimo. La giustizia inoltre implica che la persona non e`soggetta al giudizio dei suoi simili.
Nessuna nozione di bene o di male anche se consacrata dal consenso unanime degli altri, puo` essere imposta ad una coscienza umana senza il suo consenso.
Nel caso di legittima difesa o di forza maggiore in cui la comunita` si vede costretta a eliminare o ridurre all`impotenza uno dei suoi membri, si tratta di una
misura pratica senza alcun valore morale, la quale deve quindi essere accompagnata da ogni sorta di precauzioni e garanzie”.
Anche da questo decalogo emerge chiaramente come
-il libertarismo sia profondamente incardinato nei concetti di liberta` e responsabilita` individuale. E`esso un processo di maturazione continuo dell`individuo che compone le comunita`. Parte dal basso ed abbisogna inderogabilmente di un percorso emancipativo personale, difficilmente pensabile in forme istituzionali ma piuttosto attraverso il confronto. Da questo deriva la grande attenzione che i libertari hanno sempre posto sul processo educativo libertario ed il contrasto che hanno posto a modelli sociali decisi e calati dall`alto.
-mentre la sinistra di matrice marxista, li`dove ha preso il potere in forma assolutistica ha privilegiato il modello blandamente partecipativo, potremmo dire ipocritamente partecipativo, in quanto unica forma di assimilazione possibile dell’individuo al modello autoritario.

Il limite critico in illich

Di Massimo Chiucchiu’

Un altro approccio in cui il concetto di limite assume forte rilevanza,
con ricadute nel sociale di piu’ ampia portata rispetto a quello indagato nell’opera
di Nicola Chiaromonte, si riscontra nel pensiero del cristiano-anarchico Ivan illich.
Nella sua principale e conosciuta opera, La convivialita’, egli cerca di individuare
e dimostrare il limite critico oltre il quale non si ha piu’ equilibrio all’interno della
triade uomo-strumento-societa’; disequilibrio alla base della schiavitu’ umana nei
confronti della macchina, della societa’ tecnologica e del profitto.
L’uomo diviene accessorio rispetto ai meccanismi che ha messo in moto, un semplice
ingranaggio burocratico. Profetiche le parole di Illich:- “Se vogliamo poter
dire qualcosa sul mondo futuro,disegnare i contorni di una societa’ a venire che non
sia iper-industriale, dobbiamo riconoscere l’esistenza di scale e limiti naturali.
Esistono delle soglie che non si possono superare. Infatti,superato il limite, lo
strumento da servitore diventa despota. Oltrepassata la soglia, la societa’ diventa
scuola, prigione, ospedale e comincia la Grande Reclusione.-
Per evitare la grande reclusione, Illich individua la soglia da non superare nel
concetto di convivialita’.

Una societa’ sana e’ quella in cui gli strumenti siano utilizzabili dalle persone integrate
in collettivita’, e non gerarchicamente nella disponibilita’ di un gruppo di specialisti.
L’uomo a cui tende Illich non vive solo di beni e servizi, impostigli dall’alto come bisogni,
per lo piu’ fittizi, ma e’ un uomo che puo’ liberamente modellare e conformare al proprio
gusto gli oggetti che gli stanno attorno, di servirsene con gli altri e per gli altri.
Ed ancora:-“Ognuno di noi si definisce nel rapporto con gli altri e con l’ambiente e per
la struttura di fondo degli strumenti che utilizza. Questi strumenti si possono ordinare
in una serie continua avente ad un estremo lo strumento dominante e all’estremo
opposto lo strumento conviviale: il passaggio dalla produttivita’ alla convivialita’ e’
il passaggio dalla ripetizione della carenza alla spontaneita’ del dono-
Ad un valore di pura tecnica si sostituisce un valore etico. Con la convivialita’ si
attua l’equilibrio tra liberta’ individuale realizzata in una societa’ di strumenti efficaci.
Si procede cosi’ per il circolo virtuoso di un’ umanizzazione dell’economia di mercato che
favorisce la realizzazione dell’individuo senza creare scarsita’ ne’ bisogni imposti o fittizi.
Il terreno in cui viene coltivata la convivialita’ e’ quello dell’amicizia, della capacita’ di
confrontarsi con l’altro, in uno spazio lasciato aperto all’immediatezza, all’intimita’,
alla liberta’ dell’incontro. Per questo illich insiste sul carattere non conviviale di
istituzioni come le scuole, le carceri, gli ospedali, apparati statali volti a separare
con tecnicismi vari il “me” dal “te”.

Particolarmente efficace appare nel’autore l’analisi della secolarizzazione della societa’ occidentale, avvenuta in eta’ moderna, non in funzione di qualche perduta sacralita’, come avviene per esempio in Nietzche, ma come puntuale analisi sociologica di una compiuta trasformazione dall’uomo comune all’uomo bisognoso, intesi come categorie antropologiche.
Oggi la stragrande parte dell’umanita’ accetta senza condizioni la propria dipendenza da
beni e servizi, dipendenza chiamata bisogno, dipendenza soddisfatta da macroorganismi
che nessun rapporto hanno con l’umano, con la sua sfera emotiva.
illch osserva, nel libro Elogio della cospirazione, che le basi della moderna
civilta’ occidentale, piu’ precisamente l’idea di pace e comunita’, come essenza della
convivenza civile delle prime citta’ europee, é mediato dal cattolicissimo concetto
di Conspiratio, respiro condiviso, il bacio sulla bocca della solenne liturgia
ecclesiastica, in cui i partecipanti al culto condividevano il loro respiro nella comunione.
Con Conspiratio si pone in evidenza l’espressione somatica forte, chiara, non
equivoca, che designa il processo non gerarchico di creazione di uno spirito di
fraternita’ e condivisione.
Questo e’ il tratto autentico dello spirito europeo pretecnologico e prescientifico,
mai sorto nel mondo prima di allora.
La Conspiratio, per Illich, precede la Conjuratio, il giuramento solenne davanti a Dio,
alla base del contratto sociale delle libere citta’ medioevali.Se, come detto, il cattolicesimo e’ stato la mappa da cui ha preso abbrivio la modernita’,
e, con essa, l’organizzazione statuale, le scienze, , ed in ultima analisi
il dominio tecnorazionale, parte dei guasti sociali ed ecologici di cui
oggi diamo testimonianza, sono sottilmente evidenziati da illich, e fatti originare in una
sottesa involuzione del mandato evangelico:”Come fenomeno della storia della Chiesa,
come parte dell’Ecclesiologia corrotta – corruptio ottimi qui est pessima-”
(La cospirazione cristiana nella tirannia della scienza e della tecnica-Angeli ed 2016).
illich qui trova conforto nell’antico pensiero di Gregorio Magno, “non c’é niente di peggio
della corruzione del meglio”, fulmineo paradosso che spiega senza ambiguita’ la caduta
inconsapevole, per troppo “ardore”, della chiesa rispetto al regolare la carita’, garantire
la speranza e assicurare la salvezza. Il Regno di Dio sulla terra.
Qui il pensiero di illich aderisce completamente a quello di Chiaromonte:” L’idea di
accordare i due regni, l’uomo e il mondo, e’ l’errore degli errori…..(N. Chiaromonte-
Taccuini).
Dunque, per illich la Chiesa e’ responsabile della corruzione, ma non colpevole: non e’
la malafede a caratterizzare il suo mandato dal Medioevo ad oggi, ma una miope
inconsapevolezza delle conseguenze del suo operato.
La presa in carico comunitaria dei senza tetto, delle vedove, dei poveri
degli stranieri, e’ un idea che non appare in altre culture, come invece e’ stato fatto
dalla Chiesa Cattolica gia’ da molti secoli.
La Carita’, che Gesu’ dimostra nella parabola del buon Samaritano essere un atto
personale di libera scelta, viene istituzionalizzata in un mandato evangelico che ci
porta al concetto di servizio, e la nostra societa’ e’, oggi, essenzialmente una
societa’ di servizi. La stessa teologia si adatta al concetto di scopo.Da qui la
progressiva virtualizzazione dei rapporti umani mediati da organizzazioni sempre
piu’ lontane e coercitive. L’antica domanda fatta a Gesu’; “Chi e’ l’altro?
L’altro e’ chi vuoi tu,,” diventa per la Chiesa : “Cosa devo fare per l’altro?“, diventando manifesto della chiesa militante.

In questo, che pare essere una innocente conversione che “razionalizza” esigenze
ed istanze di popolazioni e rapporti sociali e statuali sempre piu’ complessi, in questo,
dicevamo, si annida il primo germe di una delega che gli uomini hanno concesso
alle istituzioni ed alle organizzazioni, che hanno sempre piu’ voracemente occupato
spazi che dapprima erano prerogativa del fecondo rapporto di amicizia e fratellanza
dei consimili. Le strutture cosi’ formatesi hanno cominciato a vivere di vita propria,
ognuna con le proprie esigenze di sopravvivenza e di rappresentanza, lasciando
in un angolo i motivi per cui erano state create. Le parti sono ribaltate, l’uomo
chiede perche’ ha bisogno, non e’ piu’ pernio della sua vita.
Se pensate che il pensiero di illich sia pura utopia, giungera’ il tempo in cui le sue
parole assumeranno ben altro spessore rispetto alle certezze dell’attuale
razionalismo storicistico; mi auguro solo che non sia troppo tardi.

 

La principessa dall’orchidea nera.

Di Fausto Carloni

….dormo a Larache in un
campament per turisti. Mi fermo spesso qui. Gratuito, ci
sono bagni puliti (rarità in Marocco) e un ristorante self
non troppo caro. In mattinata parto ed è il primo pomeriggio
quando passo sia Rabat che Casablanca. Di solito evito i
grossi centri vuoi per il traffico, vuoi per quel pò di
insicurezza che la massa ti da. Non in tutte le parti ma la
violenza è frutto a volte anche di una compressione altrui.
Scelgo la strada della costa quella di El-jadida, bella
cittadina di stile portoghese. Dormo in qualche parcheggio e
la mattina, dopo una buona colazione, parto alla volta di
Essaouira. Sono innamorato di questa città e non sono certo
il solo. Prima o poi mi ci fermerò un pò di tempo, almeno
qualche mese a scrivere e pensare. Vedremo….i buoni
propositi non mancano ed ogni volta che passo qui si
rafforzano (certo come dice un’altro maestro ci va il
tempo che ci va…tutto il tempo che
ci va..). Mi fermo 2 giorni. Vado all’ammam (specie di
bagno turco ). Sono un grande estimatore di questo
piacevolissimo luogo. Quando esci ti senti stanco, di quella
stanchezza rigeneratrice che ti fa sentire pulito e fresco.
Ho tempo, quanto non lo so poiche non ho impegni ma affetti,
per una madre anziana, parenti e amici a cui sono molto
legato. Il non lo so dipende come sempre da voglie, momenti
e situazioni. Non ho ancora deciso sulla principessa e non
dipende solo da me, spero solo che l’orchidea non
appassisca….e poi ritrovarla con le poche indicazioni che
ho…vedremo. Da molto non ho piu aspettative, questo vuol
dire che non avrò delusioni. Naturalmente è la parte
razionale che pensa cosi ma poi c’è tutto il
resto…… con tutte le aspettative del mondo. Qui apro una
lunga parentesi. Un viaggio del genere non si fa per una
donna o meglio per gli africani, è impensabile una cosa del
genere. Anche da noi i nostri nonni partivano per
migliorare le loro condizioni e il dettaglio di un
rapporto era solo la spinta in più. Cosi è per i tanti
africani che vengono qui (esistono sempre eccezioni in ogni
situazione). Questo vale sia per donne che per uomini. Siamo
strumenti dell’inevitabile uso e consumo per raggiungere
scopi. Che poi essere usati ci piaccia, ci fa comodo, ci
consapevolezzi ecc. è un’altra cosa. Nella razionalità
del dopo istinto, del dopo infautamento si valuta la
convenienza. Cosi ci si adegua ai rapporti di comodo. Col
tempo stima, fiducia e complicità si rafforzano, se cosi non
è beh…diventa quasi inevitabile la scissione. Facile
parlare o scrivere in generale poi ti trovi davanti a scelte
e li arrivano tutte le problematiche di un vissuto, di una
formazione, di un condizionamento sociale e culturale.
….tutto questo marasma di pensieri mi assale mentre da
Essaouira vado ad Agadir. Sono meno di 200 km ma la strada
è stretta e gran parte curvosa. Ai lati
km di piante di argan. Prima di arrivare ad Agadir si
intravedono zone piene di camper. Il clima qui è
ottimo tutto l’anno. Posto ideale per svernare. Mi fermo
una notte in città e parcheggio a fianco di un casinò. La
città non è molto grande ma vuoi per il clima, vuoi per la
tranquillità, è la meta piu gettonata dalle agenzie
turistiche. Qui vieni a riposarti e divertirti. La nostra
Rimini meno confusionaria. La scelta del parcheggio non è
un caso. Esco con un centinauio di euro in piu. Mi
basteranno per arrivare fino alla Mauritania( da qui ci sono
circa 1800 km) . Quando viaggi solo hai il fascino del
filosofo. Mentre lo fai, oltre le irrisorie problematiche
personali, sviluppi un modo di pensare profondista. Poi la
variante è caratteriale. Se sei ottimista fa futuristica e
la progettistica è rosea, se no……le difficoltà di un
bicchiere mezzo vuoto. Di solito il viaggiare rende realisti
facendoti acquisire la giusta misura che
pur personale è. Sono partito da Perugia dopo un incidente
stradale. Mi era venuto addosso uno scuterone che non aveva
fatto lo stop e mi aveva acciaccato la parte anteriore
destra. L’assicurazione mi aveva pagato e avevo deciso
di ripararlo qui in marocco poichè piu economico. Entro a
Dakhla e vado da Amed, carrozziere tuttofare conosciuto nei
precedenti viaggi. Ci accordiamo poi vado in dogana dove mi
rilasciano i documenti necessari ( non potrei uscire dal
paese senza il mezzo che è stato registrato in entrata) ed
ora vado a cercare un passaggio che mi porti in Mauritania.
Dakhla è l’ultima città marocchina e qui partono i
convogli scortati dai militari fino alla frontiera. Ai tempi
della guerriglia tra Marocco e fronte del Polisario (braccio
armato dei Sarawi) avevano minato la pista che portava al
confine, cosi dopo la fine del conflitto avevano provato a
disinnescare la strada, ma i rari mezzi che passavano a volte
subivano spiacevoli inconvenienti.
Ogni tanto qualche d’uno saltava. Poi con
l’apertura della frontiera avevano fatto i convogli con
scorta militare che partiva 1 volta la settimana (poi due
con l’aumentare del traffico) da Dakla. Per lo piu
pegiottari (sono coloro che vanno a vendere mezzi in africa
nera, ultimamente sono pochi. Non c’è piu guadagno,
ma tra metà anni settanta e fine anni ottanta vi era un
traffico notevole. Allora si passava per l’Algeria ed
era l’unica pista percorribile per arrivare in africa
nera via terra, ma anche rari turisti e avventurieri.
Avventuriero, strano termine da definire. Credo che rientri
in molte categorie: turisti, curiosi pellegrini, viaggiatori
ecc. però come parola è disprezzativa cosi almeno a me
sembra che sia catalogata. Invece credo che sia il
contrario…..non so. Si parte insieme all’uscita della
città dopo lungaggini burocratiche che durano ore e ore.
Una jeep militare ci accompagna per oltre i 350 km di
strada. Di solito ci si
impiega 2 giorni per arrivare e la notte si fa campo a metà strada circa.
Sono in un camion camper con tre ragazzi
tedeschi che vogliono andare in Camerun. Sono qui per la
prima volta. Silenziosi, gentili e discreti come lo sono la
maggior parte dei giovani tedeschi che incontri sulle strade
del mondo. Devo dire che sono quasi sempre disponibili a
darti una mano in caso di difficoltà. La notte, quando si
fa campo, si socializza e si ascoltano le tante storie
che il Sahara crea. Non ci sono italiani nel convoglio ma
due marocchini che vanno a consegnare la macchina in
Mauritania (noadhibou prima città che si incontra dove il
mio collega e predecessore ….bella
questa…. sant-exupery aveva casa) parlano italiano.
Viaggiano su una mercedes nuova e qui i traffici di macchine
sono tanti. Partono da Casablanca dove arrivano
dall’europa (alcune rubate, altre prese con i leasing e
poi denunciate per furto, altre taroccate e cosi via..) e
poi spedite con uno o due autisti in Mauritania dove i
controlli sono molto blandi e addomesticabili. Quando
arriviamo a Noadhibou è notte e dormiamo in un campeggio.
Il giorno dopo ci salutiamo con i ragazzi tedeschi con cui
sono venuto. Di solito si pagano i passaggi in quasi tutta
l’Africa ma loro non vogliono nulla. La prima volta che
sono capitato qui ero con il mio autobus e un gruppo di
persone. Volevamo girare un film sul rientro delle ceneri di
un africano che, morto e cremato in Europa, dovevano essere
sparse nella sua terra. Giovanni Makoschi aveva scritto la
sceneggiatura e tra i vari intenti di quel viaggio ( mostra
pittorica di Carmen e Tia giovani diplomate all’istituto
d’arte di Perugia, spettacoli teatrali di un gruppo di
Bologna, musica e canto di una coppia di
marchigiani-puglesi) avevamo quello di consegnare una
lettera e un pacco ad uno dei fratelli di Kadijia, una donna
sarawi che viveva in esilio a Livorno come rifugiata politica. Non
avevo messo tutti al corrente di questa consegna poiche era
una situazione particolare e non volevo coinvolgere altri in
questa piccola missione. Vi erano duri controlli delle
autorità marocchine su tutto quello che riguardava i
sarawi. Vi erano ancora strascici bellici e come spesso
avviene con le varie fazioni in conflitto di potere. Faceva
l’infermiere all’ospedale spagnolo. Con Carmelo (era
venuto a Livorno con me) andiamo a cercarlo. Ci invita a
casa sua dove ci fermiamo a mangiare e parlare. Ci racconta
la storia del popolo sarawi e ci fa conoscere quello che era
definito il capo delle armi del fronte del Polisario. Ogni
volta che passavo li’ ero ospite di qualche d’uno. Anche
quella volta dopo la notte al campeggio vado da lui. Saluti,
the, cuscus e tutto il repertorio dell’ospitalità. La
sera dopo sono invitato ad un matrimonio sarawi. Canti,
festa con orchestra venuta dalla capitale. I mauri sono la
razza dominante del paese. coloro che
decidono. Uno dei regali alla giovane sposa era una
ragazzina di circa 12 anni di pelle nera che avrebbe vissuto
la vita aiutando la sposa in tutto. Questa forma di
schiavitù (secondo loro) permetteva di far uscire quella
ragazza dalle forti difficoltà di sopravvivenza. Non so
giudicare. Usanze e condizioni di un paese sono difficilmente
capibili da formazioni culturali diverse.
Dopo tre giorni parto. Arrivo a Novaschot dopo due giorni pieni.
Sono circa 400 km di pista vera dove se il gruppo è
compatto si superano le difficoltà (insabbiamenti ed altro)
con allegra fatica. Qui il gruppo si scioglie. Prendo una
piccola stanza in hotel e conto di riposarmi qualche giorno
e poi andare in Senegal. La sera esco per mangiare un
boccone poi andare in un locale a curiosare
e………………la vedo come un miraggio che si
concretizza. è senza l’orchidea in mano e mi saluta
come se avessimo un appuntamento. La casualità, il
fatalismo sono proprie di questa
terra che sembra non stupire i suoi abitanti. Mi racconta
che vive li da due mesi dove era arrivata con un francese
che gli aveva promesso di portarla in Francia. Poi lui era
dovuto rientrare e non poteva o voleva portarla con se. Il
destino di molti, che illusi da aspettative che, senza
tenacia, convinzione e fortuna si perdono nei meandri della
difficoltà oggettive ( documenti soldi volonta altrui ecc).
Mi presenta a tutti come il suo uomo. Passo all’hotel
dove prendo lo zaino e mi trasferisco a casa sua. Vive in
una casa all’africana all’interno di un cortile dove
ci sono varie stanze fatte di paglia e fango e affittate a
non troppo. Stiamo li cinque giorni. Ci conosciamo meglio.
Bella, intelligente, in gamba, dignitosa, fiera e tantissime
qualità. Ma non scatta quella molla che supera la paura
della responsabilità. é l’alba quando ci lasciamo con
l’affetto profondo di persone che si stimano molto. Lo
so che sarebbe la persona giusta per
vivere una vita con fiducia ma in questo caso la paura è
piu forte. Finisce qui la storia della principessa
dall’orchidea nera. Una storia di…se…se…se che a
volte torna in mente come molti altri ricordi…

 

L’estetica del semplice

Di Roberto Fioroni
Forse perché non mi è ancora passata la crisi dei cinquant’anni ma provo,
sempre più spesso, una irrinunciabile necessità interiore di godere di
immagini semplici in un mondo che ci propone, con intensità crescente, una
sovrabbondanza di immagini sofisticate, ad alta definizione, spesso troppe e
troppo dense per i nostri sensi.
Oltre alle immagini il mio fastidio lo sento anche per tutto il complesso di
stimolazioni che interessano i nostri sensi, a partire da quello meno
ancestrale e più sofisticato, adatto ai nostri tempi, che è la vista. Anche gli
altri sensi vengono spesso coinvolti, come ad esempio l’udito con i rumori.
Questa sovrabbondanza o ridondanza è provocata in genere dai mass
media, e allora mi tocca di coinvolgere in questo discorso McLuhan e la sua
geniale distinzione tra mass media caldi e freddi: per essere semplicisti i
mass media freddi sono quelli poco ricchi di particolari e di stimoli, nel caso
specifico veniva presa come esempio di medium freddo la televisione di
allora, cioè degli anni ’50, che era sgranata, in bianco e nero, con suoni poco
limpidi; a questo punto il genio di McLuhan ci spiegava che la mancanza di
definizione era completata dai nostri sensi, dalla nostra fantasia, dalla
percezione della buona forma; perciò un medium freddo ci consente una
maggiore partecipazione emotiva, una stimolazione maggiore della nostra
fantasia, oltre a un maggiore senso di pace. E’ questo il punto fondamentale,
non abbiamo una necessità continua di immagini definite, ricche di particolari,
ridondanti di colori e di forme; non abbiamo questa necessità in nessun
campo e anche nell’estetica, nell’arte e nell’architettura. In proposito mi
ricordo di un trittico di quadri dipinti solo di colore bianco su tela bianca,
esposti al Centre Pompidou a Parigi, in mezzo ad una moltitudine di opere
variopinte; questi tre quadri bianchi, con cornice bianca, mi sembra di
ricordare che furono “dipinti” da Christo, il celebre impacchettatore di
monumenti. Penso che abbia voluto suggerirci una pausa, un vuoto, un
momento di silenzio, come il bianco tra le lettere, inframezzato in un
marasma di stimoli eccessivi. In architettura il migliore concetto di semplice
avviene con l’uso del vuoto, come ad esempio la piazza, o nel paesaggio una
radura tra i boschi; oppure per fare un esempio a noi vicino, cioè nella nostra
Perugia di oggi, come il vuoto sotto gli archi di un edificio, che non andrebbe
mai riempito; infatti vi sembra una buona operazione estetica andare a
riempire, con altre note musicali, le pause di silenzio di una vecchia sinfonia?

Commento di Massimo 21-11-2019

Riprendo questo vecchio articolo perche’ sento il desiderio di approfondirlo,visto che
nasconde,anzi per dir meglio abbozza, uno degli aspetti che piu’ hanno influenzato le
mie ricerche intellettuali, e che a buon diritto costituisce il problema per eccellenza
con cui ci confrontiamo agli estremi confini del pensiero umano:il Nulla.
Quando si parla di vuoto l’accostamento sorge immediato e l’autore dell’articolo ne parla
compiutamente alla fine del pezzo, in riferimento ad arte ed architettura, abbozzando
anche l’importanza delle pause in ogni forma di comunicazione.Per l’approfondimento mi avvalgo di uno stimolante allegato scovato nella rete a firma di Gianfranco Bertagni, un gigante erudito,
in fondo non molto conosciuto,ma che merita di esser letto con attenzione.Tralascio dell’articolo la parte dedicata all’impatto del Nulla in filosofia, che ha dato luogo a fiumi di pensieri di eccelsi filosofi antichi e moderni, sfociati nel moloch in cui ci confrontiamo ancora oggi: il Nichilismo.

La parola a Gianfranco Bertagni:

Il silenzio dell’arte

L’arte è un mezzo per esprimere ciò che si sente: poichè in condizioni dapprima eccezionali,
e poi sempre più comuni, il sentire di alcune `civiltà’ è l’alienazione, il nulla ha acquistato
un ruolo consistente nelle loro rappresentazioni artistiche.

Parole
La prima apparizione letteraria del nulla è forse nel libro ix dell’Odissea : dopo essere rimasto
intrappolato nella grotta di Polifemo con i suoi compagni, Ulisse (Odisseus: OdnsseuV) dice astutamente al ciclope di chiamarsi Nessuno (Oudeis: OudeiV),1 e lo acceca; quando gli altri ciclopi accorrono alle urla di Polifemo e gli domandano se abbia bisogno di aiuto, egli risponde che Nessuno gli sta facendo del male; l’equivoco impedisce loro di aiutarlo, e permette invece ad Ulisse di attendere l’occasione propizia per fuggire.

In seguito il nulla divenne una costante di riferimento della letteratura tragica: dai classici greci che lo subirono nell’amaro destino, ai romantici ottocenteschi che lo corteggiarono con nostalgica malinconia.
In casa nostra un campione di questo atteggiamento fu Giacomo Leopardi, nel cui canto Ad Angelo Mai il nulla affiora come immagine universale: della condizione umana
(a noi presso la culla, immoto siede, e su la tomba, il nulla'', 74-75), della conoscenza (discoprendo, solo il nulla s’accresce”, 99-100), e della realtà stessa
(ombra reale e salda ti parve il nulla'', 130-132). E sul tema egli ritornò frequentemente, da La ginestra (questo globo ove l’uomo è nulla”, 172-173) allo Zibaldone (il principio delle cose, e di Dio stesso, è il nulla'';tutto è nulla al mondo, anche la mia disperazione”; “è un nulla anche questo mio dolore”).

Nella direzione opposta alla tragicità, i nonsense di Lewis Carroll mostrano invece come il nulla possa avere effetti comici devastanti. In Alice nel paese delle meraviglie ad Alice viene offerto del vino inesistente; il gatto del Cheshire svanisce lentamente, fino a che non ne rimane nulla se non il ghigno; e la regina pretende che si decapiti la testa del gatto, benchè essa non abbia un corpo. In Attraverso lo specchio dapprima il Re Bianco si stupisce che Alice abbia la vista così buona da riuscire a vedere che nessuno è in arrivo; e quando il messaggero arriva senza aver superato nessuno, il re conferma che questi è stato visto anche da Alice, e deduce che
nessuno cammina più lento del messaggero, altrimenti sarebbe arrivato prima di lui.

Passando dal nulla stesso alle sue metafore, la più nota è certo il nichilismo : un termine inizialmente introdotto nel 1862 da Turgenev in Padri e figli , per indicare il rifiuto radicale dei valori stabiliti che caratterizza il conflitto generazionale. Detto dai padri, biologici o spirituali, siete tutti nichilisti'' significa dunque: non rispettate nulla” (beninteso, di ciò che noi rispettiamo''). Raccontato dai letterati, il nichilismo raggiunse il suo apice nell'ottocento nei romanzi di Dostoievski, in particolare negli atteggiamenti di personaggi quali Raskolnikov in Delitto e castigo , Stavrogin nei Demoni , e Ivan nei Fratelli Karamazov . Nel novecento il nichilismo letterario subì poi varie metamorfosi, dallagenerazione perduta” di Gertrude Stein alla “gioventù bruciata” di James Dean, per culminare infine nella letteratura esistenzialista francese dell’ultimo dopoguerra, da La nausea di Jean Paul Sartre a Lo straniero di Albert Camus.

Un altra metafora quasi scontata del nulla è il tema dell’ assenza : e le opere che parlano di qualcuno che non c’è o non arriva abbondano, dai Sei personaggi in cerca di autore di Luigi Pirandello all’Aspettando Godot di Samuel Beckett.

Altrettanto immediata è la metafora dell’ombra : dalla Storia straordinaria di Peter Schlemihl di Adelbert von Chamisso,del 1812, a Peter Pan e Wendy di James Matthew Barrie, del 1911, sino al film Luna e l’altra di Maurizio Nichetti, del 1997,
si narrano le avventure di ombre che si staccano dai rispettivi corpi e acquistano vita propria
.

Una terza ovvia metafora del nulla è il buco . Nell’era elisabettiana con `nulla’ si intendeva più precisamente quel buco primordiale e prototipale che è la vagina: il che permise allora a William Shakespeare di descrivere le tresche amorose come Tanto rumore per nulla , e permette a noi ora di annettere ai discorsi sul nulla buona parte della letteratura mondiale
. Rimanendo però più sul letterale, come opere sui buchi si possono citare: Il tunnel di Dürrenmatt, del 1952; Yellow submarine di George Dunning, del 1968, che è il viaggio dei Beatles nel mare dei buchi; e Chi ha incastrato Roger Rabbit di Robert Zemeckis, del 1982 (in entrambi i film al momento opportuno dei buchi vengono estratti da una tasca provvidenziale, e applicati al muro per permettere la fuga in situazioni disperate).

Se però assenze, ombre e buchi sono metafore letterarie del nulla, solo il silenzio ne è la realizzazione letterale.
Il silenzio della mente è stato elogiato da Socrate
(tutto ciò che so è che non si può sapere nulla'') e da Chuang Tzu (il vero sapere è sapere che ci sono cose che non si possono sapere”). Al silenzio della bocca hanno invece incitato memorabilmente Lao Tze con il chi sa non parla, chi parla non sa'' (Tao Tze Ching , lxxxi), e Wittgenstein con ilsu ciò di cui non si può parlare, si deve tacere” (Tractatus , 7). Quest’ultimo era però
già stato anticipato e superato nel 1786 da Lorenzo da Ponte, librettista delle Nozze di Figaro : di fronte all’accusa di essersi ispirato ad un’opera di Beaumarchais bandita dalla corte, egli si era infatti giustificato sostenendo che“su ciò di cui non si può parlare, si può cantare”, suggerendo che le limitazioni del linguaggio possono essere superate da una sua estensione quale il canto, che non è solo linguaggio (essendo anche musica).

Una realizzazione pratica del silenzio può essere l’opera letteraria non stampata, non terminata o addirittura non scritta, di cui esistono svariati esempi: i grandi profeti, da Socrate a Cristo, hanno solo parlato; il famoso secondo libro della Poetica di Aristotele forse non è mai stato scritto; libri certamente mai scritti sono stati recensiti da Jorge Luis Borges
in Finzioni , e da Stanislav Lem in Vuoto perfetto ; Marcel Bénabou ha analizzato la sua inesistente produzione inPerchè non ho scritto nessuno dei miei libri , di cui viene detto e ripetuto che non è un libro; Suburbia , di Paul Fournel, è un’opera completa di prefazione, introduzione, note, postfazione, indice ed errata corrige,ma non di testo; gli ultimi due capitoli, il xviii e il xix, del Tristam Shandy di Laurence Sterne consistono di fogli bianchi, così come il Saggio sul silenzio di Elbert Hubbard, la monografia Serpenti delle Hawaii dello Zoo di Honolulu,
e il The n \bigcircthing book che viene venduto negli Stati Uniti.

Suoni
Se nella musica, secondo Da Ponte, il canto può essere considerato una forma paradossale e metaforica di silenzio, la pausa ne è una versione letterale, e svolge nella notazione musicale un ruolo analogo a quello dello spazio fra parole nella scrittura moderna (nella scrittura antica, così come nel parlato, le parole non sono staccate fra loro),
o dello zero nella notazione numerica. A differenza di questa, però, in cui le ripetizioni di 0 sono indicate per esteso, in musica ci sono otto tipi di pause (breve, semibreve, minima, semiminima, croma, semicroma, biscroma, semibiscroma),
ciascuna di durata doppia della seguente: esse possono essere seguite da un punto (che ne moltiplica il valore per 1,5), o sovrastate da una corona (che ne prolunga il valore arbitrariamente), ma non collegate da una legatura.

La composizione musicale che ha più sfruttato il silenzio è 4’33” di John Cage, che si articola in tre movimenti:30” , 2’23” e 1’40” . La durata totale è di 273”, che sono un esplicito richiamo ai -273° di quell’altra forma di nulla che è lo zero assoluto, a cui ritorneremo più oltre. La poetica di Cage era comunque non tanto quella di suonare il non suono, quanto di mostrare che il silenzio assoluto non esiste, o almeno non è purtroppo di questa terra
(come il regno dei cieli): una qualunque esecuzione del silenzio si scontra infatti contro gli inevitabili rumori di fondo dell’ambiente e del pubblico, ed è dunque una pratica dimostrazione della propria teorica irrealizzabilità.

Il passo successivo al silenzio puro è la composizione con un solo suono: essa è stata realizzata nella Sinfonia monotona di Yves Klein, del 1947, che consiste di un lungo suono continuo seguito da un lungo silenzio. L’idea in questo caso è che un suono prolungato o ripetuto finisce per essere rimosso dall’apparato uditivo, e diventa dunque a tutti gli effetti
un analogo del silenzio; viceversa, la mancanza di un suono o di un rumore a cui ci si è abituati viene invece percepita effettivamente, come se fosse un suono.

Anche il rumor bianco , che si ottiene per somma di tutti i possibili suoni, è una forma di silenzio. Matematicamente, la possibilità di ottenere il silenzio dalla composizione di suoni è una versione del fatto che la funzione costante di valore 0 si può scrivere in serie di Fourier, come somma di funzioni sinusoidali di varia ampiezza e periodo.

Immagini
Come il silenzio è l’assenza di suono, così il color nero è l’assenza di colore, e il buio è l’assenza di luce. All’estremo opposto, analoghi del rumor bianco che contiene tutti i suoni sono invece il color bianco e la luce , che contengono tutti i colori (come mostra l’esperimento del prisma che decompone la luce bianca nello spettro delle varie lunghezze d’onda corrispondenti ai vari colori).

Il ruolo della pausa nella musica è preso nella pittura da porzioni del colore di fondo del foglio o della tela su cui si disegna o si dipinge, e analoghi del silenzio sono i quadri non dipinti di Lucio Fontana, che alla mancanza di pittura uniscono anche buchi o tagli che rappresentano il vuoto. Alle composizioni ad un solo suono corrispondono invece le tele monocrome bianche, nere o blu di artisti quali Robert Rauschenberg, Ad Reinhardt e Yves Klein.

Naturalmente, qualunque raffigurazione pittorica (e, più in generale, iconica 2) è un simulacro del nulla: anche se le immagini sulla tela pretendono infatti di rappresentare qualcosa, non per questo esse cessano di essere segni, e dunque niente di ciò che è rappresentato. Il concetto è stato espresso in maniera memorabile da Magritte con Il tradimento delle immagini : un disegno di una pipa con la scritta Ceci n’est pas une pipe ,ad indicare da un lato che la scritta non è la raffigurazione, e dall’altro che la raffigurazione non è l’oggetto raffigurato. E proprio sull’ambiguità tra i vari livelli si giocano i giochi delle rappresentazioni apertamente
paradossali del surrealismo, così come delle rappresentazioni apparentemente consistenti dei paradossi percettivi alla Escher.

Dopo questo vertiginoso sfoggio di erudizione,lascio spazio alla pagina bianca che vi dara’ modo magari di approfondire qualcuno degli Autori citati enciclopedicamente da Bertagni, dopo che vi sarete presi una giusta…”pausa”.

Magritte

IL Personale è politico

Di Roberto Monchieri

Sono passati, anzi volati 40 anni dal 1977, è quindi il momento di piccole riflessioni o ricordi su un periodo denso di emozioni.
Ero qualche anno prima militante di ” Lotta continua ” che in quegli anni si stava sfaldando. Alcuni compagni ritenevano importante smettere con le chiacchere e passare all’azione, Altri come me avevano scoperto che l’ideologia e il far parte di un’organizzazione gerarchicamente strutturata era in qualche modo una schiavitù che imbrigliava la capacità di pensiero e giudizio autonomo.
Avevamo scoperto che (cosi si diceva con uno slogan in quel periodo ) IL PERSONALE é POLITICO,  in poche parole basta negare il sè in nome di un concetto  superiore come l’idea di rivoluzione. Tutte queste idee fluttuavano nell’aria, era una grande fucina in piena operatività.
Il giornale Lotta continua negli ultimi periodi prima della chiusura era diventato un centro di dibattito vivo attraverso le moltissime lettere che arrivavano al giornale e venivano pubblicate senza censura. Dibattito sulla propria vita, sull’amore , sul nuovo modo di immaginare il lavoro, sui rapporti tra compagni , sulla rivoluzione, sui rapporti tra i sessi, sull’omosessualità e su tantissimi altri argomenti.
Ricordo con grande emozione le giornate di quella che chiamavamo l’occupazione di Bologna poi culminata in una grande manifestazione. Non ci eravamo arrivati come organizzazione, ma come gruppi di compagni, di amici festanti . Una sensazione di risveglio generale che esplodeva nelle varie assemblee, in interventi di compagni di base non solo di dirigenti. Ci sembrava di aver instaurato il contropotere in città.
In quel periodo a Milano alcuni compagni, tra cui Mauro Rostagno, (poi ucciso dalla mafia in Sicilia), avevano affittato un grande stabile ex industriale, forse un ex magazzino del Corriere della sera , e nacque MACONDO, un posto meraviglioso in cui trovavano posto un sacco di iniziative culturali, attività economiche di alcuni compagni, cineforum, spettacoli teatrali , musica di gruppi nuovi , bar, thea room, massaggi, joga,e tanta creatività.Si stava distillando una nuova maniera di vivere e di pensare anche i rapporti umani. Ovviamente venne chiuso con la scusa della droga. IL POTERE è MOLTO ATTENTO AL PERICOLO DEL NUOVO NON CONTROLLATO.
Qualcuno può pensare che quel periodo ha generato un negativo riflusso nell’individualismo ma non è vero, non è del tutto vero. Quando ci incontriamo tra amici/compagni di quel periodo vedo che ancora brilla sotto la cenere la brace del libero pensiero e nella voglia di confrontarci ci riconosciamo.
Ovvio che queste sono i miei ricordi, le mie emozioni di quel periodo. Se interrogate quelli che poi chiamammo i “militonti ” o i fautori della lotta armata vi diranno altro.

L’uomo nel Reale. Il falso mito dell’ illimitatezza umana.

 

Di Massimo Chiucchiu’

 

L’uomo é l’essere confinario che non ha confini.
Il paradosso di Georg Simmel fotografa molto bene la realtà
psico-fisica dell’uomo di oggi. Se da una parte apparteniamo
ad una specie che si muove con meccanismi biologici simili
a quelli di tante altre specie, con cui condividiamo lo stesso
ambiente, per altro verso siamo completamente diversi dagli
animali, anche quelli più vicino a noi, come le scimmie antro-
pomorfe che si situano completamente entro gli spazi naturali
che si sono conquistati con la lotta per la sopravvivenza.
Una delle caratteristiche, se non la più importante della nostra
eccentricità, consiste, oltre che ad avere una coscienza, cosa
peraltro comune in altre specie, in quella particolare
capacita’ di mettersi nei panni degli altri, di condividerne le
emozioni per meglio capirne le intenzioni. Si chiama
empatia e rappresenta un marchio di fabbrica della specie uomo.
Ne abbiamo fatto oggetto di studio in molti incontri del Gruppo
di lettura dell’anno scorso, studiando il metodo Rogers in
psicologia e diversificandola da concetti simili come simpatia e
compassione.
Se negli animali superiori i rapporti interspecie si stabiliscono con
variegate ritualizzazioni, come le danze di corteggiamento sessuale,
oppure abbassando lo sguardo o mostrando l’addome al culmine della
lotta, nell’uomo la questione si fa più complessa.
Le relazioni umane non soggiacciono ad alcun rituale istintivo codificato,
l’interazione approda nel circolo culturale umano arricchendosi di
connotati nuovi e sconosciuti in natura.
La capacità empatica, unita alla nascita di un linguaggio dotato di
semantica, ha fatto si’ che la specie homo sapiens si sia trovata nella
condizione di scrivere le pagine del proprio destino al di là dei rigidi
protocolli biologici.
Ma e’ proprio cosi’?                                                                                                                                          

Intanto appare piu’ chiaro il paradosso di Simmel: diversi da tutti gli altri
Esseri che popolano la terra, con cui abbiamo rapporti incidentali, come
un inquilino che viva in un pied-a-terre, con ingresso autonomo, ci
muoviamo liberamente dentro e fuori l’appartamento misurando i passi
che ci separano da qualsiasi destinazione. Gia’ sogniamo di andare via
da quel palazzo in cui conviviamo con altri che neanche conosciamo.
Eppure e’ chiaro che viviamo nel migliore dei mondi improbabili,
circondati come siamo da un’ entropia negativa indirizzata alla morte
termica. Ci confrontiamo con stelle lontane con temperature inimmagi-
nabili rispetto al nostro quotidiano o con attrazioni gravitazionali che
fermano il corso della luce e del tempo.
I limiti dell’umano, ora che la scienza ci ha spalancato le finestre delle
galassie, sono incontestabili. Viviamo in una nicchia esotica dell’ Universo,
alla mercè del “caso e della necessità”, come ebbe a dire il premio nobel
Jaques Monod.
Se biologicamente il limite appare essere un fatto, cosi’ non pare per la
nostra natura “culturale”.
Se l’eccentricità, quel mettersi nei panni dell’altro, quell’estraniarsi da sè
stesso, che crea i presupposti per (ri)trovare i propri limiti, o per meglio
dire la propria misura, tanto cara alla filosofia greca, se dunque, l’empatia
si è tradotta per lunghi millenni in vantaggio nella lotta per sopravvivere,
permettendo l’interazione umana, la nascita dei gruppi sociali, la nascita
del linguaggio semantico e, in definitiva, la genesi della cultura, tutto questo
ha, metaforicamente, nascosto la faccia oscura della medaglia.
Non essendo piu’ ancorato ad alcun supporto naturale,oggi il linguaggio si è
fatto carne (All’inizio fu il verbo….recita un celebre salmo), i concetti sono
diventati fatti, il denotativo trasla in connotativo, l’analogico in digitale.
La parola acquisisce esistenza propria, acquisendo la capacita’ di
albergare nei nostri cuori e nelle nostre menti, il medium diventa
messaggio, diventando infine il nostro piu’ fedele alleato, piu’ amico
dei nostri stessi consanguinei.
Possiamo cosi’ tranquillamente parlare di concetti che nessuno, dico nessuno,
ha mai provato nè visto, come il nulla, la morte, l’infinito. A niente sono valsi gli
ammonimenti dei presocratici. Apeiron in Anassimandro era il nulla da cui tutto
nasceva e a cui tutto tornava, ma non era oggetto dell’ossessione totale di
controllo, tipico della cultura moderna. La ricerca di senso, tipica del linguaggio,
tracima fino a cercare verità sempre provvisorie inerenti oggetti non reali.
Il linguaggio si parla addosso.

Il limite è solo un ostacolo da superare per tendere continuamente verso una
linea di orizzonte che appare piena di aspettative; il tempo non è circolare, ma
una freccia lanciata verso un futuro radioso od ostile.
Nel secolo breve, Nietsche, con febbrili parole, proclama la morte di dio.
Cio’ non fa che peggiorare le cose. Non trovando piu’ alcun ostacolo nei divieti
e precetti ecclesiastici, la fede trasla dalla Chiesa alla Scienza e tecnologia,
anche qui trovando un gigante d’argilla e gli stessi tristi epigoni. Come non ricordare
padri della scienza come Newton, Darwin che appartenevano alle gerarchie religiose.
In fondo il disegno divino, il teleologismo e’ duro a morire se anche Einstein si lancia
nella famosa invettiva: ” Dio non gioca a dadi con l’Universo!”
Ma, ahinoi, nessuna legge della natura e’ scritta nel linguaggio matematico, esistono
solo interpretazioni e manipolazioni da parte del soggetto che ha preso il posto di
dio:l’osservatore.

 

Ma noi non siamo qui per osservare, noi siamo qui per vivere, a dio e agli uomini
piacendo. E soprattutto vivere in mezzo agli altri, secondo le proprie attitudini.
Ma l’uomo e’ smarrito, non sa trovare in sè la casa perduta. Avido di infinito, di
teorie del tutto, non accetta l’ombra, il mistero laico che in passato ha reso rotonda
la sua vita. L’uomo ha perso dio, ma ancora ha gambe gracili per camminare o anche
solo per stare in piedi.
Il sentimento che ci pervade in questo mondo popolato di simboli non e’ più quello della
paura ma dell’angoscia, che è la conoscenza della nostra paura.-Questa, ed altre
emozioni fondamentali, non possiedono alcun meccanismo d’arresto
biologicamente evoluto – (J. Jaynes…Il crollo della mente bicamerale…)
Che fare?
Spezzare le” ragioni” che ci portano alla paura e all’angoscia e lasciare fluire liberamente
la vita che ci e’ data e che e’ puro fatto, non interpretabile e che si svolge in un eterno
presente. A volte mi abbevero alle parole di un grande assente della cultura italiana e che
dovrebbe essere un po’ più conosciuto:
L’uomo si trova di fronte al reale come di fronte a
una combinazione di casi avuti per sorte. Questa discontinuita’ prima e radicale nulla puo’
obliterarla. L’idea di accordare i due regni, l’uomo e il mondo, è l’errore degli errori.
Di qui l’inutilita’ di pensare i fatti singoli, non si possono pensare i fatti, ma solo le strutture,le  costanti, i tipi, le concatenazioni. Si possono solo sentirli i fatti. patirli………..
(Nicola Chiaromonte- ( Cosa rimane-Taccuini, pag. 66-67)
ed ancora:
L’equanimita’, la serenita’, la capacita’ di vedere impassibilmente le vicissitudini umane
come degli “oggetti” naturali situati in uno spazio a tre dimensioni…….tale equanimita’
e serenita’ vengono innanzitutto dalla semplicissima constatazione greca: l’uomo
è mortale. L’estremita’ della condizione dell’uomo sta in questo, e la sua dignita’ anche,
nè può stare altrove………..Questa estremita’ fonda il sentimento dell’uguaglianza degli
uomini,degli esseri umani, quale nessun Rousseau ha mai concepito cosi’ profonda……
Giacchè nella mortalita’ e’ insito il fatto del limite……(ibidem, pag.32-33).

Anche il mondo umano delle idee appare in Chiaromonte chiuso fin
dalla sua origine, non potendosi incontrare l’uomo con il mondo, se non attraverso
“le strutture, le costanti, i tipi”. Ma l’ uomo persegue “l’errore degli errori”,
cercando sempre un impossibile mediazione dove niente e’ in rapporto,
mancando sempre l’incontro con la realta’, che appare essere sempre un passo
piu’ in la’, sempre sfocata. Piu’ che illimitato l’uomo appare carente, addomesticato
ad una vita artificiosa, sempre lontano dal flusso vitale. La “spontaneità” perduta
e’ stata rimpiazzata dalla razionalita’ e dalla logica, i confini umani sono plastici per
difetto, non certo per forza acquisita dalla sua storia. L’uomo appare
indebolito.
La vita come puro fatto, non interpretabile e non accordabile con un mondo che
appare indifferente, e’ in perfetta sintonia con i personaggi camusiani come il
Mersault dello Straniero. Chiaromonte si trova nel bivio tra Esistenzialismo e
Platonismo, cosi’ oscura e misteriosa appare la vita individuale, cosi’ perfetta e
significativa la via platonica;” Cosi’ l’utopia platonica:essa e’ una dottrina
da non mettere in pratica, consiste in se stessa, e’ fatta per rimanere dove è….
Ma stando li’ affascina,ammaestra, e’ una continua tentazione non di passare
agli atti, ma di giudicare il reale secondo quel modello…..
Quel che e’ greco e’ considerare qualsiasi forma ideale come infinitamente
distante da ogni possibile realta’…..(ibidem pag.52)
Tentazione che nel Cristianesimo diventera’ fortissima con la fondazione
della chiesa militante e governante. Con tutte le conseguenze storiche che
hanno pesato nello sviluppo delle società.

Kurdistan: guerriglia come e perche’.

Di Donatella Perfetti

Spesso ci si domanda cosa spinge una persona giovane o adulta, uomo o donna,
ad unirsi alla guerriglia. Per un Curdo la risposta è quasi ovvia e anche se non
condivisa da tutti, è comunque compresa.
Noi invece dobbiamo innanzi tutto cercare di capire a fondo la situazione di questo
popolo e immedesimarci nella loro realtà. In Turchia ad esempio, ma anche negli
altri stati in cui il Kurdistan è diviso (Iran, Siria, Irak –dove dalla caduta di Saddam
Hussein c’è la regione autonoma del Kurdistan) i Curdi teoricamente hanno gli
stessi diritti e doveri degli altri cittadini, ma non è così. La loro lingua è proibita,
ammessa solo a livello familiare (per grande concessione da quando la Turchia
vuole entrare in Europa) cioè in pratica considerata come un dialetto che nessuno,
in nessuna parte del mondo si sognerebbe di proibire. Fino a qualche anno fa non era
raro essere arrestati se si parlava curdo in pubblico o ascoltare musica curda. Nel
2003 studenti universitari hanno manifestato per chiedere di poter studiare il
curdo “come lingua straniera”: son stati arrestati e poi, non potendo essere
trattenuti a lungo, sono stati sospesi per due anni, con le gravi conseguenze che si
possono immaginare.

Poche persone sanno che i comuni ricevono dallo stato un budget basato su vari
parametri tra cui il numero degli abitanti. Quasi tutte le città curde hanno
raddoppiato o triplicato il numero degli abitanti in questi ultimi vent’anni per
l’afflusso massiccio di profughi interni provenienti, per esempio, da villaggi
bombardati, ma questi non vengono considerati cittadini residenti e quindi le città
curde ricevono meno fondi rispetto alle altre e spesso i comuni non hanno soldi
nemmeno per le necessità più urgenti ed il degrado è evidente a chiunque .
In queste città, prendiamo ad esempio Shirnak, che ha un distretto molto vasto,
c’è un medico ogni 10.000 abitanti, e spesso non è nemmeno reperibile, perche’
costretto a girare da un posto all’altro, con lunghi percorsi in strade di montagna
non sempre agevoli. Proprio a Shirnak una associazione Italiana ha allestito un
ambulatorio che ora è chiuso perché manca il medico e spesso anche l’infermiere.
Ad Hakkari l’ospedale è stato chiuso per anni.. la struttura più vicina è a Wan, che
dista circa 200 km e 5 ore di viaggio!!!!

Donatella sulle rovine di Wan

C’è grande discriminazione sociale ed economica per cui difficilmente un curdo
può raggiungere alti livelli sociali e culturali, specialmente se si occupa di politica.
L’attuale partito filo-curdo, il BDP (Partito per la pace e la democrazia) ha
cambiato sigla numerose volte (DEP, HEP, HADEP, OZDEP, DEHAP,DTP) , perché di
volta in volta chiuso dalle autorità turche e riaperto con altre sigle.
Capi e funzionari del partito, sindaci regolarmente eletti, consiglieri comunali,
giornalisti sono stati quasi tutti in carcere per periodi più o meno lunghi, e molti
sono costretti a emigrare. Altri prendono il loro posto con una volontà veramente
eccezionale di fare sopravvivere una idea, ma con privazioni personali e collettive
altrettanto eccezionali.
Quasi ogni famiglia curda, specialmente nella parte piu’ orientale del paese,
distretti di Dersim ( ribattezzata Tunceli dai Turchi, come del resto tutte le città
curde hanno cambiato nome), Van, Hakkari, Shirnak, ha o ha avuto almeno un
membro in carcere, in guerriglia o ucciso: queste famiglie non possono piu’
usufruire della Carta Verde che da’ diritto all’assistenza sanitaria alle persone piu’
povere, restando così senza il minimo soccorso umanitario.
Gli scontri con la polizia sono frequenti sia durante i festeggiamenti del Newroz
(capodanno curdo, 21 marzo) che per ogni manifestazione organizzata dai curdi.
Altrettanto frequenti sono gli arresti, anche di minorenni, sparizioni, esecuzioni
extragiudiziarie. Il trattamento dei minorenni in carcere è davvero indecente e
non di rado i giovani subiscono violenze di ogni tipo tanto che se ne occupa anche
Amnesty International, ma i Media europei vergognosamente tacciono come
purtroppo hanno taciuto sul massacro di Roboski (un villaggio di montagna ai
confini con l’Irak,) quando il 28 dic. 2011 un aereo turco ha bombardato, senza
alcun motivo, con gas e ucciso 34 curdi inermi di cui 19 minorenni ed è tornato
indietro dopo circa mezz’ora per completare la strage quando i sopravvissuti
cercavano di venire in aiuto ai compagni. Su 36 persone solo due si sono salvate.
Questi esempi pur sommari e non esaustivi, danno comunque un’ idea della
situazione e fanno capire perché un giovane possa decidere di lasciare tutto ed
andare in montagna. La discriminazione sessuale che pesa sulle ragazze e i limiti
imposti da tradizioni e religione, sono altra causa di fughe in montagna, per
affiancarsi alla guerriglia .

la festa di Newroz, capodanno curdo

La vita di guerriglia è una vita molto dura, non tutti quando entrano sanno
esattamente quello che li aspetta, non tutti resistono. L’addestramento è di tipo
militare, con marce, esercizi, disciplina ferrea. Non ci sono normali campi di
addestramento in posti appositamente scelti e protetti. Qui si è in montagna tra
cime aspre e spesso aride con pareti scoscese e passaggi non agevoli e in inverno
c’è molta neve. Inoltre il nemico è sempre in agguato e può spuntare fuori da un
momento all’altro o sorvolare con aerei ed elicotteri pronti a bombardare, anche
con gas, appena vedono qualcosa muoversi o una postazione
Spesso addestramento e battaglia vanno di pari passo. Il giovane appena arrivato
è subito immerso in una realtà diversa, difficile, spesso sconvolgente . Nelle
montagne ci sono grotte o cavità naturali che possono essere sfruttate in maniera
temporanea, a volte si trovano case abbandonate. Ma più spesso si scavano
tunnel sotterranei (che per lo più ricalcano la forma delle abitazioni tradizionali
con corridoio al centro, due o tre camere da un lato e cucina e bagno dall’altro),
che sono un rifugio più sicuro per poter dormire, avvolgersi in coperte, quando
possibile accendere un fuoco per cucinare e scaldarsi e soprattutto non essere visti.
Questi rifugi, costruiti in fretta e con grande fatica quando arriva l’ inverno e
comincia a cadere la neve, comunque possono cambiare a seconda delle
circostanze e delle necessità contingenti.

Presenza militare turca

Durante le marce di spostamento il bagaglio deve essere essenziale, il più
possibile leggero per non essere impacciati nei movimenti; spesso capita di
dormire fuori e le notti sono fredde, per questo i guerriglieri devono essere ben
temprati e addestrati a sopportare ogni sorta di difficoltà, intemperie, disagi.
Per lavarsi ci sono le sorgenti, le cascate, i vari corsi d’acqua limpidi e puliti ma
certamente freddi e d’inverno gelidi. La sera spesso si usano calderoni messi sul
fuoco con dentro la neve in modo che, sciogliendosi fornisce acqua calda con cui
farsi il bagno etc. Gli uomini riescono a tagliarsi i capelli e farsi la barba ma in
genere in inverno la lasciano lunga, forse per mantenere un po’ più di calore.
Le marce di spostamento o in vista di una battaglia avvengono spesso di notte
e…….”ci guidano le stelle” come recita la nota canzone. Le camminate in lunga fila
si vedono per lo più nei films o……nei calendari. Queste si possono effettuare solo
in casi di estrema sicurezza soprattutto nel sud del Kurdistan (nord Irak), dove
minori sono i rischi di essere visti da ricognizioni turche o almeno sono fuori dalla
loro giurisdizione. Lì ci sono vere e proprie basi dove si concentrano molte
persone , si costruiscono villaggi militarizzati e si svolgono diverse attività non
solo destinate a fini bellici. Ad esempio qualche anno fa i guerriglieri hanno
costruito una piccola diga e con un generatore sono riusciti a portare la luce non
solo per se stessi ma anche ai villaggi vicini che ne erano privi.
I guerriglieri che operano nel Kurdistan del nord (attuale Turchia) sono per lo più
divisi in gruppi non molto numerosi, per poter nascondersi ed agire più
agevolmente, guidati da un capo responsabile. Si comincia ad avere responsabilità
di quattro persone, poi il numero aumenta progressivamente. Le “nomine”
avvengono dall’alto, in stretto ordine gerarchico e non si contestano. I requisiti
non sono l’anzianità ma meriti ottenuti sul campo, attitudini particolari, destrezza,
serietà. Può capitare infatti che un ragazzo giovane dopo pochi mesi di ingresso in
clandestinità venga scelto come capo di un gruppetto di persone più anziane di lui
e venga accettato di buon grado.
Le donne, per lo più ragazze, che scelgono di unirsi alla guerriglia mi sembrano
ancor più degne di ammirazione perché il loro fisico e il tipo di vita che hanno
sempre condotto le rendono meno adatte a sopportare le difficoltà che questo
nuovo genere di vita comporta. Ma certamente sono determinate e convinte
quanto i maschi. Quando le azioni sono comuni, durante gli spostamenti spesso
gli uomini aiutano le donne a portare il bagaglio o danno una mano nei punti più
difficili ma non c’è molta differenza tra quello che fanno uomini e donne; spesso si
viene a conoscenza di donne uccise in battaglia o in agguati; comunque fanno vita
un po’ separata e dormono in posti diversi.
L’amore è fortemente scoraggiato, soprattutto i rapporti sessuali in quanto
eventuali conseguenze sarebbero ingestibili nella vita di guerriglia. Ma è naturale e
inevitabile che nascano storie d’amore, più o meno palesi, più o meno forti e
anche molto belle.
La guerriglia non è solo lotta armata, è anche sinonimo di Libertà. Può sembrare
un controsenso considerando, ad esempio, il tipo di disciplina che vige tra
guerriglieri. Ma è così. Non sempre si combatte e nei lunghi periodi di tregua si
svolgono varie attività. Innanzi tutto si parla curdo, nelle sue varie componenti
(curmanchi, sorani, zazachi, gorani) e chi non lo sa, lo impara. Si seguono
corsi,cosa molto importante vista la scarsa cultura di molte persone che non
hanno potuto, e in alcuni casi voluto, andare a scuola. Nelle scuole turche infatti
gli studenti fin dalle elementari vengono imbottiti di idee e mentalità turca, la
storia viene distorta e addirittura negata ( secondo una certa mentalità i Curdi non
esistono, sono Turchi della montagna). Insegnamenti di lingua, storia, politica
vanno di pari passo. Ma la scuola di guerriglia è una scuola particolare (molto
moderna tra l’altro ) diversa dalle scuole normali e in cui le lezioni frontali sono
ridotte al minimo. Gli “insegnanti” vengono scelti dalla base. Ad esempio , si
sceglie un argomento da trattare: due o tre persone indicate, soprattutto in base
alle loro competenze specifiche (ci sono anche parecchi laureati) ma non solo,
questi si preparano per il tempo necessario e poi espongono l’argomento a cui
segue una discussione aperta, ad es. se due persone parlano tra di loro gli altri
ascoltano, imparano, intervengono a loro volta con domande spesso volte a “tirar
fuori” dall’interlocutore quello che già ha dentro ma non riesce ad esprimere,
oppure attraverso domande mirate riesce a rendersi conto dei propri errori. Un
po’ il metodo che di usava nell’antica Grecia con Socrate; il tutto avviene
democraticamente e con ordine, cosa che sarebbe abbastanza difficile da noi
quando tutti parlano insieme e poco si ascoltano gli altri.

scena vita quotidiana

Tra i guerriglieri si impara ad essere autonomi, a chiedere aiuto solo quando è
indispensabile, ma anche ad essere solidali, non solo tra di loro ma con le varie
persone con cui vengono in contatto. Si impara ,o si rafforza, il senso di umanità,
di giustizia, di lealtà. La loro forza sta soprattutto nella mente, nella convinzione
psicologica di lottare per una causa giusta: la libertà e la dignità di un popolo che è
il più antico che abita questa terra, anche se questo comporta a volte la necessità
di essere duri e inflessibili. (Non credo sia casuale ma per la mia esperienza
personale posso affermare con sicurezza che tra i numerosi curdi che conosco
quelli che sono stati in guerriglia sono i più seri e affidabili.)
Si sente spesso dire che il PKK si finanzia anche con la droga. Questo è del tutto
falso. Alcuni curdi, è vero, spacciano o sono corrieri di droga ma il PKK è
fortemente nemico della droga ; se qualche gruppo si imbatte nei corrieri la
droga viene sequestrata e bruciata. Il denaro invece viene tenuto, ma questo
capita di rado, come rarissimo è il caso di guerriglieri che ne approfittano e sono
così fuori dell’organizzazione. Lo stesso atteggiamento hanno i sindaci dei comuni
nei quali la droga comunque passa (dall’Afganistan, dall’Iran la Turchia è un
passaggio obbligato), un altro genere di contrabbando (ad es. benzina, generi di
prima necessità) è invece tollerato in quanto spesso è unica fonte di guadagno per
la povera gente.
Il principale sostentamento della guerriglia viene dai contributi che
volontariamente danno gli emigrati curdi , in proporzione al loro reddito; dai
pedaggi che i guerriglieri riscuotono per aiuto prestato nel trasferimento di greggi
da un paese all’altro (es. Iran Turchia) che i pastori fanno per vari motivi spesso
familiari: questa è una “transazione” che conviene a tutti perché le quote che
esigono le autorità di frontiera sono molto più alte. ( 1 continua)