La sera di sabato 19 ottobre si è chiuso ufficialmente l’antefatto delle elezioni regionali dell’Umbria del 17 e 18 novembre prossimi. Intendiamo quella fase nella quale vengono raccolte le candidature, smaltiti gli adempimenti burocratici e presentati al tribunale civile di Perugia i nomi dei candidati e i contrassegni elettorali. Saranno 9 i candidati alla presidenza della Regione Umbria: Marco Rizzo, Moreno Pasquinelli, Fabrizio Pignalberi, Martina Leonardi, Donatella Tesei, Giuseppe Paolone, Elia Francesco Fiorini, Stefania Proietti e Giuseppe Tritto, sostenuti da 23 liste con all’interno 460 aspiranti consiglieri. Non parteciperà alle elezioni Stefano Fiore di Forza Nuova.
Ma che campagna elettorale sarà? Chi sono i favoriti? Quali candidati hanno la possibilità di essere eletti? Per provare a rispondere a queste domande dobbiamo, giocoforza, appoggiarci agli ultimi sondaggi disponibili con tutti i limiti del caso. Soprattutto se si tratta di sondaggi fatti a un mese dal voto e con la discussione in corso della legge di bilancio che, inevitabilmente, potrebbe orientare scelte ed umori da qui al 17 e 18 novembre. Un dato sembra certo, ad oggi: il vantaggio del centrodestra che ripropone per la guida della Regione la presidente in carica Donatella Tesei. Il sondaggio di Termometro Politico la accredita di un chiaro 49,1% con un vantaggio di quasi il 6% su Stefania Proietti, il sindaco di Assisi, candidata del centrosinistra ferma al 43,7%. Ma in questo sondaggio è molto forte Marco Rizzo di Democrazia Sovrana e Popolare, accreditato di un importante 5%. Un dato che però non trova riscontro in un sondaggio riservato visionato dalla nostra redazione. In quel contesto la Tesei è anche più alta del dato fornito da Termometro Politico, è al 49,7%, ma la Proietti è meno distante con una percentuale inferiore al 3%. Questi dati, ovviamente da verificare sul campo e nelle urne, fanno emergere due riflessioni. La prima è che Tesei è comunque avanti e che Proietti dovrà fare una campagna elettorale importante per colmare il gap: il secondo è che l’ingresso di Alternativa Popolare di Stefano Bandecchi nella coalizione nazionale, e di conseguenza in quella umbra, potrebbe rappresentare la mossa del cavallo per scardinare politicamente una situazione che, fino a metà settembre, dava un testa a testa all’ultimo voto. Sviluppata questa analisi, passiamo alle liste a sostegno dei candidati presidente. Come accennato sono 23, la maggior parte delle quali a sostegno di Donatella Tesei e Stefania Proietti. Nel primo caso si tratta di Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia, la già citata Alternativa Popolare del sindaco di Terni Stefano Bandecchi, quindi la lista ‘Tesei Presidente’, Udc e la lista civica ‘Noi moderati civici per l’Umbria’. Nel secondo caso il centrosinistra tiene in coalizione Partito Democratico, Alleanza Verdi e Sinistra, Movimento 5 Stelle più le liste civiche: ‘Umbria per la sanità pubblica’, i ‘Civici umbri’, ‘Umbria Domani’ e ‘Umbria Futura’. Le altre 9 liste sono a sostegno dei restanti 7 candidati. Sono tutte liste singole, tranne nel caso di Rizzo e Pignalberi che si presentano con due liste ciascuno. Singolare la scelta della lista a sostegno di Marco Rizzo, Alternativa Riformista, che mostra il simbolo della foglia di marijuana nel logo elettorale. E veniamo ai principali candidati consigliere. . Fratelli d’Italia piazza come capolista l’assessore forte della giunta Tesei, Paola Agabiti Urbani, con la prospettiva di farne la prima degli eletti. Puntano alla rielezione anche Eleonora Pace e Daniele Nicchi, mentre corrono ‘forte’ per lo scranno di palazzo Cesaroni il recordman di preferenze a Perugia, Matteo Giambartolomei, la coppia Clara Pastorelli e Luca Merli, il vicesindaco di Umbertide Annalisa Mierla e il ternano Marco Celestino Cecconi. Nomi forti anche in Forza Italia, saldamente segnalata come seconda forza della coalizione. Gli azzurri mettono in campo come capolista l’ex sindaco di Perugia Andrea Romizi, l’ex civico di centrosinistra Andrea Fora, la presidente della Provincia di Terni Laura Pernazza, il sindaco di Todi Antonino Ruggiano. La Lega della presidente Tesei, dal canto suo, schiera come capolista un amministratore di lungo corso e dal sicuro consenso come Enrico Melasecche, oltre all’ex senatrice Valeria Alessandrini. Passiamo quindi al centrosinistra e partiamo dal Partito Democratico che apre la lista con la coppia composta dal segretario regionale Tommaso Bori e dell’ex capogruppo al Comune di Perugia Sarah Bistocchi. In corsa per la riconferma il vice presidente uscente dell’aula di palazzo Cesaroni, Michele Bettarelli, e Simona Meloni. Restando al ‘patto avanti’, passiamo al Movimento 5 Stelle che non ricandida per la nota regola dei due mandati Thomas De Luca ma che, in perfetta continuità con il progetto politico, schiera Luca Simonetti e Valentina Pococacio. Nell’Alleanza Verdi Sinistra emerge il capolista Gianfranco Mascia, mentre la lista Umbria Domani, diretta emanazione della candidata Stefania Proietti, schiera l’ex consigliera della Provincia di Perugia Laura Zampa, un nome che potrebbe raccogliere consensi trasversali, mentre il listone riformista (senza Italia Viva) Umbria Futura, può contare su nomi di rilievo in termini politici e di consenso come Donatella Porzi, Luciano Bacchetta, Roberto Bertini e Giacomo Leonelli. Molti giornali commentano i risultati riguardanti la Liguria come il de profundis per il campo largo, ma mi permetto di non essere d’accordo in riferimento proprio al caso Umbria, dove il campo largo diventa larghissimo con la presenza di ben quattro liste civiche a sostegno della Proietti, non presenti nelle elezioni liguri, che sono state inquinate a sinistra prima dalla diatriba tra Renzi e i 5 Stelle ed in seguito dalle querelle tutta interna al movimento cinque stelle con le frizioni tra Grillo e Conte. Quindi l’Umbria non puo’ essere paragonata alla Liguria.
A ben guardare in Umbria il problema per la Proietti potrebbe essere l’incognita Rizzo, che se dovesse accumulare un 5% dei voti come indicano recenti sondaggi, potrebbe affossare il campo largo da una posizione nominalmente di estrema sinistra, un po’ la replica di quello che è successo a Gubbio con la sfida fratricida tra rappresentanti della sinistra che si sono eliminati a vicenda facendo eleggere il rappresentante di centro destra Fiorucci per la prima volta in 79 anni. L’elezione umbra potrebbe avere lo stesso canovaccio eugubino , mentre sorniona la Tesei assiste gongolante. Vedremo, la parola agli elettori.
Lo scaltro tergiversare del centro destra in Umbria ha portato ad un risultato che fino a ieri pareva fantascienza : il fondatore di Alternativa Popolare Stefano Bandecchi avrebbe annunciato l’ingresso del suo partito nella coalizione di centrodestra a livello nazionale. La decisione comporta il ritiro della sua candidatura alle elezioni regionali in Umbria e il sostegno al candidato di centrodestra Donatella Tesei. La svolta politica è stata anticipata da giorni, ma si è concretizzata nelle ultime ore, in vista delle elezioni regionali di fine anno. Oggi Il nuovo accordo verrà formalizzato sotto la supervisione di Giovanni Donzelli, una figura di spicco di Fratelli d’Italia. Tra le conseguenze immediate, vi sono tre aspetti principali: l’allargamento del perimetro del centro-destra nazionale che sorregge l’attuale esecutivo meloniano, il supporto al candidato governatore per il centro destra in Liguria, Stefano Bucci sindaco di Genova, ed infine come dicevamo la nascita del campo largo di destra anche in Umbria a supporto della candidata Tesei, formato da Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia, Noi Moderati e infine Alternativa Popolare. Bandecchi ha dichiarato che conferma di rimanere sindaco della città dell’acciaio senza nulla chiedere per sè ed il suo partito. A questo punto, se il centro sinistra sognava il classico 3-0, cioè la vittoria in Emilia Romagna, Liguria ed Umbria, dovrà ricredersi e pedalare forte, dato che oltre l’Umbria diventa contendibile anche la Liguria, dove Bandecchi ha avuto, alle ultime elezioni regionali ,più di 2000 voti pur non facendo alcuna campagna elettorale, un piccolo tesoretto che può risultare decisivo all’amato sindaco di Genova per espugnare la regione.
Sulla decisione del sindaco di Terni sono subito intervenuti i rappresentanti locali di Sinistra Italiana, stigmatizzando il comportamento della destra :”Si sono insultati, si sono denunciati, sono quasi arrivati alle mani nella casa comunale, hanno espresso gli uni dell’altro e viceversa i giudizi più irripetibili. Come se nulla fosse accaduto, ora hanno raggiunto un accordo. Sono questi i comportamenti che minano alla base la credibilità della politica e alimentano, non senza fondamento, il diffuso disgusto per i partiti e per le istituzioni. Sembra più evidente, ora, che Bandecchi abbia utilizzato Terni per inseguire interessi diversi che ben presto avremo modo di verificare. Resta quindi solo da capire quali reciproche contropartite si siano scambiati. La rinuncia alla candidatura a presidente della Regione è inoltre una resa dovuta alla perdita del consenso in città a poco più di un anno dall’insediamento. Voleva fare il parlamentare europeo, il presidente del Consiglio e si riduce a fare il comprimario di Tesei. L’accordo è frutto della paura, di entrambi. Bandecchi, ha paura di finire nell’irrilevanza e ha deciso di far valere il suo residuo peso per se stesso e non certo per la città. Il centrodestra è spaventato dal risultato delle amministrative di giugno.”
A corollario di queste vicende politiche dobbiamo sottolineare come i due schieramenti stiano insieme solo per il potere politico, non mancando forti attriti anche nel campo largo del centro-sinistra, come insegnano le note vicende tra Partito democratico e M5s, che tra l’altro rischia la frantumazione per i forti attriti tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte. Vincerà chi riuscirà meglio a frenare le spinte centrifughe del rispettivo campo, con buona pace del programma elettorale che è la cosa che magari può interessare i cittadini, ma di cui poco si parla. Sanità, welfare, scuola, lavoro, questi sconosciuti, come insegna la neo sindaca di Perugia nel tanto strombazzato consiglio comunale in piazza del Bacio a Perugia, dove ha tratteggiato le linee guida programmatiche del suo esecutivo, linee programmatiche innalzate a volo pindarico il cui collante è la partecipazione dei cittadini, ma il cui risultato pratico, ha chiosato trionfalmente la nostra sindaca, per ora è il rinnovo a fine anno della tessera card per la visita dei musei cittadini. Sinceramente aspettavamo altro.
Nei mesi scorsi, soprattutto dopo il voto delle europee di giugno, si sono moltiplicati gli appelli per svolgere il cosiddetto ‘election day’, ovvero riunire in un unico fine settimana la chiamata alle urne per i cittadini delle tre regioni. Appelli che, però, sono caduti nel vuoto. Le tre regioni, infatti, non voteranno nella stessa data ma in date diverse. La Liguria, che andrà al voto per le note vicende legate all’ex presidente Toti, ha scelto, in tutta fretta e senza possibilità di essere modificata, la data del 27 e 28 ottobre, in Emilia-romagna il voto è fissato per il 17 e 18 novembre, ma gli organi regionali si sono detti disponibili ad anticipare di 20 giorni in concomitanza con quelle liguri. E l’Umbria? per l’Umbria si parla di dicembre, nel periodo compreso tra l’Immacolata ed il Natale, ma qualche spiffero colto in giro addirittura fa trapelare di un possibile slittamento per il mese di febbraio. I motivi possono essere molteplici, specialmente in relazione al fatto che delle tre regioni è la più contendibile, stando a sondaggi interni le altre due regioni hanno già il destino segnato, mentre l’Umbria si gioca la poltrona di governatrice all’ultimo voto. Chi ha più da guadagnare nel procrastinare l’election day umbro è sicuramente la coalizione di centro-destra, il cui motivo ufficiale sarebbe quello di voler evitare l’esercizio provvisorio di Bilancio, ma il probabile motivo sarebbe quello di convincere al ritiro il sindaco di Terni Bandecchi, oppure di accordarsi in una specie di desistenza con il resto della compagine capitanata dalla Tesei. Inoltre sono in atto manovre , attraverso un corposo investimento regionale, volte ad abbattere le liste di attesa sanitarie, attraverso l’extramoenia in strutture mediche private oramai assai numerose in regione. Questo fornirebbe alla Tesei un buona grancassa pubblicitaria ergendola ad epigona del buon governo. Ma, appunto per abbattere le liste d’attesa occorre del tempo, ed inoltre non si tiene in considerazione che una gran massa di denari escono dal perimetro pubblico per arricchire la sanità privata, in cui si annidano importanti sponsor politici umbri. Non è con le mancette elettorali che si risolvono i problemi del welfare e assistenza sanitaria, ma attraverso oculati investimenti che rimangono nel tempo. Altrimenti siamo alla solita cettolaqualunque manovra di copertura delle buche stradali alla vigilia delle elezioni del sindaco, di cui sinceramente ne potremmo fare anche a meno. La sinistra nel contempo si pasce e si crogiola del successo nel capoluogo regionale, con una sempre sorridente sindaca , presa da una specie di sindrome post Sangiuliano (ministro cultura), onnipresente ad ogni inaugurazione di strade, mostre, e chi più ne ha più ne metta. La Proietti, dopo il pensoso e viscerale scendo o non scendo, pare scomparsa dai radar quando dovrebbe essere sua premura incalzare la maggioranza in merito alla data dell’election day. Anche perché potrebbe finire prima del previsto l’idillio degli umbri per il Campo Largo, e magari qualcuno si potrebbe ricordare che la candidata del centro-sinistra è tre anni che guida anche la provincia di Perugia, che ha le deleghe alle acque interne e lascia un Trasimeno che è ai minimi storici in termini di profondità e ai massimi storici in termini di incuria.
Archiviata la questione del candidato presidente alla regione Umbria con la fumata bianca emessa il 16 agosto dalla sindaca di Assisi Stefania Proietti, ne è seguita una partecipata conferenza stampa che si è tenuta , e non è un caso, presso la Sala della Vaccara del comune di Perugia. Pare proprio che il modello di campo largo, attuatosi con successo con l’elezione della sindaca Ferdinandi, faccia da apripista anche nel tentativo di togliere la regione dalle rapaci mani del centro destra, e dalla Lega in particolare. I cardini del suo programma, ancora non ben definito, riguardano ; «Il diritto alla salute, la cura del creato, la cura delle persone, il prendersi cura soprattutto dei più fragili, la centralità della vita, il tema dell’accoglienza in tutti i sensi, ma anche lo sviluppo innovativo, sostenibile, dell’innovazione sociale come soluzione alle problematiche. Però tutti questi pilastri, questi cardini – ha detto Stefania Proietti – hanno bisogno poi di costruire un edificio, mattone per mattone» La candidata del centrosinistra declina subito anche il metodo di lavoro che intende utilizzare in questi mesi di campagna elettorale che separano dal voto; “«Chiameremo ciascuno, chi vorrà partecipare, andremo proprio nei territori. Pensiamo di costruire una campagna elettorale la più partecipata possibile. Il ‘patto avanti’ ha questa caratteristica e prerogativa che ci piace tantissimo: questo è il vero essere piattaforma aperta. Useremo ovviamente anche i social, ma anche l’incontro con le persone. Perché le persone sono al centro della nostra idea di Umbria del futuro». Sommessamente facciamo notare che codeste prerogative, appena accennate nel programma della candidata Proietti risultano piuttosto lasche e generatrici di un qualche umoristico fraintendimento come capitato nella perentoria affermazione della nostra in un noto social globale, in cui rifletteva che il suo programma per la regione era ispirato al “Cantico delle Creature” di San Francesco. Non sto qui a commentare le risposte, anche assai pungenti e ruvide come spesso sanno essere le genti umbre. In una specie di staffetta di soccorso, solo qualche giorno dopo, il 21 agosto, è intervenuta la sindaca di Perugia Ferdinandi, con un intervista a La Repubblica ,meno aulica e più di sostanza, incentrata sulla necessità di ristabilire con chiarezza il confine tra destra e sinistra, sia nel merito che nel metodo. “La destra vede l’altro come una minaccia e il trionfo è sempre individuale. Per la sinistra, l’altro è il campo della salvezza, perché nessuno si salva da solo. Il nazionalismo è di destra, l’internazionalismo di sinistra. La sinistra è una dimensione collettiva. Da queste due concezioni, così diverse, discende tutto il resto,” ha spiegato Ferdinandi. Secondo Ferdinandi, è necessaria una nuova cultura di governo e negoziazione, come suggerito da papa Francesco. “Dovrebbe finire l’epoca delle divisioni, ma per questo serve progettare un orizzonte,” Ma purtroppo oggi il mondo appare dotato di tante sfumature di grigio non contemplate dalle dichiarazioni della Ferdinandi. Esempio il concetto di “centralità della vita” o certi ammortizzatori sociali per famiglie numerose o disagiate, sono assai presenti nei programmi di governo dei Fratelli d’Italia o della Lega. Qualcuno ancora ricorda Salvini che bacia trionfante il crocifisso ? C’è una corsa a prendere i voti degli elettori moderati, il famoso Centro, che vede oggi Forza Italia in pole position, che auspica lo jus scholae, e assume toni moderati financo nelle tv berlusconiane che assumono vecchi epigoni del comunismo come la Berlinguer e fanno dire a Marina Berlusconi che si sente molto più vicina al PD che alle destre in merito ai diritti individuali delle persone. Siamo alla rivoluzione copernicana. L’elettore umbro sconcertato dal quadro politico così confuso dove potrebbe trovare un appiglio che giustifichi le sue scelte elettorali? Magari semplicemente non seguendo i pifferai magici che parlano di salvaguardare sopra tutto i diritti dell’individuo, e orientandosi verso chi auspica e pratica più servizi all’individuo. Altrimenti rischiamo di diventare una piccola California, terra sacra di ogni forma di diritto individuale che però contempla anche il cittadino che non si puo’ curare se non ha la carta di credito.
Nel campo di centrodestra proseguono i tentativi per convincere Bandecchi a ritirare la candidatura ed appoggiare la Tesei, sforzi specialmente compiuti dalla Lega. Gli esiti paiono assai incerti visto il carattere sopra le righe del sindaco di Terni. Da capire anche i ruoli che i due ex sindaci di Perugia e Terni possano avere nel polo di centro-destra, essendo portatori di una gran messe di voti personali. Per Romizi, in caso di vittoria, si vaticina una delega pesante alla sanità. Forza Italia in Umbria pare molto attiva, avendo ben in mente che il centro dello schieramento di destra, se ben presidiato da autorevoli e moderati personaggi di destra (Romizi, Fora ) può togliere benzina alla rampante Lega, in particolare tessendo una tela di “controllo” rispetto agli atti della rampante presidente leghista Donatella Tesei. Gli azzurri in questo modo tentano l’operazione non solo sui moderati, ma anche sui civici di centrodestra, almeno su quella parte che, dopo l’accordo tra Arcudi e Briziarelli, sta preparando la lista “Noi moderati – Civici per l’Umbria”. Lo scontro nel centro destra (nazionale più che locale) è rimandato, ma prima o poi i nodi verranno al pettine, essendo la coalizione un coacervo di ideologie che vanno dal populismo al corporativismo, dall’apertura di mercato al protezionismo made in Italy. Le grane non mancano neanche nel centro-sinistra, con la Proietti che ha convocato il campo largo per il 16 agosto, alle prese con la patata bollente del suo sostituto a sindaco della città di Assisi, che il PD vorrebbe di sua competenza, mentre la Proietti vorrebbe come sua emanazione. Intanto il centro sinistra incassa anche l’appoggio di Pace,Terra e Libertà, il movimento di michele Santoro, che con le sue posizioni pro Russia crea più di un imbarazzo nell’eterogenea e colorata galassia di centro sinistra.
Tiene banco in queste afose giornate estive la scelta del candidato della coalizione di centro-sinistra, chiamata dai quotidiani campo largo (o larghissimo) ,per la carica di presidente della regione, in scadenza naturale il prossimo novembre. Il giorno 27 luglio il conclave dei maggiorenti delle varie sigle politiche facente parte del blocco di centro-sinistra ha chiesto all’unanimità al sindaco di Assisi Stefania Proietti, che ricordiamo essere anche presidente della provincia di Perugia, di “scendere in campo” per la prestigiosa carica regionale. La riunione è stata assai partecipata, erano presenti i leader umbri del campo largo, ovvero Tommaso Bori del Partito democratico, Thomas De Luca del Movimento 5 stelle, Fabio Barcaioli e Gianfranco Mascia di Alleanza verdi sinistra, il sindaco di Spoleto Andrea Sisti dei Civici X ormai orfani di Fora, di Giuseppe Chianella del Partito socialista, di Massimo Monni, dell’ex segretario regionale del Pd Lamberto Bottini, ora coordinatore della lista per la sanità pubblica e del neo sindaco di Perugia Vittoria Ferdinandi, il fiore all’occhiello del nuovo progetto politico del centrosinistra. Un ‘campo largo, che in vista delle regionali, che ricordiamo sono a turno unico, include anche una lista Comunista, Azione, che ha già sostenuto convintamente Ferdinandi a Perugia, e a Italia viva di Renzi che torna a tutti gli effetti nel centrosinistra. Tutto bene quel che finisce bene? No assolutamente, perchè Stefania Proietti non ha sciolto la riserva, prendendosi qualche giorno per riflettere. I suoi dubbi, in prima istanza, vengono dal ruolo importante che riveste come sindaco della città serafica e dall’enorme lavoro che spetta ai suoi amministratori in vista del Giubileo del 2025, in cui la città di San Francesco avrà un ruolo di rilievo, con la massiccia presenza di turisti e pellegrini . Ma a distanza di qualche giorno ad Assisi , tra le segrete stanze già ci si muove per trovare un sostituto, e quindi a breve il nodo si dovrebbe sciogliere.
Esiste anche un ostacolo non detto, ma ben indagato da più testate regionali e riguarda la proiezione nazionale del voto umbro, che ricordo si salderà a quello delle regioni Emilia-Romagna ( Bonaccini dimesso perchè eletto al parlamento europeo) e della Liguria ( con le dimissioni dell’indagato ex-presidente Toti per le note vicende giudiziarie). E qui la sciarada politica entra nel vivo, perchè la coalizione di centro-sinistra, reduce dal buon risultato europeo, mira a fare l’en plein in tutte e tre le regioni, proiettando fosche nubi sulla tenuta del governo centrale, indebolendo sempre più la coalizione che regge il governo Meloni. Michele De Pascale, sindaco di Ravenna assai apprezzato in Emilia e lo spezzino Andrea Orlando, ex ministro del lavoro e della giustizia, per la Liguria , sono le candidature forti utili a sconfiggere i partiti di governo. Mentre la Proietti in Umbria, con le entrature che vanta in ambito ecclesiastico ( è stata Delegata della Conferenza Episcopale Italiana quale responsabile per i temi ambientali ) aspira ad erodere il consenso che parte dell’elettorato di matrice cattolica umbra ha dato alla uscente governatrice Tesei, tacitando anche gli eventuali contrattacchi della destra legati alle frange woke e lgbtq massicciamente presenti nel campo largo umbro. Nel campo opposto la governatrice Tesei pare non se la passi troppo bene, proprio perche’ in quota Lega, partito che sta prendendo una deriva estremista che fa arricciare il naso ai più, specialmente all’alleato Tajani di Forza Italia, che sarebbe pronto a far uscire l’asso dalla manica, l’ex-sindaco di Perugia Romizi, che ha ben figurato nell’amministrazione della città. Fratelli d’Italia ha una posizione più sfumata, memore dalla batosta presa a Perugia con il trionfo recente della sindaca Ferdinandi sulla Scoccia, voluta d’imperio dai notabili del partito che l’ hanno imposta su altri candidati, subendo come sappiamo una brutta sconfitta. Proprio per questo alla fine, pur in presenza di diverse zavorre, la Tesei rimarrà la competitor del centro destra per le elezioni umbre; questo per salvaguardare la coalizione nazionale, in primis le istanze di Salvini, che già strepita contro gli alleati di governo. A mettere i bastoni tra le ruote del bis Tesei potrebbe essere anche la presenza degli altri competitors Bandecchi, Fiore e Rizzo, che possono erodere da destra ( sì anche il rossobruno Rizzo fulminato sulla via di Orban) il consenso alla governatrice che vedrebbe sfarinarsi il suo bacino elettorale. Ritengo che la Proietti gradisca molto il confronto con Tesei, visti anche certi sondaggi “segreti” che circolano nelle consorterie regionali. Sondaggi che conosce anche il centro-destra che potrebbe innescare un vero colpo di mano ai danni della governatrice per inserire un nome di peso nazionale. Da qui i tentennamenti della Proietti che magari si ritroverebbe con un avversario molto meno malleabile. In in ogni caso la sinistra avrebbe già pronto la riserva, che si sta già scaldando a bordo campo, pronta ad entrare in gioco e rispondente al nome di Anna Ascani, la tifernate vicepresidente del Senato e del Partito Democratico. Quindi l’ipotesi principale rimane lo scontro Tesei Proietti se la contesa non esce dai confini regionali, viceversa se gli viene assegnata una prevalenza nazionale si potrebbe ipotizzare un duello Romizi contro Ascani. In ogni caso avremo probabilmente per la sesta volta consecutiva una donna come presidente di regione, caso più unico che raro in ambito nazionale. Mi preme sottolineare che in questo contesto politico, umbro od italiano che sia, manca completamente il convitato di pietra, e questo la dice lunga sulla crisi di rappresentanza di cui soffre la nostra politica: il programma politico, le cose da fare, la visione di fondo. E i risultati si vedono anche in Umbria, soprattutto in Umbria. Tutti impegnati come sono a trovare alleanze che gli permettono di governare poi non hanno idee, non sanno come risolvere problemi, non riescono a spendere neanche i soldi elargiti dalla comunità europea. Questi rassemblement di partiti disomogenei che poco hanno in comune sembrano stare insieme solo per il potere, eppure dovrebbero ragionare in anticipo su un programma comune da portare avanti per il bene della comunità, specialmente gli enti intermedi come i comuni e le regioni. Altrimenti ci si ritrova come la Ferdinandi che è guidata nelle scelte dai progetti avventuristici delle passate gestioni, senza poter fare niente di quello promesso. Si spera in un suo scatto di orgoglio e di personalità. Ma almeno con la Ferdinandi concedo il beneficio del dubbio dato che si è insediata da così poco. Il fallimento della politica nella nostra regione è testimoniato dalla bruttezza di tante periferie, dallo sfarinarsi delle città nelle campagne, dalla perdita di ricchezza e di servizi di cui soffre la comunità, specialmente quella umbra che nei numeri oramai ha la stessa impronta di tante regioni del sud, con il divario con il centro nord che si fa sempre più cospicuo ogni anno che passa. Il presidente del Censis De Rita direbbe che siamo una regione in attesa, un attesa perenne mentre il mondo corre veloce. Auguriamoci un rinascimento che spezzi questa apatia stagnante.
Sul frontone del tempio di Apollo a Delfi ci sta scritto “ conosci te stesso” , Sant’Agostino riprende il concetto con un monito: non andare fuori, rientra in te stesso, è nel profondo dell’uomo che risiede la verità. Mi ricollego ai principi dello Yoga con una frase del cinese Lao Tzu: chi conosce gli altri è sapiente, chi conosce se stesso è illuminato. Ogni cittadino, più o meno consapevolmente affida la rappresentazione di sé e del proprio status alla apparenza visibile della casa. La stessa cosa è per gli edifici della città; nella città, come nella casa o nelle opere dei cimiteri, ciascun individuo affida il proprio desiderio di immortalità, il sentimento dell’eterno, che possa sopravvivergli, le nostre case durano almeno una generazione; altri edifici della città, con i temi collettivi, come le cattedrali, la piazza civica, il palazzo comunale, incorporano una durata senza limiti. L’architettura sociale si contrappone alla architettura autoreferenziale con le sue esibizioni di tecnica ed estetica, queste cadono in secondo ordine se non sono finalizzate al benessere della collettività e al bene comune. Nasce una componente “ politica”, intesa come sociale, nella progettazione a scala domiciliare e urbana. La finalità dell’architettura sociale è quella di restituire ai cittadini la possibilità di condividere i progetti e partecipare alla costruzione della città legata ai propri bisogni e aspettative; almeno la possibilità di costruire la propria casa; la città e la sua architettura sono lo specchio e la risultante della società.
RUOLO DELL’ARCHITETTO.
La casa e l’architettura della città deve saper narrare, e lo fa anche non volendo, i propri spazi e la loro genesi ( story telling ); l’architettura non deve essere alla moda, non deve fare inutili esercizi o capricci creativi. L’architetto deve evitare la vetrinizzazione, la plastificazione della vita quotidiana. Siamo all’inizio di un’era in cui le costruzioni ci fanno più paura delle rovine ( Rebecca Solnit ); le rovine sono quello che rimane della città: left over, trascurata, messa da parte, quando le intenzioni dei pianificatori, degli amministratori e degli architetti smettono di esistere; gli architetti abbandonano il progetto, una volta realizzato, la costruzione è lasciata al suo destino. L’architettura celebra spesso il potere, gli edifici sono sempre con noi, la democrazia è un fatto urbano, l’architettura è la sua arte. Fuksas dice che il problema è politico: i politici devono combattere l’ingiustizia distributiva che affligge le città, sta a i politici affrontare l’emergenza generali in cui viviamo. Gli architetti si occupano di ben altre cose, di abbellimento formale, di decoro, di cose carine, insomma. Questo è l’alibi, in un modo o nell’altro; gli architetti producono la ciliegina, il loro lavoro è sempre di più marketing dei prodotti, dei brands ( modi di vita suggeriti dall’alto ), della moda, o del turismo e dello spettacolo. Le ARCHISTAR sono artisti al servizio dei potenti, ormai delle grandi ditte economiche, stabiliscono trends adatti a stupire e a richiamare il grande pubblico con trovate che non sono nemmeno edifici, ma messe in scena, enormi cartelloni pubblicitari, sedi di agenzie di comunicazione e qualche spettacolare quartiere disneyzzato. Come la cittadina Seaheaven, perfetta, pulita, ordinata da sembrare finta:
la cittadina in cui viveva Jim Carrey in The Truman Show; la storia è tratta da una intuizione di Philip K. Dick, il grande scrittore visionario di fantascienza. La città esiste davvero in California, si chiama Seaside, è la più importante comunità di vacanze dai tempi di Versailles, è la sede ideale della middle class americana; quella che può permettersi di traslocare, di vivere lontano dalla sede lavorativa, che cerca sicurezza, armonia, buon vicinato; tutto ciò che le grandi città non sono più in grado di offrire, ad un prezzo molto caro. Il capitalismo non è stato salvato solo dall’industria, siamo in una fase più avanzata: il capitalismo è stato salvato dalla finanza, dall’arte dei creativi applicata alla produzione di simulacri formali, tendenze, stili e superfici. L’archistar non lavora per la moda, diventa moda egli stesso e dunque brand, logo, garanzia per potere firmare un pezzo di città, un museo, un negozio, un’isola di Dubai ( con i suoi grattacieli senza democrazia ), tutto come se fosse una T-shirt. L’arte e l’architettura sono diventate puro spettacolo, non soltanto, si è ancora più smaterializzata per diventare l’allusione al guizzo creativo, la possibilità di acquisirne l’atmosfera: l’allure, il portamento, l’eleganza delle mosse. L’architetto garantisce che la città sia alla moda, inserita nei trends che fanno l’happening, la cornice dell’evento. Poi l’architetto ha l’alibi di non avere alcuna responsabilità, di essere un umile artista, un artigiano al servizio del potere, lasciando i problemi a quelli che dovrebbero gestirli, che non sono mai la soluzione dei problemi. L’architettura fa ancora il bene della città? In pochi anni l’85% dell’Umanità vivrà nelle città. Il settore delle grandi opere copre il 78% della corruzione mondiale, secondo l’agenzia Transparency International, associazione non governativa che si occupa della corruzione nel Mondo. Ma l’architettura può ancora avere una straordinaria funzione democratica, può essere il luogo di incontro di coloro che tentano di costruire la città più giusta. L’architettura è una professione di pensiero sul paesaggio e sulla città, un milieu intellettuale, un ambito, un contesto sociale, culturale e artistico, sensibile all’ambiente costruito e naturale. Vanno pensati luoghi di aggregazione, piazze, parchi, impianti per lo sport e lo svago, strade pedonali e ciclabili, orti: posti che consentono parità di accesso, occasioni di incontro, di integrazione sociale e di condivisione di esperienze quotidiane. Ci sono molte forme dell’abitare alternative. L’architettura spontanea, l’autocostruzione, il nomadismo urbano e non, comunità agresti e di mutuo soccorso, case per le comuni; ma non solo questo, ci sono forme semplici dell’abitare simili a quelle della cultura materiale del passato, la modernità è una tradizione ben riuscita.
LA BELLEZZA E L’ARCHITETTURA
Il passato: secondo i Greci la bellezza non è solo verità ma anche e soprattutto bene, il bello va con il buono. La natura, le piante e gli animali hanno il senso della bellezza, ce l’hanno i bambini e le persone ignoranti; gli architetti e gli artisti hanno un rapporto professionale con la bellezza, devono definirla, renderla esplicita e qualche volta misurarla. La bellezza che ci interessa è quotidiana, è quella del paesaggio domestico composto dal dentro e dal fuori delle nostre abitazioni., dalle strade che percorriamo normalmente, dai luoghi che ci sono consueti e cari: essa quando esiste ed è godibile da tutti, è simbolo di grande democrazia: in questo senso mi pare che abbia un valore umano e sociale incomparabile e un potere nobilitante che le attribuivano i classici e romantici. Amare le cose belle significa provare piacere a dividerle con gli altri, la bellezza civile., il senso collettivo della armonia, dell’unità del fare. Occorre un amore disinteressato, Cicerone diceva che solo l’amante della sapienza si accosta alle cose come puro spettatore. Se a pochi è dato il talento, di creare grandi opere, a noi tutti resta la grande gioia del FARE CON CURA ( cure giving ) , non possiamo tutti creare il sublime ma piuttosto sforziamoci di fare il piacevole: creare spazi interni ed esterni degni di essere amati, ricordati, luoghi del sentimento e della ragione. Il bello è là dove si vede il lavoro della mente, dell’animo e delle mani. L’architettura, come l’arte, è fatta di: CUORE: i sentimenti, l’estetica, il ricordo, la filosofia, il chiedersi perché si fanno certe cose, la percezione della buona forma o psicologia della Gestalt, l’armonia o Kata Metron. TESTA: il rigore scientifico, la misurazione, la professionalità, l’ingegneria delle strutture e degli impianti, lo studio della funzione, l’economia , il Sistema Qualità. MANI: gli interventi concreti, le tecnologie, lo studio dei materiali,di come si applicano e dei loro cambiamenti nel tempo, la gestione, manutenzione e riparazione. GENIUS LOCI: nell’antichità era la divinità protettrice di un luogo; lo spirito, il carattere di un posto, se opero in un luogo devo interagire con esso, con le sue peculiarità. Al contrario oggi nascono i non luoghi di Marc Augè, posti che potrebbero trovarsi ovunque sul pianeta. IL PROGETTO: la scelta di infuturarsi, come diceva Dante. Provare a prevedere il futuro. LA SOSTENIBILITA’: ci vogliono leggi giuste e condivise che evitano le azioni dannose per l’ecosistema città e paesaggio, che possano premiare le azioni che rendono essi più vivibili. I popoli moderni non sono più cattivi o stupidi di quelli del passato ma sono più confusi. Bisogna allora pensare globalmente e agire localmente, partire dalle piccole cose, dalla gente come protagonista diretto delle decisioni progettuali. From the bottom up, dal basso verso l’alto; spesso le soluzioni che vengono imposte dall’alto sono inefficaci, invece le soluzioni concordate e condivise dal basso risultano più efficaci.
LUOGO E COMUNITA’
In passato l’architettura, nata dalla tradizione locale, è stata il risultato di una perfetta armonia tra l’essere umano e l’ambiente circostante. Le strutture sono state costruite con grande economia di mezzi, con materiali disponibili localmente. Le comunità e l’architettura hanno imparato a conoscersi nel tempo, gli abitanti capivano il significato del costruire in tutti i suoi aspetti. Oggi, nelle società moderne, si tende a centralizzare e omologare il processo decisionale della trasformazione dell’ambiente; la maggior parte degli interventi urbani di grande dimensione è operata da soggetti che non fanno parte della collettività per la quale si sta progettando. I veri bisogni degli abitanti rimangono spesso inespressi e non risolti. SE LA POPOLAZIONE NON PARTECIPA ALLE DECISIONI CHE LA RIGUARDANO, E’ LECITO DEFINIRE UNA POPOLAZIONE COME UNA COMUNITA’ ? La parola comunità fa riferimento ad un gruppo di persone che hanno qualcosa in comune e che abitano lo stesso luogo. Con lo sviluppo della società moderna e con la nuova urbanizzazione questa cosa si è indebolita quasi fino a scomparire: l’uomo è confuso da questa frammentazione e globalizzazione del mondo. Spesso le tecnologie della comunicazione e le reti informatiche hanno esploso, confuso , frammentato il senso di identità spaziale e locale delle comunità. Invece all’interno delle comunità gli individui membri comunicano, si scambiano informazioni, elaborano e realizzano progetti; a volte si incontrano, spesso prendono decisioni comuni che apportano benefici alla comunità intera e facilitano la realizzazione di obbiettivi che la mantengono coesa. Ovviamente le persone continuano ad abitare delle località, quartieri, zone, frazioni, condomini, ma una località abitata non è necessariamente una comunità. Le componenti costitutive una comunità sono dunque indebolite nella città contemporanea soprattutto e si riflette nella caratteristica di insostenibilità propria dei nostri centri urbani. Nelle città stanno scomparendo i luoghi, CHE COSA E’ UN LUOGO? Non è un sito, uno spazio, cioè un punto nella carta geografica con delle coordinate. Il luogo deve essere fisico, tangibile, come la vita che va toccata, legato alle esperienze fisiche e sensoriali, intriso di sentimenti, significati, ricordi…Deve far stare bene chi vi abita: il luogo è un pezzo di ambiente di cui ci siamo riappropriati con i sentimenti. Per molti cittadini gli unici spazi di vita quotidiana, che si possono considerare luoghi sono gli ambiti privati: la casa, il giardino, l’auto; gli spazi pubblici, le aree aperte della nuova città, sono, per gran parte della popolazione, dei non luoghi: nessuno o pochi li amano e se ne prendono cura. Il progressivo peggioramento della qualità dell’ambiente costruito si sviluppa con il marcato distacco tra i cittadini e gli spazi della città, e si perde lo spirito di un luogo, la qualità di uno spazio di renderlo memorabile o rappresentabile, una qualità presente in quei luoghi che ci danno la sensazione di “ essere arrivati”; questo sentire IO SONO QUI, l’identità di un luogo, quello che lo caratterizza come distinto e particolare. Qualità architettoniche e paesaggistiche che nel tempo diventano notevoli, possiedono armonia nelle loro dimensioni e nelle loro forme, sono inseriti in maniera equilibrata nei loro contesti naturali, nascono da capacità artigiane e di qualità dei materiali costruttivi. Ma non è solo la qualità fisica che crea questo spirito, che lo rende luogo, la sua identità è intimamente intrecciata con l’identità degli individui e della comunità che abitano in quel luogo. Le connessioni tra abitanti e luoghi storici, ricchi di genius loci, si sono costruite nel tempo con l’uso e i processi che hanno visto la comunità partecipe della sua creazione e sviluppo, della sua cura e difesa. E’ molto difficile affermare il proprio essere nelle strade anonime e tra i palazzi grigi e uniformi delle nuove periferie; l’origine di questo fenomeno va ricercata non solo nei modelli della nuova urbanizzazione o nella forma dello spazio urbano ma anche nei meccanismi della sua produzione e della sua gestione. Potersi identificare con la località nella quale si abita, potersi sentire parte di una comunità e di uno o più luoghi urbani, sono elementi che contribuiscono non solo alla qualità della nostra vita ma anche al nostro modo di fare politica, inteso come disponibilità a farsi coinvolgere nei processi decisionali che influenzano il presente e il futuro di quel territorio comune che sono la città e il paesaggio.
PARTECIPAZIONE E SVILUPPO SOSTENIBILE
Che cosa facciamo dipende da chi siamo o pensiamo di essere, o meglio siamo solo ciò che facciamo; in questo caso in che modo ci rapportiamo agli altri, dal luogo che abitiamo e dalle questioni che l’abitare quel luogo sollecita in noi. ULAY, il compagno di Marina Abramovic dice: AESTHETIC WITHOUT ETHIC ARE COSMETICS, l’estetica senza etica è solo cosmetica. Parafrasando Paul Goodman: siamo tutti disposti a eliminare qualsiasi privilegio personale per il verde dell’erba e le acque chiare dei fiumi, per gli occhi brillanti e i visi coloriti, di qualsiasi colore, dei bambini, per le persone non costrette a subire ordini e libere di essere se stesse? Che importanza hanno i prati, le acque chiare e i bimbi per un progettista delle città contemporanee e di chi le gestisce e le abita? E’ meglio occupare il cortile sotto casa con le automobili o farci giocare i bambini? Il migliore e più potente motore del cambiamento rimane l’esperienza diretta: le persone cambiano quando scoprono attivamente che un altro modo di fare le cose, di vivere o di essere è più piacevole o soddisfacente della vecchia maniera. Per quanto riguarda l’educazione ambientale il metodo si è raffinato negli ultimi anni mirando a informare o educare il cittadino a proposito di passi e azioni semplici che potrebbe intraprendere nel curare o gestire il proprio ambiente. Però, questa impostazione continua a escludere il cittadino dall’identificazione a monte dei problemi; in questa maniera, l’ordine del giorno ambientale continua a essere imposto dall’alto e continua erroneamente a far capire che ci sono risposte singole, spesso univoche, ai nostri problemi ambientali. Questo è un errore dal punto di vista ecologico. L’eco-design innesca uno sviluppo progressivo: gli stessi principi ecologici applicati in diversi contesti ambientali e culturali producono soluzioni diverse. La progettazione ambientale ecosostenibile, e l’architettura sociale, riconosce alle persone un ruolo importante a fianco degli esperti. Ci sono delle difficoltà, ad esempio nella attuale assenza di legami, che ci connettano alla comunità locale e al luogo che abitiamo, è impossibile sviluppare un senso di responsabilità presente e futura verso l’ambiente globale. Senza esperienza diretta nella definizione e gestione dei problemi ambientali, è molto difficile decifrare le interrelazioni tra le nostre azioni individuali o collettive e gli avvenimenti esterni e lontani nello spazio e nel tempo, e di conseguenza cambiare i nostri lavori. Dunque non esiste modo migliore per costruire la sostenibilità urbana che la partecipazione dei cittadini alla identificazione dei problemi e delle risorse locali e alla elaborazione delle soluzioni a queste connesse. Per un sistema naturale, la biodiversità è una delle caratteristiche più importanti nel definire il suo grado di sostenibilità. Il dialogo tra le persone con diverse esperienze, percezioni e valori, permette di vedere l’oggetto della partecipazione come un’entità composita, come un insieme di luoghi e funzioni diversificate. In quanto individui, vediamo solo un pezzo del mosaico territorio/ città; per superare questa posizione e trovare il terreno comune ricercato è necessario ascoltare gli altri e apprendere de loro, soprattutto da quelli che la pensano diversamente da noi. Mac Leod HA IDENTIFICATO DEI VALORI COMUNEMENTE ASSOCIATI ALLO SVILUPPO SOSTENIBILE: Assicurare l’equità tra generazioni; una generazione, per stare bene, non deve farlo a scapito della prossima. Conservare la biodiversità e l’integrità ecologica. Preservare il capitale naturale e il reddito sostenibile minimo e dignitoso. Sostenere un approccio alla politica che sia anticipatorio e precauzionale. Garantire l’equità sociale. Limitare l’uso delle risorse naturali. Cradle to cradle, dalla culla alla culla, processi a rifiuti zero. Attribuire un valore economico alle risorse ambientali, al paesaggio, alle acque chiare, all’aria pulita eccetera. Perseguire in questo l’efficienza con poca burocrazia e molta praticità. Realizzare un’economia stabile e ciclica, che gestisca lo stato di equilibrio. Promuovere la partecipazione comunitaria. Ragionare con semplicità, in proposito Einstein diceva che se non riesci a spiegare un concetto ad un bambino di sei anni, non l’hai capito nemmeno tu!
UNA IPOTESI DI METODO
Questi valori o principi sono alla base dei documenti e delle convenzioni sull’ambiente ma quanti di questi sono noti e applicati da un cittadino? Parole come biodiversità, ecologia nella bocca dei politici e di tutti non hanno alcun significato senza questi valori, rimangono inutili e incomprensibili.
Raymond Lorenzo, docente di urbanistica a New York, vive a Perugia ed è consulente del WWF, sostiene che per costruire o trasformare una città in un ambiente sostenibile è necessario prestare attenzione alla base, non solo intesa come supporto naturale o ecologico, ma soprattutto come coinvolgimento diretto della comunità locale nelle decisioni progettuali, propone un metodo di lavoro. Secondo Raymond Lorenzo va fatto un gioco di ruolo con un facilitatore, che presenta la strategia della partecipazione, i bambini come catalizzatori, narra dei casi concreti applicati a Foligno e Milano, e di altri casi nel mondo; il metodo è spiegato nel suo libro: “La città sostenibile, partecipazione, luogo, comunità. Va citato anche il libro “ L’architettura di sopravvivenza” di Yona Friedman, con le sue riflessioni sulla povertà:” In passato avere una casa, in campagna, non era un problema insormontabile; il contadino muratore, con l’aiuto della famiglia e dei vicini, poteva costruire i muri e il tetto della propria casa servendosi dei materiali di cui disponeva in modo relativamente libero, i materiali erano terra battuta, pietra, paglia, legno… Era più facile avere una casa che mangiare. Nell’epoca industriale le città sono piene di case costruite male da altri e date spesso in affitto, la povertà si esprime in maniera opposta: è più facile mangiare che avere una casa. Nell’epoca contemporanea l’uomo moderno produce denaro, servizi. ( solo il 5% produce cibo, il 15% produce beni industriali ) Se con quel denaro prodotto poteva vivere meglio di come nel passato, adesso non può farlo perché non ne ha a sufficienza per le varie convenzioni, mode e servizi del mondo di oggi. “ Nelle case prima della guerra c’erano 40-100 oggetti, oggi ce ne sono almeno 4.000-10.000, provate a contare i vostri! Inoltre ecco che oggi bisogna spendere molto per avere dei servizi che in passato erano, in qualche modo, gratuiti: accudire bambini, fare riparazioni, lavare, pulire, farsi da mangiare…In futuro, forse l’uomo tornerà a farlo da sé, ecco che l’autoproduzione e l’autopianificazione potrebbe essere necessaria. Situazione diversa nei paesi non industrializzati: i contadini lasciano la campagna; la sovrappopolazione e l’impoverimento del suolo rendono la sopravvivenza più difficile, abbandonano la terra perché credono che nelle città troveranno un lavoro che permetterà loro un più alto livello di vita. E’ così che si formano le baraccopoli, o bidonville, intorno alle grandi città del terzo mondo e ogni tanto anche nei paesi occidentali.
Come potranno sopravvivere? La sovrappopolazione e la povertà con la mancanza di risorse potranno essere risolte dal progresso tecnico scientifico? Abbiamo una minima idea, da futurologi, per riuscirci? La attuale tecnologia industriale non basta a fare scomparire la povertà, lo farà una futura organizzazione politico-industriale? Magari organizzata sulla telecomunicazione. E’ evidente che oggi nessuno ha la minima idea di come si potranno assicurare a circa 4 Mld di esseri umani: una casa all’occidentale anche rudimentale, un’automobile anche solo una bicicletta, per non dire della quantità di cibo abituale nei paesi industrializzati, i servizi, i trasporti, il tutto grazie ai metodi industriali. Con l’attuale produzione industriale, ammesso che ci siano le risorse e materie prime, ci vorrebbe circa mezzo secolo ma intanto l’Umanità avrà ancora più individui. Per il cibo e la casa, le promesse dell’industrializzazione non potranno dunque essere mantenute. Vivere significa avere acqua e cibo, il resto viene dopo. Se proviamo a classificare le cose indispensabili per la nostra esistenza, in funzione del tempo durante il quale non possiamo vivere senza, otterremo il seguente ordine: aria, acqua, cibo, protezione climatica; tutti gli altri bisogni vengono molto dopo….. Dovremo vivere ed interagire in un contesto pensato e costruito a scala più umana che possa stimolare comportamenti e cambiamenti positivi, con il rispetto della cultura delle persone che ne beneficeranno. Non si vogliono imporre idee e soluzioni, nel nostro caso architetture, che possano risultare aliene o non coerenti con le necessità o il contesto in cui si inseriscono. Ogni persona ha diritto a un minimo di progetto di qualità anche estetica. Il rispetto per le risorse naturali del luogo e globali, questa è la sfida più grande. Vorrei citare anche la proposta di Architettura della Partecipazione dell’architetto cileno Alejandro Aravena. D’ora in poi l’architettura sarà di tutti e per tutti; oltre che ridurre i costi, le comunità potranno vedere i risultati ottenuti e i miglioramenti che questa pratica hanno già prodotto in altre situazioni. Aravena ha postato sul suo sito un progetto free, ognuno è libero di scaricare questa proposta progettuale di casa piccola, autonoma e espandibile.
Un simpatico architetto italiano, Marco Ermentini, collaboratore di Renzo Piano, propone L’architettura Timida del Rammendo, della ricucitura della periferia e degli edifici nel caso del restauro; metto a posto o sostituisco solo quello che in una casa o in una città non funziona più, non ha senso buttare ciò che ancora può funzionare. L’architetto non vuole più lasciare il segno; vuole provare a risolvere le periferie che sono ormai il luogo primario, in fondo siamo alla periferia della galassia, nella periferia del nostro mondo animale. Un vecchio portone perché deve essere sostituito se ancora funziona o si può riparare, una muratura con i buchi, perché tapparli senza un buon motivo. I jeans strappati, evoluzione della estetica punk come le calze strappate, sono la testimonianza di una nuova bellezza. Questo nuovo modo di vedere la bellezza è il Wabi-Sabi, che costituisce una visione del mondo giapponese, o estetica, fondata sull’accettazione della transitorietà e dell’imperfezione delle cose. Tale visione, talvolta descritta come “bellezza imperfetta, impermalente e incompleta” deriva dalla dottrina buddhista dell’Anitya. Dunque vanno fatte piccoli azioni, meno interventi e più intelligenza. Viviamo un cambiamento epocale simile a quello della rivoluzione industriale, le professioni stanno cambiando e anche l’architetto dovrà diventare nomade, un medico condotto, tornerà la casa bottega. Cerchiamo di anticipare certi cambiamenti, infuturiamo la nostra professione con nuove azioni di regista, compositore e maestro di orchestra di una musica suonata in accordo con i fruitori. L’architetto sta con la gente e sperimenta con essa, è un facilitatore e un regista di un gioco di ruolo, un tutor.
Bibliografia un po’ ragionata:
La città sostenibile ( Raymond Lorenzo ) L’architettura di sopravvivenza ( Yona Friedman ) Una casa non è una tazza ( Giovanna Franco-Repellini ) Contro l’architettura ( Franco La Cecla ) Progettare la Felicità ( Sabino Acquaviva ) Salviamo il Paesaggio! ( Luca Martinelli ) Fate poco ( Angelo Fanelli e il Gorino! ) La città come opera d’arte ( Marco Romano ) Piccolo manuale per imparare a fare e ricevere critiche ( B. Beckhan ) Futuro ( Marc Augé ) Sociologia ( Berger P.L. e Berger B. ) Il cadavere della Bellezza ( S. Bulgakov, N. Berdjaev ) Maledetti Architetti ( Tom Wolfe ) Gli architetti dovrebbero ammazzarli da piccoli! ( Matteo Clemente )
Oltre all’Architettura Sociale, sarebbe giusto parlare di Arte Etica, menzionata prima da Ulay: per esempio l’artista Beyus, che disse che siamo tutti artisti, come è vero che siamo tutti architetti. Beyus creo’ la Fondazione dell’Istituto per la rinascita dell’Agricoltura, la piantagione Paradise con la messa a dimora di 7000 piante per biodiversità, è noto il suo incontro con Burri presso la Rocca Paolina di Perugia e le sue sei lavagne illustrate.
Banksy , che ci dice: “Ho intenzione di dire come la penso, perciò non ci metterò molto. Contrariamente a quanto si va dicendo, non è vero che i graffiti sono la più infima forma d’arte. Certo, può anche capitare di dover strisciare furtivamente in piena notte e dire bugie alla mamma, ma in verità è una delle forme d’arte più oneste che ci siano. Non c’è elitarismo o ostentazione, si espone sui migliori muri della città e nessuno è dissuaso dal costo del biglietto.” Banksy è contro la mercificazione dell’arte, espone all’esterno opere che ci obbligano a pensare in forma critica la nostra civiltà. Infine l’artista cinese Ai Weiwei, attivista dei diritti umani, ha denunciato il governo cinese ma è stato spesso critico anche verso la civiltà occidentale; ha esposto varie volte in Italia, a Palazzo Te a Mantova e Palazzo Strozzi a Firenze. Ha diretto un documentario in cui racconta le migrazioni attraverso le immagini girate in 22 paesi del mondo. Ai Weiwei è artista ma soprattutto architetto e attivista, ecco cosa dice: “ Per me l’architettura ha un forte valore estetico e include un giudizio morale…Questo permette di potersi costantemente chiedere: E’ UTILE? Il giudizio è dunque su quanto e quanto bene coinvolgi attraverso l’architettura, su chi la userà.”
Il carattere di grande precoce, che lo definisce, opera quel fraintendimento a cui è andato incontro Max Stirner nei confronti dei suoi contemporanei che perdura anche oggi, alla presenza di un’agiografia piuttosto corposa che ha fatto riprendere l’interesse per questo pensatore tedesco, trovatosi suo malgrado al centro di una nutrita serie di interpretazioni ognuna divergente dall’altra. Come in un test di Rorschach ognuno vi proietta quello che è il suo pensiero, ipotesi lievemente comica se si comprende il fatto che quello che è più importante nel suo discorrere è proprio ciò che non è detto, che è celato. E quindi è tutto un florilegio di soccorritori che vanno da un tizio che poi ci fonda su un partito fascista, un altro che è ideologo di qualche bomba intelligente, un terzo che ne fa professione di veggenza profetica, non mancando naturalmente l’uso di bignamino dell’anarchismo più spicciolo e casalingo. Per dissipare la nebbia ideologica che ha impedito di capire la portata più autentica del suo “Unico”, bisogna seguire quel filo di Arianna steso lungo il tortuoso percorso della sua opera, oltre le citazioni e i confronti con le filosofie altrui, oltre le invettive contro ogni forma di sacro, per approdare infine all’ “essenza”(scusami Max) delle sue intuizioni: l'”Unico” è il frutto cosciente, deliberato, perpetrato e ricercato di oltrepassamento di qualsiasi forma di oggettività e soggettività del cogitare umano. Il rifiuto di qualsiasi forma di dualismo. Tentativo perfettamente riuscito. Il nostro non si nasconde proprio, lo dice a chiare lettere, è che siamo noi, imbevuti di dogmi, a non accorgercene : <Come si può voler sostenere della filosofia che abbia portato libertà, dal momento che non ci ha liberati della schiavitù dell’oggettività(l’Unico e la sua proprietà pag.239) <Quando Fichte dice: l’Io è tutto, sembra che ciò si armonizzi perfettamente con quello che enuncio io. Non è vero che l’Io è tutto: è vero solo che l’io distrugge tutto, e soltanto l’io che dissolve se stesso, l’io che non è mai Essente, l’io finito, è veramente io. Fichte parla dell’Io assoluto, io invece parlo di me, dell’io caduco.(ibid.pag.457)
Introduco molto volentieri un articolo trovato in rete riguardo una prospettiva poco conosciuta ma dal carattere fortemente suggestivo,se vogliamo provocatorio, inerente i legami e le differenze che legano due tradizioni di pensiero che sono apparse in epoche e luoghi altri,apparse fino ad oggi inconciliabili, ma che sotto l’apparente diversità presentano sorprendenti punti di convergenza che aiutano a rinforzare entrambe proprio in alcuni passaggi critici rispetto ad una prassi che li definisce utopistici: sto parlando della relazione tra il Buddismo e l’Anarchismo, come ben spiegato in questo intervento di Ian Mayes. In seguito traccerò una mia personale critica,secondo uno stilema che mette a confronto vari autori in un incrocio dialettico ed esperenziale da cui poter trarre una conclusione ampia e praticabile pur in un contesto intellettuale così complesso,dato dalla vastità delle scuole presenti sia nel Buddismo che nell’Anarchismo, che si muovono tradizionalmente rispettando piu’ un pensiero polifonico che un pensiero singolo,pur in uno spartito tradizionale che permette diverse improvvisazioni.
IMMAGINARE UN ANARCHISMO BUDDHISTA
Ian Mayes
Considero importante l’anarchismo buddista per due ragioni. Essenzialmente per me il buddhismo concerne la liberazione personale dell’individuo da sofferenze non necessarie. L’anarchismo per me è essenzialmente liberare il mondo, attraverso una profonda trasformazione sociale e politica, dal dolore non necessario. Siamo noi stessi a creare tutto questo dolore e questa sofferenza non necessari. La distinzione fra i due è che il dolore di solito è qualcosa di fisico o qualcosa di “esterno”; è ciò che di solito intendiamo quando pensiamo al dolore. C’è anche il dolore affettivo, quello che proviamo dopo la perdita di una persona amata. La sofferenza è quel particolare tipo di angoscia che insorge quando siamo presi dall’idea che qualcosa che sta accadendo “non dovrebbe” accadere e che qualcosa che non sta accadendo “dovrebbe” accadere. Ciò trasforma qualunque dolore preesistente in qualcos’altro, in qualcosa di peggiore che è la sofferenza. La sofferenza è creata dalle nostre abitudini mentali, dalle cose a cui scegliamo di dedicare attenzione e dai pensieri che decidiamo di coltivare. Il dolore, invece, è inevitabile nella vita, anche se i sistemi sociali e le istituzioni che l’umanità ha scelto per organizzare il mondo crea per le persone più dolore del necessario. Un anarchismo buddhista dovrebbe al contempo eliminare la sofferenza non necessaria nella psiche e il dolore non necessario nel mondo, portando più gioia e un maggior apprezzamento della vita. L’altra ragione per cui considero importante un anarchismo buddhista è che io considero le due filosofie complementari nel senso che esse si completano a vicenda. Si tratta, per così dire, dell’unione del personale e del politico, dello psicologico e del sociale. Sarebbe la liberazione nel suo senso più pieno, sia sul piano personale individuale che all’interno del contesto sociale più allargato. La filosofia dell’anarchismo implica la necessità di un mutamento fondamentale nella coscienza delle persone. Se vogliamo un mondo nuovo senza dominatori, senza proprietà e senza autorità, le persone avrebbero bisogno di abituarsi a vivere esercitando maggiore benevolenza, attenzione, cura e flessibilità reciproche. Tuttavia, questo mutamento di coscienza raramente viene esplicitamente dichiarato o elaborato nelle analisi degli anarchici e le abilità necessarie per far sì che le persone possano raggiungere questo mutamento di coscienza non vengono quasi mai insegnate nei circoli anarchici. L’altro angolo di prospettiva su questo tema riguarda l’argomento del cosiddetto buddhismo impegnato: troppo spesso il buddhismo diventa, in pratica, uno strumento per evadere dal mondo, per ignorare le sofferenze degli altri contribuendo ciecamente alle ingiustizie del mondo. Se si desidera veramente la liberazione di tutti gli esseri, allora ci si dovrebbe inevitabilmente sentire attratti verso un impegno sociale profondo che abbia questo obiettivo.
Il tempo passa
Non esiste una vera e propria filosofia preesistente già formulata che affronta in profondità il tema dell’anarchismo buddhista. Varie persone hanno utilizzato questa etichetta per descrivere se stesse; diversi articoli, diversi post di blog, registrazioni audio o video sono stati scritti o fatti, ma non esiste una vera e propria tradizione di pensiero per quanto riguarda l’anarchismo buddhista in quanto tale. Questo termine venne per la prima volta registrato nell’uso cinquanta anni fa, nel 1961, da Gary Snyder nel suo saggio intitolato Buddhist anarchism. Il fatto che Snyder sia ancora vivo significa che ci troviamo ancora nel periodo della prima generazione di anarchici buddhisti viventi. La cosa nel suo insieme è ancora per lo più nella sua fase iniziale di formazione, il che significa che tutti potremmo in questa fase contribuire a definire e a circoscrivere ciò che vorremmo fosse una filosofia classificabile come anarchismo buddhista. Vorrei qui anch’io offrire un mio ulteriore contributo alla definizione di ciò che dovrebbe includere una tale filosofia, questa volta attingendo maggiormente (rispetto al mio precedente saggio) ai principi che formano il nucleo della filosofia buddista.
Per essere più precisi
Una cosa che vorrei dire subito è che non considero l’anarchismo buddhista connesso in qualsiasi modo ai vari governi tirannici, alle superstizioni religiose e alle tradizioni patriarcali associate al buddhismo in varie regioni del mondo. Il tipo di buddhismo cui si collega l’anarchismo buddhista è quello insito nei principi filosofici di base del buddhismo stesso. Le varie scuole buddhiste che presentano aspetti che contrastano con la filosofia dell’anarchismo non fanno parte dell’anarchismo buddhista per come lo vedo io. Ammetto sicuramente che esistono al mondo diversi tipi di filosofie buddhiste. Come del resto esistono molti diversi tipi di filosofie anarchiche. Tutto considerato, ciò significa che esistono innumerevoli modalità in cui l’anarchismo buddhista può prendere forma ed essere espresso da persone diverse. La mia stessa formazione, che influenza la mia prospettiva sull’anarchismo buddhista, proviene dalla mia esperienza della meditazione vipassana, la quale deriva da una tradizione buddista Theravada, e dall’anarco-comunismo associato agli scritti del filosofo anarchico russo Petr Kropotkin.
Componenti chiave
Nonostante le tante diversità all’interno del buddhismo, esistono al suo interno dei principi chiave che tutte le diverse tradizioni hanno in comune. Prendendo in considerazione questi elementi, noto diversi parallelismi e incroci possibili con la filosofia dell’anarchismo. A iniziare dalle Quattro Nobili Verità. La Prima nobile verità del buddhismo è che la sofferenza esiste dappertutto. Ovunque si guardi si vedono persone in stato di bisogno o che in qualche modo sperimentano un qualche grado di sofferenza nelle loro vite. Ciò trova corrispondenza con la filosofia anarchica secondo cui il mondo in cui viviamo è organizzato in modo fondamentalmente corrotto e dannoso per la vita. Dappertutto gli anarchici condividono la stessa opinione di considerare il mondo e la società profondamente e pervasivamente contro la vita. Il mondo come lo conosciamo è davvero messo male! La Seconda nobile verità del buddhismo dice che il dolore ha una causa e che questa causa sono la brama, l’avversione e l’ignoranza. In altre parole, il dover avere qualcosa, il dover evitare qualcosa o il semplice rifiutarsi di considerare la vita così com’è sono le cause del dolore. Queste tre cause della sofferenza per l’anarchismo sono correlate con le istituzioni del capitalismo e dello stato e con la condizione di dominio che esse generano, causa di tutta la corruzione e dell’oppressione del mondo. Il dominio trova la sua radice nella brama e l’avversione per essa nasce quando coloro i quali stanno in cima alla gerarchia devono avere quello che vogliono a modo loro, anche se a spese degli altri e non sono tollerate o permesse altre possibilità. Gli anarchici spesso condannano anche l’ignoranza che domina la società considerandola una parte fondamentale del problema. Gli anarchici sottolineano la tendenza delle persone della nostra società a ignorare o a trascurare le varie ingiustizie e gli orrori che esistono nel nostro mondo, mentre invece concentrano l’attenzione su argomenti triviali, superficiali o di intrattenimento. Questa dinamica sociale del distrarsi in continuazione fa sì che tutte le ingiustizie e gli orrori continuino. La Terza nobile verità del buddhismo è che è possibile vincere la sofferenza. Esiste una condizione psico-spirituale chiamata nirvana o illuminazione e ogni individuo, sforzandosi, riesce a raggiungerla. Il parallelo tra questa condizione e l’anarchismo è la visione utopica di una nuova società che esista senza lo stato o il capitalismo, senza dominio o gerarchie e che sia invece basata su persone libere che si organizzano insieme direttamente in quanto uguali e che mettano in comune le risorse del mondo condividendole. In modo simile all’asserzione buddhista che ritiene possibile raggiungere questa condizione radicalmente diversa attraverso i propri sforzi, anche gli anarchici asseriscono che le società e le persone sono in grado di creare questo mondo radicalmente diverso attraverso i propri sforzi. La Quarta nobile verità del buddhismo è che esiste un sentiero preciso e ben delineato da seguire per raggiungere il nirvana. Questo sentiero si chiama Nobile ottuplice sentiero. Evito qui di affrontare ciascun punto del nobile ottuplice sentiero (magari lo farò in un altro articolo). Invece, prenderò in considerazione le tre categorie in cui viene diviso lo stesso ottuplice sentiero: moralità (sila), padronanza della propria mente (samadhi) e saggezza esperienziale (panna). Anche per la filosofia dell’anarchismo esiste un mezzo esplicitamente indicato per ottenere una rivoluzione sociale che ha tre diverse componenti. Ciò comprende pratiche che sono caratterizzate dai principi della politica prefigurativa, dell’auto-organizzazione e dell’azione diretta. Il concetto buddista di moralità (sila) significa fondamentalmente che non bisogna fare o dire cose che siano dannose per altri e che bisognerebbe sentirsi spinti a fare e dire cose che siano invece di aiuto per il prossimo. L’idea è che se una persona fa o dice cose che sono dannose per altri, quella persona in quello stesso momento sta facendo del danno a se stesso, sia psicologicamente che spiritualmente. La moralità buddista (sila) corrisponde alla nozione anarchica di politica prefigurativa, il principio secondo cui le azioni e i progetti che una persona mette in pratica dovrebbero riflettere il tipo di mondo che si vuole realizzare in futuro. In altre parole, “Sii il cambiamento che desideri vedere nel mondo”. Al cuore di una moralità anarchica, espressa attraverso una pratica prefigurativa, sarebbero relazioni in cui viene rispettata l’autonomia di ciascun individuo, senza coercizioni, e in cui vengono valorizzati allo stesso modo i bisogni di ognuno. Nell’insieme ciò dovrebbe voler dire che le azioni e i progetti di una persona siano attuati a beneficio di altri oltre che di se stessi e che siano messi in pratica per assicurare un futuro migliore oltre che per il presente. Il padroneggiare la propria mente (samadhi) significa sviluppare la capacità di controllare i pensieri che ognuno coltiva nella propria mente in un qualsiasi momento, riuscendo a scegliere dove ognuno mette la propria attenzione e riuscendo a prendere chiaramente decisioni e a dar loro un seguito. La meditazione è il tipo di pratica che viene usata per sviluppare il controllo della propria mente. La correlazione con l’anarchismo che metto in parallelo col controllo della propria mente è il principio dell’auto-organizzazione, il fatto cioè che un gruppo di persone organizzano insieme le proprie azioni, direttamente e democraticamente senza utilizzare gerarchie sociali o gruppi all’infuori del proprio per prendere decisioni in merito agli stessi componenti del gruppo. Perché questi gruppi sopravvivano e prosperino in modo auto-organizzato devono sviluppare strumenti per facilitare l’auto-organizzazione, dove l’attenzione del gruppo sia concentrata su una data situazione, prendendo decisioni collettive e mettendole in pratica in modo efficace. In un certo senso samadhi e auto-organizzazione sono entrambi forme di auto-organizzazione, solo che in un caso essa si verifica a livello individuale e nell’altro caso si verifica a un livello sociale più ampio. L’auto-organizzazione all’interno di un gruppo richiederebbe lo stesso tipo di coesione, chiarezza e auto-disciplina che sono caratteristiche della condizione di samadhi. La saggezza esperienziale (panna) significa sperimentare una più profonda conoscenza della natura dell’esistenza personalmente e direttamente. Questo tipo di comprensione va oltre ciò che può essere letto nei libri o in scritti vari. Anzi, essa va oltre tutto ciò che può essere adeguatamente espresso in parole. Deve essere vissuto per essere capito. Ciò può essere messo in relazione col principio anarchico dell’azione diretta, ossia la capacità di soddisfare bisogni e di rendere necessari cambiamenti senza che qualcun altro ci dica di farlo e senza chiedere permesso di farlo a una qualche forma di autorità. Ciò può essere messo in relazione col fatto che quanto si apprende nel processo di attuazione dell’azione diretta e i tipi di cambiamenti che questa produce all’interno delle persone mediante la medesima azione diretta va oltre qualsiasi cosa possa essere appreso o acquisito esclusivamente attraverso documenti scritti o parole. L’azione diretta produce un mutamento profondo e fondamentale nelle persone, molto simile ai mutamenti che avvengono attraverso il panna. Sono entrambi mutamenti sul piano esperienziale diretto. L’azione diretta spazza via le illusioni dell’autorità, panna manda in frantumi le illusioni in quanto tali. Quando si riesce a vedere in prima persona che le cose vengono fatte senza autorità, ci si accorge che l’autorità non è che uno spaventapasseri, un uomo di paglia. Quando si sperimenta la verità che sta oltre le parole, ci si accorge quanto insignificanti siano le parole.
Segnare una nuova esistenza
Il buddhismo presenta anche una speciale concezione della natura del nostro mondo. Ciò viene riassunto da ciò che viene indicato con I tre segni dell’esistenza. Prendendo in considerazione ciascuno di questi segni, ho capito che possono formare la base di un argomento a favore di un mondo anarchico. I tre segni dell’esistenza sono l’impermanenza (anicca), la sofferenza (dukka) e il non-sé (anatta). L’idea alla base dell’impermanenza (anicca) è che tutto cambia, tutto viene e va e niente rimane uguale per sempre. “Anche questo passerà”. Secondo me ciò può essere un argomento a favore dell’anarchismo perché la complessità e la natura costantemente mutevole di cose e situazioni sono aldilà della capacità di comprensione o di gestione da parte delle figure che rappresentano l’autorità e delle burocrazie istituzionali. Le cose cambiano troppo e troppo spesso per riuscire a stare al passo. Nella mia opinione le persone che vivono e sperimentano in prima persona i cambiamenti sono quelli che sono nella posizione migliore per capire come cambiano le situazioni e sono quindi nella posizione migliore per affrontarle in modo adeguato. Per coloro i quali sono tagliati fuori dalla situazione stessa o staccati da altri che la sperimentano, la comprensione può essere solo parziale. La sofferenza (dukka) è stata già discussa sopra come prima nobile verità del buddhismo. È incontestabile che la sofferenza esista e che sia una parte fondamentale dell’esperienza umana. Ciò a sua volta si correla a un argomento a favore dell’anarchismo perché il mondo in cui viviamo attualmente è pieno di un immenso dolore e di una immensa ingiustizia, che ciò non è necessario e che possiamo fare qualcosa per cambiare la situazione. Il terzo segno dell’esistenza è il non-sé (anatta), il che significa che non esiste un sé permanente fondamentale come individuo. In altri termini, tutto ciò che comprende il “tu” è così contingente rispetto agli innumerevoli fattori e variabili − siano essi di tipo biologico, sociale, culturale, materiale, ecc. − che non esiste alcun fondamentale sé centrale che esista indipendentemente da tutto. Cioè, se si tolgono tutte le influenze e componenti concomitanti provenienti da diverse fonti, nulla rimane. La correlazione anarchica col non-sé (anatta) è che tutte le nozioni di proprietà, status sociale e potere politico esistono come meri costrutti sociali costituiti da innumerevoli fattori diversi tutti coincidenti. Gli sforzi di innumerevoli persone si sono combinati per creare un oggetto materiale che qualcuno considera “suo”. Generazioni di acquiescenza, obbedienza e la costruzione sociale del significato si sono combinati fino a creare ciò che viene chiamato un “re” oppure un “politico”. Tutti i tipi di fattori rinforzati da decine di persone hanno creato ciò che abbiamo adesso. Nessun Intervento Divino è intervenuto a creare relazioni di dominio e nemmeno il capitalismo e lo stato esistono naturalmente dall’inizio del tempo. Abbiamo creato tutto da noi, insieme e non esisterebbe senza di noi,
Otto correnti che portano a una
C’è chi ha detto che l’intero buddhismo può essere sintetizzato nella seguente espressione: “Abbandona le qualità insane, coltiva le qualità sane e purifica la tua mente”. La versione anarchica può essere: “Abbandona il capitalismo e il modo di fare le cose basato sull’organizzazione statale, crea e partecipa a modi di fare le cose liberi e basati sulla cooperazione e purifica la tua mente dalla programmazione convenzionale basata sul dominio che la riempie (che riempie la stessa mente)”. Ma a che cosa assomiglia tutto questo in pratica? E a che cosa assomiglierebbe un approccio anarchico specificamente buddhista? Procedendo verso questo fine io ho identificato otto diverse pratiche, progetti o sotto-culture preesistenti che io credo, intessuti insieme, potrebbero formare il tessuto di ciò che potrebbe diventare una pratica anarchica propriamente buddista. Nessuno di questi fattori è esplicitamente anarchico buddhista di per sé, ma essi formano le fondamenta iniziali per la sua espressione concreta. 1) Il Buddhismo impegnato (Engaged Buddhism): è qui che si incontrano formalmente buddhismo e attivismo, dove i buddhisti fanno attivismo (o gli attivisti praticano il buddhismo). Sotto questo nome vari gruppi come Buddhist Peace Fellowship, Zen Peacemakers e Thich Naht Hanh svolgono attività politiche e sociali. Si potrebbe dire che un anarchismo buddhista per definizione è una sorta di buddhismo impegnato. L’unica differenza è che l’orientamento politico in questo caso è di tipo radicale-anarchico. 2) Vegetarianismo, veganismo, liberazione animale: ci sono delle persone − e anarchici e buddhisti sono spesso fra loro − che dicono che gli animali hanno diritti, che gli animali dovrebbero essere liberi e che dovrebbero essere trattati con cura e rispetto. In pratica, questo punto di vista può essere espresso rifiutando di mangiare carne di animali, astenendosi completamente da prodotti di origine animale o impegnandosi in azioni più militanti per liberare gli animali dalla cattività. Da un punto di vista anarchico ciò può essere giustificato dal desiderio di eliminare tutte le forme di dominio e di oppressione e la cattività e l’uccisione di animali possono essere considerate una forma di queste. Da un punto di vista buddista ciò può essere giustificato dal desiderio di compassione per tutti gli esseri viventi, dal desiderio riassumibile nella frase “Che tutti gli esseri siano liberati”. 3) Il Progetto di Meditazione Pubblica (Public Meditation Project) e i flash mob della meditazione: spesso gli anarchici desiderano rivendicare spazi pubblici, aprire spazi a tutti fuori dal controllo dello stato o della proprietà privata. I buddhisti spesso vogliono che altra gente venga a conoscenza della meditazione e che la pratichi. Mettete insieme le due cose e avrete il Progetto di meditazione pubblica, uno sforzo teso a mettere insieme persone per praticare la meditazione in spazi pubblici aperti. Questo può essere fatto come flash mob per la meditazione, ossia persone che si accordano in modo semi-spontaneo di ritrovarsi insieme nello stesso tempo e luogo per meditare in pubblico. Occupare spazi pubblici non deve essere per forza fatto in modo aggressivo; al contrario, trattandosi di meditazione, non c’è bisogno neppure di parlare. Può essere fatto sedendosi in completo silenzio e tranquillità. 4) Dharma Punx: dalla fine degli anni ’70 e dagli inizi degli anni ’80 la filosofia dell’anarchismo e la musica punk rock sono stati fortemente associati l’una all’altra. La sotto-cultura anarchica spesso si mischia alla sottocultura del punk rock e viceversa. Come risultato degli sforzi di autori come Noah Levine, Brad Warner e altri, si è creata una nuova sottocultura di punk buddhisti detta Dharma Punx. Anche se non sono esplicitamente anarchici, gli scritti di Noah Levine fanno come minimo riferimento, anche solo casuale, al fatto che quanto da lui sostenuto è rivoluzionario e radicale. Spesse volte, all’interno di questa sottocultura, lo stesso Buddha viene chiamato il santo ribelle. Questa particolare sottocultura ha probabilmente fatto moltissimo per aiutare a sviluppare una cultura anarchica buddhista. 5) La Comunicazione nonviolenta (Nonviolent Communication) e la Comunità per la Trasformazione della Coscienza (Consciousness Transformation Community): la comunicazione nonviolenta (NVC) è una pratica che deriva dal settore dell’auto-aiuto (self-help). Si tratta di una serie di strumenti concettuali e interpersonali che possono essere applicati per contribuire a risolvere conflitti tra persone, sviluppando chiarezza e sensibilità nell’ascoltare gli altri. Da una prospettiva buddista ciò può essere interpretato come una sorta di Retta Parola applicata (parte dell’Ottuplice sentiero). Da una prospettiva anarchica i principi e la teoria basilari della NVC rigettano esplicitamente le relazioni di dominio e la NVC viene considerata come un metodo per contribuire a superare le relazioni di dominio. Più recentemente dalla NVC è emerso qualcosa che si chiama Comunità per la Trasformazione della Coscienza (CTC). La CTC si basa su un insieme di 17 impegni che fondamentalmente riassumono il tipo di coscienza cui tende la NVC. Nel contesto delle relazioni interpersonali, NVC e CTC possono essere considerate strumenti e cornici per praticare l’anarchismo buddhista. 6) Straightedge: nella sottocultura punk hard-core esiste una tendenza chiamata radical political straightedge (o semplicemente straightedge), una sorta di intersezione sociale in cui le persone che aderiscono alla musica punk-rock sostengono anche vedute politiche radicali e si astengono da qualsiasi forma di consumo di alcol, uso di droghe ricreative e in generale da altre forme di intossicazione. All’interno della moralità buddista (sila) esiste un precetto per cui chi sceglie una linea di evoluzione buddhista si impegna a evitare tutte le forme di intossicazione. Lo straightedge può essere considerato un passo lungo il sentiero dell’anarchismo buddhista all’interno di un contesto (sotto)culturale. 7) Ateismo buddhista e Buddhismo critico: c’è un autore chiamato Stephen Batchelor che è un ex monaco buddista (sia di tradizione tibetana che di tradizione zen) che ha rinunciato alla vita monastica. Di recente ha scritto dei materiali su ciò che chiama ateismo buddhista. Questo approccio si caratterizza per aver escluso dal Buddismo idee metafisiche come le nozioni di rinascita e re-incarnazione e la credenza in divinità e in cosmologie più alte e più basse. Un lavoro simile è stato attuato in Giappone dal cosiddetto Buddhismo critico. Diversi studiosi buddhisti giapponesi hanno inteso modernizzare il credo buddhista per renderlo più adeguato e applicabile al pubblico contemporaneo. Dato che la maggior parte degli anarchici sono atei (della serie né Dio, né padroni), o almeno provengono da un contesto occidentale di tipo laico, tali forme di buddhismo sarebbero i più appropriati a un anarchismo buddista. 8) L’economia del dono: è un modo di organizzare l’economia in cui tutte le merci e i servizi vengono offerti gratuitamente come dono. Niente viene offerto con uno scontrino o come parte di una transazione o di uno scambio. Tutto viene dato senza condizioni. Le persone possono regalare cose al donatore originario (al primo che dona) ma ciò viene fatto come dono in sé, non come pagamento o rimborso. Diversi eventi e progetti anarchici operano come economia del dono, come del resto avviene anche per molti eventi e progetti buddhisti. All’interno del contesto buddhista, la pratica di operare con una economia del dono è connessa con la virtù (paramita) della dana (generosità). All’interno del contesto anarchico, l’economia del dono formerebbe la base di una società anarchico-comunista. All’interno dell’economia del dono vi sono molte potenzialità da esplorare.
Lasciarsi andare alla libertà
Forse il riassunto più succinto e più preciso del buddhismo sta in questa citazione attribuita al Buddha Gotama: “Non bisogna sentirsi legati a nulla”. Sentirsi legati a idee di come le cose dovrebbero essere, a cosa bisognerebbe che accadesse, ecc. è uno dei modi sicuri per sperimentare sofferenza. Allo stesso modo, per gli anarchici, anche aggrapparsi a idee di come il mondo dovrebbe sembrare, a come i progetti dovrebbero essere messi in pratica, a idee di identità o purezza ideologica hanno causato e causano molta sofferenza. Io credo che uno dei maggiori contributi che il buddhismo possa rendere all’anarchismo è esattamente questa pace della mente che deriva dal non aggrapparsi a nulla. Senza sentirsi legati, la disperazione, l’ansia e il fare affidamento su amici e compagni spariscono. I progetti, invece, si possono mettere in pratica con calma, chiarezza e un senso di ampiezza interiore. Ciò a sua volta ci mette in sintonia col tipo di mondo in cui vorremmo vivere.
Assumersi la responsabilità
Detto tutto questo, voglio sottolineare che anarchismo e buddhismo non sono la stessa cosa. Sono due tradizioni separate. Vi sono due tradizioni che si completano come due facce della stessa medaglia della vera e totale liberazione. L’anarchismo buddhista è qualcosa di nuovo, anche se ha radici molto lunghe e antiche. La mia speranza con lo scrivere tutto questo è aiutare a creare uno spazio perché questa nuova realtà emerga ulteriormente. Entrambe le tradizioni sottolineano la responsabilità e il fatto che gli individui assumano su di sé la responsabilità nella maniera più completa possibile. La stessa cosa dicasi del futuro della filosofia e della pratica dell’anarchismo buddhista. Se vogliamo che questo cresca, che si sviluppi e che evolva, la responsabilità è nostra. Come accade con tutte le cose, quando si arriva al sodo, tutto dipende sempre da noi.
(Traduzione a cura di Giuseppe Chia da: http://parenthesiseye.blogspot.it/2011/11/envisioningbuddhist-anarchism.html)
Non lo puoi forare, incollare o verniciare, non sarebbe etico anche se si tratta di un oggetto inanimato; puoi solo sfruttare il massimo della potenzialità del suo “stud” o “knob” , cioè l’Incastro, da cui dipendono tutti i pezzi, una specie di Dna-Rna , il suo tratto caratteristico, lo stud, infatti, è l’unità di misura che si incastra e si collega con i molteplici antistud di varie fisionomie. Stiamo parlando del Lego, geniale intuizione di un falegname danese di Billund; lui e suo figlio ebbero l’idea di delegare a dei tecnici creativi la vasta genealogia dei pezzi Lego, ancora oggi la Lego paga un gruppo di creativi che, per lavoro, devono “solo” andare in giro per il mondo a cercare modelli e tipi antropologici da trasfigurare poi con i pezzi Lego. Dunque sempre e comunque assemblaggio, la stessa parola Lego è la somma di due acronimi in danese:
Leg + Godt , vuol dire: gioca bene. Ma vorrei evitare di descrivere tutto il glossario, i rapporti proporzionali, basati su sedicesimi di pollice, paragonabili alle regole armoniche dei classici stili greci, e poi tutte le nuove idee che nascono dai numerosi artisti-inventori-costruttori, il fatto che ogni elemento ha un codice, un nome caratteristico, un numero di serie, insomma pezzi di un Dna tecnologico i quali ti permettono, a partire da un determinato pezzetto, di risalire a quale figura complessiva, o organo costruito facevano parte. Tutte le armonie dell’Universo, a cominciare dai mattoni della materia, i Quanti, ma anche gli stili architettonici, le statue greche, le partiture musicali, gli alberi o gli insetti, sono modulate da sistemi proporzionali, dove non conta la grandezza dimensionale per percepire o definire la loro bellezza ma il rapporto tra le parti, la buona forma. Forse ci sta anche un intrigante significato latino del verbo LEGO, nel senso di Delegare; infatti al Lego deleghiamo, cioè affidiamo al Lego la nostra immagine e fisionomia del mondo antico e moderno. Ancora, se la costruzione della Torre di Babele si smontò a causa della confusione e incomprensione tra idiomi, il Lego possiede l’unico idioma dell’incastro che lo rende chiaro, intuitivo ( frendly o smart ) accessibile a chiunque abbia una qualsiasi lingua o età. La sua è una ispirazione trasversale che affascina non solo bimbi ma scienziati, tecnici, artisti. Vorrei citare la mostra itinerante di “Lego e Arte” di Nathan Sawaya oppure la ricostruzione del campo di concentramento Auschwitz, acquistata dal museo di Varsavia.
Il Lego è come un medium compositivo a cui abbiamo delegato la nostra immagine e fisionomia , la rappresentazione in scala ridotta, trasfigurata, del mondo soprattutto moderno; il Lego è il medium, e se Marshall McLuhan affermava che il medium è il messaggio, allora il Lego è il messaggio, può anche diventare un potente messaggio di libertà. Il sito Artribune, nel suo articolo “ Ai Weiwei VS Lego. Il mattoncino della discordia” , racconta che l’artista pechinese, sempre al centro delle cronache internazionali, viene boicottato, stavolta non dal governo cinese ma dalla Lego; infatti la multinazionale danese, esempio di neutralità e pacifismo, gli aveva negato un maxi rifornimento di mattoncini che era destinato a comporre una grande installazione. Ai Weiwei si è scontrato con un muro di plastica indeformabile ABS, cioè mattoni Lego, peggio di un muro di gomma. L’artista cinese aveva richiesto alla Lego una grande quantità di mattoncini colorati, con cui costruire una serie di ritratti, una sua tecnica che aveva già usato in passato; infatti nel 2015 aveva costruito un’installazione composta da 176 volti di prigionieri ed esiliati politici di tutto il mondo ( Nelson Mandela, Aung San Suu Kyi, Martin Luther King ), i ritratti, realizzati con i mattoncini Lego e calpestabili, avevano tappezzato il pavimento dell’ex prigione di Alcatraz, nella baia di San Francisco. La neutrale e pacifista multinazionale danese negò la fornitura, che Wei avrebbe voluto acquistare, con la motivazione che la Lego si asteneva ad avallare l’uso dei mattoncini in progetti o contesti di natura politica. La reazione di condanna dell’artista si era tradotta con una foto, su Instagram seguita dai suoi milioni di followers, di un water, di duchampiana memoria, riempito di pezzi Lego, prima di tirare lo sciacquone. Chiaramente i motivi della multinazionale erano economici, c’erano in ballo colossali affari con la Cina, l’Asia e aperture di fabbriche in quel paese.
L’artista cinese, comunque, se l’è cavata alla grande, grazie alla donazione di migliaia di confezioni Lego acquistate singolarmente dai suoi estimatori e inviate presso il suo studio di Pechino. Poi anche la Lego ha fatto marcia indietro, ha dichiarato che avrebbe chiesto in futuro ai clienti che acquistano all’ingrosso o in grandi quantitativi, cioè decine di migliaia di pezzi, di esprimere chiaramente che Lego non promuove, né sostiene le loro opere, se esibite in pubblico. Dunque il Lego non più messaggio ma solo medium? Forse…Di fatto l’opera pop di Ai Weiwei è interessante e stimolante: ha elaborato le immagini di questi 176 dissidenti ( sarebbe corretto: Dissenzienti o , al limite, dissensienti ), poi ogni immagine è stata poppizzata in stile Warhol e ridotta in pixel e infine Trasfigurata con i Lego. Si possono trovare, oltre a dissenzienti noti, anche immagini come quella della giornalista etiope Reeyot Alemu, del cantautore Tran Vu Anh Binh del Vietnam ( famoso come Hoang Nhat Thong ) , oppure del controverso hacker latitante Usa Edward Snowden.
Ai Weiwei, per concepire la sua installazione Lego, ha collaborato con la Fondazione For-Site che pensa che l’arte possa ispirare un nuovo pensiero etico e un dialogo importante per l’ambiente naturale e culturale; ha aiutato Wei per l’installazione di Alcatraz. Con un po’ di pazienza e fatica si può anche trovare il sito con l’elenco di tutti i personaggi dissenzienti e le motivazioni e condanne. E’ nota la vena polemica, irrispettosa e provocatrice dell’artista che, pare, abbia anche recentemente dichiarato che gli Italiani erano responsabili della diffusione del coronavirus nel mondo assieme alla pasta. L’architetto italiano Fabio Novembre, suo amico, lo ha consigliato di cancellare il post, su virus italiano e pasta, dicendogli che non era uno stile artistico ma Donaldtrumpiano, siamo tutti d’accordo! Però Ai Weiwei, in occasione della installazione di Alcatraz, ha anche scritto : “ l’idea sbagliata del totalitarismo è che la libertà può essere imprigionata. … Quando vincoli la libertà, lei prenderà il volo ( come una farfalla ) e atterrerà sul davanzale della tua una finestra o di un’altra finestra” : magari sul davanzale di una finestra costruita con dei mattoncini Lego; noi Italiani proveremo a perdonarlo.