L’italia e il muro mai caduto.

Di Massimo Chiucchiu’

Si e’ festeggiato questi giorni il trentennale della caduta del Muro di Berlino, tante cerimonie si sono succedute nei vari paesi europei per commemorare questo evento che e’ stato determinante per tracciare un “prima di ” e un “dopo di”. E’ chiaro che le vicende che hanno portato all’attuale conformazione politica continentale, l’assetto della Comunita’ Europea, i rapporti con la Russia attuale, vedono la loro genesi in quel lontano evento che scosse alle fondamenta gli equilibri geopolitici in cui era ingessato fino ad allora il Vecchio Continente. La democrazia di stampo anglosassone, quella che prosperava in Inghilterra e negli Stati Uniti, pote’ quindi dispiegarsi in tutta la sua persuasione in tutti i paesi oltre
la “cortina di ferro”, cosi’ come dilagava nei Balcani in ogni angolo di Europa che chiedeva a gran voce la “democrazia parlamentare”. Certo, ogni paese l’ha declinata alla sua maniera, con forze politiche che hanno fatto del trasformismo un punto di forza, ritrovandosi al potere con bandiere diverse ma tante’, quello che qui interessa e’ capire che si seguiva l’esempio dell’organizzazione parlamentare anglosassone , in cui da sempre si affrontavano nelle competizioni elettorali due forze contrapposte,detentrici di istanze affatto complementari, i conservatori, che propugnano il paradigma della liberta’ individuale come condizione originaria della societa’, e i laburisti o socialdemocratici che propugnano il paradigma dell’uguaglianza dei cittadini e delle identiche possibilita’ per tutti.
Questa schematica differenziazione ha fatto si’ che l’alternanza delle due forze sopraddette garantisse quell’equilibrio in cui le forme di democrazia moderne possano sopravvivere e prosperare. Oggi si vedono i risultati di queste istanze, con i grandi progressi fatti da molte nazioni dell’est Europa, sia in campo sociale ma anche economico. Tutto bene? Non proprio, perche’ tutto il sommovimento politico che ha portato alla situazione odierna manca di un protagonista di peso: L’Italia.
Si’ proprio il nostro paese, in cui sembra che il Muro di Berlino non sia mai caduto. Non siamo mai cambiati da allora, in politica come nel sociale. Nel sociale la pratica piu’ diffusa e’ legata al familismo e al nepotismo, mali atavici soprattutto al sud, che portano corruttela e malversazioni. In campo politico il collasso della Democrazia Cristiana, il partito che ci ha portato fuori dal dopoguerra, ha lasciato il posto a a formazioni di centro-destra e centro-sinistra il cui scopo principale e’ quello di denigrarsi a vicenda, e la cui pratica politica e’ quella di cancellare, una volta al potere, le leggi del precedente governo di segno opposto. Un esempio e’ dato dai numerosi cambiamenti legati al mondo del lavoro o l’accesso alla pensione. Lo stato emana una pletora di leggi, che rendono ingestibile l’elefantiaca macchina della burocrazia che rischia di collassare su se stessa portandosi dietro l’intera struttura dello stato Italiano. Invece che stabilire un chiaro orientamento per il bene comune, valido
per tutti gli attori politici e che abbia una visione di futuro, a lunga scadenza, poi declinata magari secondo le istanze della compagine risultante vincente ad una tornata elettorale, ci si accapiglia in continuazione seguendo solo logiche di propaganda elettorale. E’ facile quindi che volino contumelie del tipo “sei un fascista, un razzista, un comunista, un ebreo, un terrone”, senza che tutto cio’ possa risolvere pragmaticamente alcun problema.
Tutto questo perche’ succede? Perche’ le compagini politiche in Italia non riconoscono
l’autodeterminazione dell’oppositore politico? Perche’ il tuo contrario e’ visto come un nemico,
e non magari come un avversario?
In Germania, paese a noi simile per le note vicissitudini politiche legate all’avvento di un dittatore che prese addirittura esempio da Mussolini, si e’ fatta una profonda autocritica riguardo le drammatiche vicende storiche che portarono allo sterminio degli Ebrei e alla guerra.
Questo in Italia non e’ successo, la nostra superficialita’ ci ha portato ad autoassolverci per i mali commessi come ci ha insegnato la Santa Madre Chiesa, in fondo per noi la colpa e’ sempre degli altri. E noi siamo sempre meglio degli altri. Abbiamo anche la costituzione piu’ “bella del mondo”, peccato che sia cosi’ poco realizzata, rimanendo poco piu’ che una pia speranza.
Specialmente la destra non ha fatto mai una completa abiura del fascismo, che,come un fenomeno carsico, si presenta ancora oggi in sembianze di piccoli partiti anche extraparlamentari. Anche fenomeni come i “populismi”, nati in funzione antiglobalizzazione, vengono tacciati come ideologie di destra molto pericolose, invise alle classi dominanti europee di Bruxelles. Questo lo ritengo un errore, facente parte di quel meccanismo descritto in precedenza. Si tratta di uno degli slogan piu’ usati dalle ” sinistre” in Italia per denigrare il nemico politico descritto come estremamente pericoloso.
Sinistra che confonde la Globalizzazione con il trionfo delle masse di marxista memoria, fatto con mezzi diversi. Mezzi che mettono in mutande l’artigianato e la piccola industria italiche, che rappresentano la spina dorsale del nostro benessere.
Anche le sinistre non hanno fatto i conti con la storia, coprendo in prima istanza le varie invasioni perpetrate dalla Russia durante la guerra Fredda, cosi’ come si ammantano oggi del silenzio riguardo le vicende di Hong Kong, Cuba o il Venezuela. Ma essendo piu’ attrezzate culturalmente, essendo stato il secolo Breve tutto un fiorire di concetti progressisti dovuti principalmente alla Scuola di Francoforte ( Adorno, Marcuse), riescono ancora a farsi sentire in Italia, ammiccando anche alle istanze dell’ apostolato ecclesiastico, alla disperata ricerca di nuovi credenti in ogni angolo del mondo.

E’ chiaro che queste istanze si saldano, per reciproco interesse,
con la grande onda della Globalizzazione, che era e resta un fenomeno di pura impronta economica.
Proprio questa mancanza di accordo su una visione futura comune per le sorti del nostro paese, questa continua guerra tra Guelfi e Ghibellini in ambito politico, con il trionfo delle mediocri consorterie politiche legate a filo doppio a lobby affaristico-economiche se non peggio, partoriscono specialmente a destra personaggi da cartone animato come Berlusconi o Salvini, e ci sorprendono sempre impreparati ai colpi di un mondo
multipolare, in cui la mediocrita’ della nostra classe politica non e’ piu’ confinata in una campana di vetro come al tempo del nostro protettore Americano (che prima della caduta del muro ci considerava strategici).
Non abbiamo piu’ santi in paradiso, ne’ lo stellone ci protegge piu’ come un tempo. Siamo uno dei tanti paesi che competono in un mondo sempre piu’ veloce e spietato, prima ce lo mettiamo in testa e meglio e’.
Anche la Comunita’ Europea non e’ piu’ (mai) stato quel materasso in cui pensavamo di cadere senza farci male; ci viene chiesto il conto delle nostre mancanze passate, ma con questa classe politica, ed accomuno tutti, non vedo alcun possibile contrappasso, ne’ alcun scatto di orgoglio.
Anzi, penso che destre e sinistre si nutrano del dilettantismo e impreparazioni dell’altra parte, come attori che svolgano parti in una commedia dell’Assurdo, in cui si e’ a seconda dei casi accusati o accusatori.
Il nostro paese si e’ infilato in un vicolo cieco in cui non esistono uscite, prevedo un declino sempre piu’ marcato, che coinvolgera’ qualsiasi settore e campo d’azione dello stato. Il mio consiglio e’ di creare una rete di rapporti che ricordino il mutuo appoggio di Kropotkiana memoria, tenendosi alla larga dalle burocrazie statali e cercando di non chiedere nulla alle entita’ territoriali statuali. Solidarieta’, empatia, minimalismo, vocazione ecologica, collaborazione saranno i capisaldi di questa non-societa’.

Per prima cosa non si dovrebbe piu’ andare al voto, facendo scendere la quota di partecipazione sotto il 50%, rimarcando come la democrazia abbia fallito il suo obbiettivo e non possa svolgere piu’ quel compito per cui era stata immaginata dai Padri Fondatori. Mentre il capitalismo e il comunismo hanno fallito miseramente il compito per cui erano stati creati, non si vede perche’ non si possa tentare una via anarchica delle societa’, che di tutte le ideologie provate dall’uomo e’ l’unica che cerca di temperare la liberta’ dell’individuo con il desiderio di uguaglianza e pari opportunita’ per tutti i cittadini. Oppure rimane solo l’esilio, la fuga, come stanno facendo migliaia di giovani che sperano di crearsi una vita migliore in un’altra parte del mondo.

Arte ed etica

Di Roberto Fioroni

Ormai quando si parla di arte moderna non ha più molto senso fare una distinzione tra arte antica e moderna, è infatti difficile tracciare una linea di separazione tra arte moderna e antica oggi così come nel passato; nel 1500 Tiziano Vecellio era moderno, anche Giotto o Caravaggio erano moderni per la loro epoca. Picasso è stato moderno per l’epoca contemporanea. Non possiamo dunque formalizzarci sulle parole altrimenti rischiamo di negare una validità artistica ad artisti che erano allora fuori tempo, talvolta eretici nella misura in cui le eresie non sono altro che verità anzitempo, e ancora oggi hanno però qualcosa da dirci; in genere gli artisti del passato non hanno confini né di epoca né di età, sono capaci di esprimersi in maniera perfettamente coerente ai propri pensieri. Questi artisti sono considerati moderni per noi, e forse è giusto dire che moderno è tutto ciò che risponde al nostro modo di sentire e di vivere. In questo mondo spirituale un esponente tipico è Picasso, che proprio per le accanite discussioni suscitate ha dimostrato di non lasciare indifferente il pubblico, anzi di saper dare un volto a tutti i dubbi, le angosce, le illusioni e delusioni che fermentano nell’uomo contemporaneo; è infatti l’uomo al centro dell’interesse artistico oggi, un uomo scosso dalle paure, incerto o scettico di fronte agli ideali e valori del passato, più ricco di conoscenze ma anche di sofferenze; ed è proprio in questo variare tormentato dalle nuove esperienze dell’uomo che l’artista cerca la fonte della sua ispirazione e il modo di esprimere le sue sensazioni. Dunque i ritratti di re, papi o personaggi oppure scene bibliche non sono più interessanti per l’artista. Una volta l’artista si poneva maggiormente dei problemi formali, voleva riprodurre la realtà con la maggiore esattezza possibile, anche se oggi è rimasta comunque la corrente dell’iperrealismo, come una bella copia del modello; però anche nel passato i veri artisti si distinguevano per la vitalità, la psicologia, la spiritualità che sapevano trasferire nell’opera, ad esempio la Gioconda di Leonardo; oggi l’artista non tende alla riproduzione della bellezza esteriore, ma al mondo spirituale dell’uomo; cioè l’artista, coerente col nostro tempo improntato alla critica, al cambiamento di ideali e valori, al centro di una realtà scossa da mutamenti, quasi per reagire all’inquietudine della vita, cerca sempre più dentro alla propria spiritualità. In questa ricerca è spesso assillato da problemi che sente di non poter sempre risolvere con immagini di fantasia, o immagini tradizionali, e cerca elementi più complessi. Di conseguenza in pittura si hanno linee, segni, macchie di colore; anche in scultura possono esserci contorte composizioni in metallo o di altri materiali più disparati; in tutti i casi si hanno opere che, con la loro intima realtà non rappresentano un reale visivo tradizionale. Rispetto al passato si può dire che si siano rovesciati i valori, dato che l’artista oggi si interessa al complesso dei pensieri, delle sensazioni, delle impressioni e la maniera in cui questo mondo psicologico riesce a suscitare la sua ispirazione. Un pittore che voglia riprodurre l’effetto di luce di un pomeriggio d’estate in campagna non può renderlo con un disegno e linee tradizionali perché il mezzo tecnico, pur nella sua perfezione, non può esprimere l’emozione provata, allora questa si esprime nei modi più diversi che variano da un individuo all’altro, poiché ciascuno ha le sue sensazioni; in questo la pittura astratta cerca una sua manifestazione. Rimane spesso la soggettività della rappresentazione, perché chi guarda un quadro astratto potrà dire di non capirci nulla, è normale questa sensazione perché quell’emozione particolare non è stata provata dall’osservatore, ed è certamente diversa da quella provata dall’artista. In certi casi si può dire che l’astrattismo esprime anche l’incomunicabilità, però ci sono anche artisti dotati di un ricco mondo spirituale e di una capacità comunicativa tale da trasmettere le proprie impressioni ad animi altrettanto sensibili. Potremmo dire che l’opera d’arte è riservata al proprio autore; questa considerazione è valida per oggi ma anche per le grandi opere del passato; chi può dire di avere compreso del tutto il mistero della Gioconda? Probabilmente c’è un significato che ci sfugge e che Leonardo conosce. In questo anche la Gioconda è, in parte, una figura astratta. La pittura moderna cerca di astrarsi dalla realtà esterna e cerca di esprimere le emozioni eliminando ogni traccia di corporeità. Noi, come osservatori, quando siamo davanti a una macchia informe di colore, a un geometrico disporsi di segni, a una non immagine dovremmo sforzarci di sentire la bellezza anche se non capiamo la ragione di essa; e forse è questo senso di mistero a conquistarci; questo sguardo gettato in una profondità che subito ridiventa impenetrabile. Personalmente accetto tutto dell’arte moderna, credo senza avere pregiudizi, solo una cosa è irrinunciabile e inderogabile: è fondamentale che rimanga ETICA anche quando giunge alle sue più estreme e provocatorie manifestazioni; in epoca moderna l’arte ha usato qualsiasi materiale, dalla merda agli schizzi di sangue, agli avanzi di cibo, al grasso dei prodotti dei supermercati dell’epoca comunista; le performance hanno perfino esposto un ragazzo down alla Biennale di Venezia, in quel caso Pasolini disse che rappresentava il nulla e che era una mostruosità nata dalla sottocultura. Direi che in nessun caso si può usare l’uomo come oggetto, in questo intendo che l’arte deve rimanere etica, ma vado oltre: ormai l’arte deve confrontarsi soprattutto con l’ecologia e allora nemmeno nessun animale o pianta può essere usata come oggetto.

Nel panorama artistico attuale sono numerosi gli artisti che operano con etica e sensibilità ambientale; tra questi amo particolarmente Ai Weiwei, il figlio del grande poeta cinese Ai Qing. Alla fine degli anni 50 Ai Qing è esiliato per motivi politici, con la famiglia, in una grotta di uno sperduto villaggio del deserto del Gobi; il poeta viene umiliato con l’incarico di pulire le latrine del paese. L’immagine straziante di Ai Qing, resta viva nella memoria del figlio artista, il quale ricorda la serena e coraggiosa accettazione da parte del padre e l’etica con la quale egli svolgeva dignitosamente, direi confucianamente, quel degradante incarico. Il pensiero artistico e l’attività politica sono legati indissolubilmente in Ai Weiwei, le sue opere recuperano i materiali dei templi distrutti in Cina, sono la denuncia delle speculazioni edilizie che nel Sichuan provocano la morte di migliaia di persone a seguito del terremoto; a Palazzo Strozzi espone i ritratti fatti di mattoncini Lego di personaggi detenuti, esiliati o giustiziati nella storia di Firenze. Viene arrestato varie volte e nel 2015 riceve da Amnesty International il riconoscimento di Ambassador of Conscience. Ai Weiwei non è semplicemente una delle tante star del sistema dell’arte contemporaneo, e non è nemmeno un attivista rivolto ai problemi della modernità e dell’Umanità, ma è un libero pensatore che dimostra di dare all’arte un importantissimo ruolo sociale e politico, nel senso più nobile del termine.

( per la prima parte mi sono riferito soprattutto ad un articolo di Giuliano Valeriani, che non conosco ma che ringrazio sentitamente )

Polvere di stelle

Di Vito Nigro

Per un amante della musica tout court rimane difficile condividere l’opinione espressa da Alex Ross, noto critico musicale che con la pubblicazione del suo scritto ” Il Resto e’ Rumore – Ascoltando il XX Secolo (ed.Bompiani) ” ha riscosso importanti riconoscimenti ma che rimane per parte mia una visione piuttosto miopica del vasto panorama dell’arte musicale. Alex Ross nel suo libro prende a paradigma della cultura musicale unicamente la musica Classica lasciando fuori aspetti dell’espressione artistica come il folk popolare, la canzone napoletana o la pizzica salentina per non dire della musica afro-americana. Il resto e’ rumore appunto, non meritevole di ascolto. Che poi John Cage si sia esibito facendo ascoltare una pietra che rotola legata e tirata da una corda o seduto al pianoforte con lo spartito aperto ad eseguire la partitura in tre movimenti 4’33” cioe’ la durata del pezzo in cui non una nota viene eseguita e si ascolta e ci si ascolta in sala e sul palco solo i suoni dell’ambiente e del pubblico e’ qualcosa che ad Alex Ross deve essergli sfuggito.
Due artisti che di rumore ne hanno fatto tanto in senso buono intendo sono l’indimenticabile Frank Zappa ( Baltimora 1940 – Hollywood 1993) e Bob Dylan.
La musica senza le parole non ha significato dice Dylan, eppure Allen Ginsberg leggeva e declamava i testi delle sue canzoni nei sotterranei del Greenwich Village come fossero componimenti poetici.
I testi delle canzoni di Dylan possono leggersi come poesie ma poi vanno ascoltate cantate per quello che sono.
Dylan a conclusione del suo discorso di accettazione del premio Nobel nel 2016 per la Letteratura ha detto:
” Questo e’ quello che sono le canzoni.
Le nostre canzoni sono vive nella terra dei vivi. Ma le canzoni non sono
letteratura. Sono pensate per essere cantate, non lette.
Le parole delle commedie di Shakespeare sono state pensate per essere recitate sul palcoscenico. Proprio come le parole delle canzoni devono essere cantate, non lette.
Cito da Luca Grossi ” L’ Inferno di Bob Dylan ” ed Arcana. Il dialogo con Dante nell’opera del Bardo di Duluth.
Potrebbe apparire un eccesso accostare la Divina Commedia all’opera di Dylan ma leggendo le argomentazioni di Luca Grossi non si puo’ non convenire e rimanerne sconcertati allo stesso tempo.
La grandezza di un artista come Dylan e’ incontestabile, rimane tale la si apprezzi o no.
La stessa canzone ” A Hard Rain A Gonna Fall ” e’ un capolavoro di letteratura che Alessandro Portelli nel suo breve saggio ” Bob Dylan, Pioggia e Veleno ” ed. Saggine, analizza rivelandoci aspetti inusitati. E’ noto che durante la cerimonia dell’assegnazione a Dylan del premio Nobel la canzone che Patty Smith porto’ sul palco visibilmente commossa fu proprio A Hard Rain’s Gonna Fall , ma meno noto e’ che l’origine di questa canzone ha una antichissima tradizione orale; nasce nel Veronese italiano del ‘600 come il ” Testamento dell’Avvelenato “
e poi passata nel mondo anglosassone come testo di ” Lord Randal ” ed infine giunge in America dove e’ Dylan a vestirla di nuovo vigore e splendore facendone uno dei suoi cavalli di battaglia.
Si puo’ concordare con Jean Paul Sartre quando si chiede che cos’e’ la letteratura ma di sicuro possiamo replicare che …la risposta soffia nel vento.
Fin dall’inizio della sua attivita’ Robert Zimmerman, in arte Bob Dylan, ha rifiutato di appartenere, di essere racchiuso in degli schemi; scandalizzo il suo pubblico quando lascio’ l’acustica per l’elettrico.
Non partecipo’ a Woodstock in quei giorni che faranno storia per non essere Leader, il capo portavoce di un popolo, la Beat Generation, il mondo della Pace e Amore libero.
A Woodstock il sistema aveva organizzato un bel campo recintato con cucine e infermerie, dove per tre giorni ci si poteva illudere di essere padroni di se stessi e delle proprie idee.
Nemmeno Frank Vincent Zappa prendera’ parte a quella manifestazione divenuta il simbolo di un’epoca, il movimento giovanile gia’ iniziato con il ’68 studentesco.
L’ italo-americano Zappa, compositore chitarrista, prendera’ invece parte all’evento piu’ radicale dell’epoca, per gli sviluppi musicali che seguirono e che si svolse ad Amougies in Francia, dove Zappa si merito’ l’ingaggio come guest guitarrist, come maestro delle ceriminie ed avendo da poco sciolto il proprio gruppo delle Mothers of Invention era in cerca della strada da percorrere e per l’occasione ebbe modo di accompagnarsi ai piu’ variegati gruppi pop rock folk jazz; memorabile la sua collaborazione con i Pink Floyd.
La musica di Frank Zappa non si puo’ definire in alcun modo.
Lo stesso Pierre Boulez interprete e direttore di orchestra si chiedeva quale grande fatica dovesse essere stare con un piede in due scarpe come per Zappa tra la pop music e la classic music.
In realta’ la composizione di musica classica e’ stato il punto di arrivo di tutta l’ opera di F.Zappa.
Come Dylan ha avuto il suo nume tutelare in Woody Guthrie , Frank Zappa lo ebbe in Eldgar Varese, compositore tra i grandi del ‘ 900 che Zappa ascolto’ occasionalmente da un trasmissione radiofonica rimandone per cosi dire folgorato tanto gli piacquero quelle sonorita’ e soprattutto la struttura ritmica, la sezione delle percussioni; tant’e’ che con la sua prima paghetta ricevuta dai genitori corre a comprarsi un disco del maestro Varese e dopo innumerevoli ascolti maturo’ l’idea e realizzo di telefonargli presentando se stesso giovanetto interessato alla musica di Eldgar, congratulandosi per l’affascinante scrittura musicale e chiedendogli un incontro. Si dice che E.Varese non riaggancio’ in malo modo il telefono ma che con piacere avrebbe volentieri fatto la sua conoscenza ricevendolo in casa propria. Il resto e’ leggenda.
Non e’ leggenda invece la scoperta nel 1980 di un Asteroide della fascia principale, asteroide 3834 che e’ stato ribattezzato 3834 ZappaFrank.
Quasi un Nobel.



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Kurdistan, un problema storico.

Vista l’importanza e l’attualita’ del problema dell’autodeterminazione del popolo curdo e del suo legame con l’Anarchismo, in specie tra il capo politico Ocalan e il pensiero di Murray Bookchin, apriamo questo spazio particolare per scrivere,commentare, testimoniare questo ultimo tentativo di creare una societa’ basata su uno dei cardini piu’ importanti dell’Anarchismo, cioe’ il municipalismo e il ruolo paritario tra uomo e donna nella societa’

QUALCHE PROBLEMA CON BOOKCHIN
Tutto bene di Bookchin quando si parla di gerarchie, ecologia sociale o forme applicative nel municipalismo libertario, ma é poco condivisibile la sua visione positiva e un po’ fideistica sulla scienza . Credo sia un rimasuglio dell’ illuminismo settecentesco. Daltronde la tradizione anarchica si rifà nella sua radice piu remota ai fondamenti della rivoluzione francese. Ma finché ci riferiamo ad allora é più che giustificata come posizione. Che Bookchin, uomo che ha varcato la soglia del terzo millennio, non approfondisca e non discrimini a sufficienza fra conoscenza e deleteria scienza applicata può essere un motivo non secondario di distanza.
La generazione degli anni 70 aveva ben compreso il problema. In quegli anni dopo il bagno di “folla” si tornava alla terra e, perlomeno in forma attiva e rinnovata, al recupero delle tradizioni contadine ed artigiane. Erano scelte spesso radicali, sicuramente dei giovani più illuminati. Questi erano consapevoli di lottare in tal modo contro il sistema distruttivo ed egemonico delle scienze applicate e delle tecnologie. E queste scelte erano fatte a costo di abbandonare carriere e studi scentifici . Era chiaro il nemico chi fosse. E questo ancor più quando la sensibilità ecologica era alta. Non c é bisogno di ricordare che l energia nucleare sia di pace che di guerra rappresentava da circa 30 anni l apice della scienza applicata e della tecnologia. Bookchin significava molto per noi giovani di quella generazione ma cedeva su questo punto e cioè che non c é mai una scienza buona quando essa viene applicata. Può esserlo per un periodo ma il potere userà quell avanzamento per i propri fini che sono inderogabilmente sempre i peggiori. Oggi abbiamo guerre con armi terribili, abbiamo ordigni nucleari finali per il pianeta, abbiamo un avvelenamento dell aria e delle acque di superficie perché la chimica ha lavorato bene e ciò vale anche per un pianeta che scoppia di ftalati derivati dalle plastiche e nocivissimi alla salute dei viventi. Le grandi scoperte della sanità sono in particolare in campo interventistico che oggi si avvale di sistemi di visione a sonda che sono stati studiati in origine per fini militari cioè per amazzare il più possibile. Anche l ingegneria sanitaria per protesi e sistemi adiuvanti la mobilità é frutto di enormi risorse che gli stati hanno devoluto, in primis gli stati uniti, nella ricerca per i veterani mutilati. Gli stessi che avevano distrutto un paese come il vietnam del nord. La stessa robotizzazione in campo chirurgico, una delle promesse maggiori nella sanità, é frutto della ricerca militare americana. Serve infatti a sostituire i soldati per ammazzare senza rischio.Anche la creazione del web é avvenuta pro manu militari. Oggi possiamo comunicare da una parte all altra del pianeta con facilità per la presenza di satelliti. Quegli stessi che permettono ai droni in Irak o in altri “teatri” di guerra di piombare su un villaggio ed ammazzare intere famiglie comandati da una mano a 10 mila km di distanza. Una delle cose che non condivido di una parte cospicua della tradizione anarchica é questo salto logico. Molto frequente anche nei dottrinari di quel pensiero. Cioè: è quello stesso potere che si vorrebbe abolire o per lo meno diluire il più possibile che ha prodotto uno sviluppo scientifico che l anarchico di tradizione reputa benefico, quando l avanzamento delle scienze nell ultimo secolo é stato possibile solo per la capacita concentrazionaria di risorse economiche di quello stesso potere tanto odiato. Cioè quando la ricerca scientifica si é fatta complicatissima perché dipendente dalle tecnologie avanzate solo enormi risorse e istituti asserviti al potere potevano reggere. Non era più il tempo dell intuizione di una bella testa pensante che con pochissima tecnologia e qualche buon artigiano scopriva dal telescopio al vaccino di Jenner. Un ulteriore effetto deleterio di questa egemonia scientifico tecnologica é stato sulla psicologia delle masse. Il “dio che é morto ” é stato sostituito da una nuova deita’. Quella del corpo degli scienziati ormai chiamati ovunque a mettere l ultima parola su questioni umane, esistenziali, sociali, insomma tutt altro che scientifiche. Ma il deus scienzologo può sempre entrare a gamba tesa a condannare dal suo pulpito. E noi poveri fedeli di questo nuovo dio accettiamo di buon grado, pena l ostracismo.
Per finire, che proprio gli anarchici ci siano cascati la dice lunga su quanto possano essere ingenue tante anime belle. Il post anarchismo é dovuto per ciò nascere come una necessità. Quando il semplicismo giacobino ha incontrato nel 900 l’esistenzialismo. É un parere del tutto personale perciò mi fa piacere discuterne. Cioè quando il rispetto delle libertà individuali e quindi l autodeterminazione dell individuo doveva passare da una lotta urlata ad una consapevolezza interiore fatta anche di profondi silenzi. Attraverso cui matura la propria individualità, capacità
di scelta ed intelligenza personale. L individuo diventa cosi individuo vero e non semplicemente formalizzato in una cornice di pensiero. Sia esso anarchico sia esso liberale. Il post anarchismo da’ qualche speranza per una opposizione radicale all’ egemonia della razionalità.

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Le parole che non ti ho detto. Antologia di Chiaromonte.

Di Fernando Giannini.

L‘uomo si frammenta nel suo ciarlare sulla vita o su una realtà di cui non possiede e non possiederà mai le forme. Quando l’ uomo si fa filosofo illusiona se stesso mascherandosi da cogitante e allisciandosi il pizzetto. Poca trippa carissimi. Il dissidio fra Nicola Chiaromonte e Andrè Malraux, per altro ottimi amici e compagni d’arme contro Franco In Spagna, si svolgeva tutto in questo piccolo cortile: Malraux che era l’ esempio vivente dell essere nel fare, la realizzazione del sè nell’ immersione nella vita spesso spericolata sempre avventurosa, Chiaromonte che criticava tale approccio iperattivista cercando, secondo una linea filosofica più classica che mai, un riscontro dei fatti nel pensiero. Il dramma di quest’ ultimo è che se da una parte era condannato all’ uso del verbo per condurre la sua linea esplicativa, dall’ altro era decisamente disilluso sulla capacità delle parole di rappresentare la realtà. La contraddizione si incrociava ulteriormente con un atteggiamento analogo che però aveva proprio il Malraux, per il quale l ‘uomo non aveva alcuna capacità di comunicazione con l’ altro, quindi affliggeva anch’ esso la potenzialità del verbo. E’ un intreccio che potrebbe essere un discreto oggetto di ironie sottili. Pensare cioè che entrambi sconfortavano l uso delle parole ma ne avevano fatto in tutta la loro vita la propria professione come vocazione. Nicola Chiaromonte scrisse tanto e fu uno dei più profondi e originali critici di teatro, Malraux scrisse anche tanto (vinse anche un prestigioso premio Goncourt) ma sempre in questa sconcertante diffidenza verso la parola. L’impressione è che, per tornare al nostro, Chiaromonte riuscisse a trovare per la sua intelligenza una area pneumatica intermedia in cui riuscire a respirare vivere lavorare. Consapevole di quanto fosse improbabile il suo esistere a mezz’ aria. Chissà se la sua passione per il teatro fosse legato a questo. Ciao.

Ezma.

Di Donatella Yvonne Perfetti.

Ezma è una bambina di quasi quattro anni. E’intelligente, vivace, curiosa; è una bimba minutina con i capelli neri e due codini fissati in cima alla testa con due fiocchetti bianchi. Ezma è di una famiglia di Yezidi che vivevano a Shengal (Nord Irak). Durante l’agosto del 2014 sono dovuti scappare dalla furia omicida di quei mostri dell’Isis\Daesh: La loro città è completamente distrutta e da allora, insieme a tanti altri come loro, vivono in campi profughi, prima in Turchia, poi in Irak. La loro casa ora è una tenda. Chissà se Ezma ricorda come era la sua casa o una casa qualunque. Forse qualche vago ricordo ce l’ha ma per fortuna i bambini si adattano più facilmente degli adulti alle nuove situazioni, anche difficili e apparentemente non sembrano risentirne troppo (anche se poi nel profondo non sappiamo cosa succede). Ho conosciuto Ezma nel marzo 2015 quando sono andata a Urfa (Sanliurfa per i Turchi) insieme ad altri membri di una delegazione per il Newoz (Capodanno di origine iranica che per i Curdi ha un alto valore simbolico e identitario) e che oltre ai festeggiamenti per noi è anche occasione di incontri con persone e associazioni della società civile e politica. Quest’anno in più c’erano i profughi. Questo piccolo campo dove alloggia(va)no poco più di duecento persone (dopo la liberazione di Kobanè chi poteva se ne era già andato o era in procinto di farlo) è stato allestito dal Comune di Viransheir (cittadina di circa ottantamila abitanti nella provincia di Urfa). Come tutti i Campi è un po’ squallido, isolato in mezzo alla campagna con le tende allineate in più file ma con le “strade” lastricate (altri campi a Suruch, per esempio erano in mezzo al fango e polvere). Inoltre c’è una tenda cucina,un’infermeria e due tende scuola: una piccola per i bimbi dell’asilo e l’altra più grande per i ragazzi fino ai 14 anni. Insegnanti vengono dalla città vicina e insegnano in Curmanci, lingua curda che in Turchia è proibita ma che nell’Irak curdo è la lingua ufficiale. Questa tenda scuola è abbastanza ampia ed è usata anche come sala riunioni. La co-sindaca di Viransheir inoltre si vanta di aver fornito acqua calda per tutti. C’è poi un campetto da calcio. Ma la vita è molto monotona specialmente per gli uomini che hanno perso il lavoro senza possibilità di trovarne un altro dato che anche qui la disoccupazione raggiunge percentuali altissime.
Quando siamo arrivati al Campo, eravamo circa venti persone, Ezma girava da sola mentre in genere i bambini stanno in gruppo. Ed è successa una cosa incredibile: come ci ha visto, la bambina si è avvicinata e ha messo la sua mano nella mia. Mi ha scelto fra tutti. Un momento l’ho lasciata per fare delle foto e un’altra del gruppo l’ha presa per mano ma appena ho finito lei è tornata vicino ed è stata sempre con me per tutto il tempo che siamo rimasti al Campo. Mi ha seguito in una tenda dove ci aveva invitato una famiglia a raccontarci la loro storia e prendere il tè ed è stata sempre in braccio a me. Ezma è anche molto curiosa: voleva vedere come funziona la macchina fotografica e ha scattato diverse volte, ha vuotato tutta la mia borsa per guardare quello che c’era dentro e poi….ha rimesso tutto a posto – cosa che altri bambini non avrebbero fatto probabilmente – e questo mi ha fatto pensare che i suoi genitori le hanno dato comunque una buona educazione. Ezma è un folletto. Gira dappertutto e ovunque e con chiunque si sente a suo agio, come se fosse sempre vissuta lì. Il Campo è la sua casa e il suo mondo dove si muove con molta disinvoltura. Tutti la conoscono e le sorridono e lei ha l’aria di essere la beniamina di tutti. Quando ce ne siamo andati ha pianto e a me si stringeva il cuore. Ormai mi aveva conquistato completamente e non potevo lasciare che la cosa finisse lì come in genere succede in questi incontri: ci si trova bene con le persone, si creano simpatie ed empatie e poi si riparte e tutto finisce. Raramente capita di ritrovare ancor qualcuno in un viaggi successivo e i rapporti restano comunque sempre superficiali.

Ezma a quattro anni

In viaggio.

Così prima di ripartire per l’Italia mi sono unita a un altro gruppo che si recava a Viransheir e sono tornata al Campo per rivedere Ezma e cercare di stabilire un rapporto meno precario e se possibile duraturo. Quando siamo arrivati io ero un po’ indietro ma l’interprete mi ha poi detto che appena ci ha visto arrivare Ezma che era corsa lì davanti a tutti, ha chiesto subito “Dov’è la mia amica?” Appena mi ha visto mi è corsa incontro con il suo bel sorriso ed è stata quasi sempre con me anche quando eravamo nella “sala riunioni” ad ascoltare i racconti drammatici delle persone scampate alle aggressioni dell’ISlS grazie al salvataggio dei guerriglieri del PKK. Intanto la notizia di questo rapporto speciale tra me e la bambina si era diffusa nel Campo ed era per me doveroso andare a conoscere la famiglia..La loro tenda era tra le più povere: invece dei tappeti avevano solo un telo di plastica sul pavimento e i materassi per la notte appoggiati alle pareti. Così ho conosciuto il padre Elyas che lavorava come poliziotto, o più probabilmente vigile urbano, a Shengal e oltre alla casa distrutta ha perso anche il lavoro. Ha l’aspetto di una persona molto provata, con lo sguardo triste, quasi assente. Sembra abbastanza più anziano della moglie (ma in seguito ho scoperto che lui ha solo 42 anni!) che nonostante i numerosi figli è ancora una donna piacevole. Di figli ne hanno 10, il maggiore di 17 anni lo hanno mandato da uno zio in Germania e là sperano di andare tutti quanti: poi ci sono altri tre maschi e sei femmine un po’ di tutte le età. Ezma è la più piccola e tra lei e la penultima c’è uno stacco di tre o quattro anni. Forse non l’aspettavano più. Sono tutti bambini molto belli , Meruha, (dieci anni) ha degli occhi grigi stupendi, unica in tutta la famiglia, chissà da quale antenato ha ripreso! ma Ezma ha una marcia in più perché è la più sveglia e simpatica. Osman, un ragazzo di Viranshehir che ci ha accompagnato al Campo insieme alla sindaca, ci ha fatto da interprete. Non sa molto bene l’inglese ma si fa capire e capisce. Ho detto che intendo seguire la bambina e sono disposta ad aiutare la famiglia per quanto mi è possibile, l’importante è non perdere i contatti. Naturalmente nella tenda non è mancata l’offerta del tè, un rito a cui neanche i più poveri si sottraggono e sarebbe una grave scorrettezza rifiutare. Quando me ne sono andata è stato un distacco molto triste. Chissà se e quando avrei rivisto Ezma : la vita per i profughi è così precaria e da questo Campo già diverse persone erano partite e altre stavano per farlo: chi può torna alle proprie case specialmente chi viene da Kobanè che per quanto bombardata è ora libera, ma Shengal è in mano all’ISIS.
Per un po’ di tempo ho tenuto i contatti tramite Osman, poi un giorno mi ha fatto sapere che la famiglia era tornata in Irak dove il padre aveva ancora interessi e questioni da risolvere, ma a Shengal non potevano tornare per cui sono stati costretti ad andare a vivere in un altro campo profughi allestito dal governo curdo iracheno (Sud Kurdistan) , non lontano dal confine con la Turchia. . Per fortuna ho avuto il numero di cellulare di Elyas e sono riuscita a farci parlare un mio amico curdo. Infatti uno dei grossi problemi di comunicazione è la lingua: loro non parlano inglese e io non conosco né il curmanci (lingua curda) né l’arabo.
L’occasione per rivedere Ezma è stato in luglio quando sono tornata in Kurdistan per il matrimonio della mia amica curda Pervin a cui non potevo né volevo mancare. Dopo la festa che si è svolta a Nusaybin sono partita alla volta del Campo di Sexan o Scekan nei pressi della cittadina di Duhok ,(Nord Irak o Kurdistan Iracheno) Mi sono avventurata da sola sottovalutando le difficoltà . Avevo preso un biglietto per Silopi, ultima città nella Turchia ma la frontiera non era così vicina come credevo e così mi hanno ampiamente fregato sul costo del viaggio facendomi cambiare mezzi di trasporto non necessari e conseguenti richieste di soldi in più. Donna, straniera per di più europea, sola, senza conoscere la lingua, un vero pollo da spennare!
Ma intanto ero arrivata a Duhok dove, previ accordi telefonici, ho incontrato Ezma con il padre e un autista che mi aspettavano lungo la strada in un posto stabilito. L’incontro è stato emozionante, rivedere Ezma è stata una grande gioia e da come mi guardava ho capito che era così anche per lei. In quattro mesi era cresciuta un po’, sempre magrolina e aveva i codini più lunghi; mi ha accolto con il suo bellissimo sorriso e il suo sguardo vivacissimo. Non mi aveva dimenticato, si stringeva a me ed ha voluto subito venirmi in braccio. Anche in macchina, nel tragitto per arrivare al Campo, mi è sempre stata vicina, mi guardava e sorrideva felice.
Il Campo di Shexan è sotto la direzione del governo curdo iracheno, è recintato ed ha un unico ingresso controllato dalle autorità del Campo, mi è parso abbastanza rigidamente. Mi hanno detto che ospita circa cinquemila persone, in massima parte Yezidi per lo più fuggiti da Shengal. Il Campo è molto grande, isolato in una zona desertica dove non si vede una pianta, neanche un cespuglio a perdita d’occhio e non è poi tanto vicino alla città di Dohuk come pensavo. I Campi profughi che avevo visto in Turchia, gestiti dalle municipalità curde o autogestiti erano aperti e le persone erano libere di andare e venire come volevano. Comunque da qui pochi escono: dove potrebbero andare se non sono motorizzati?
Sono rimasta al Campo due giorni e ho dormito nella tenda con la famiglia. In realtà le tende sono due, visto che la famiglia è molto numerosa, disposte una di fronte all’altra con il lato anteriore aperto e tra le due c’è un corridoio di sassi largo meno di un metro e coperto da un telo. Come in quasi tutte le tende c’è un condizionatore d’aria (qui fa molto caldo in estate, di giorno credo che si superano i 43 gradi) e questo è l’unico “lusso” insieme ad un piccolo televisore. I bagni sono fuori, in comune con le tende vicine e sono quanto di più squallido abbia mai visto. Due o tre bagni attaccati, poco più di un metro quadrato l’uno, con un rubinetto a circa 30 centimetri dal suolo, in un angolo un buco largo poco più di dieci centimetri e il pavimento in cemento è molto irregolare per cui l’acqua ristagna e non scorre (in confronto il bagno “alla turca” è raffinato.) Unica suppellettile un chiodo attaccato al muro. Ho evitato di fare la doccia visto che stavo poco tempo, ma avrei trovato grande difficoltà ad adattarmi. E’ vero che loro non sono abituati ad avere tutte le comodità che abbiamo noi, ma quelli che hanno costruito il Campo potevano essere un po’ più attenti alle necessità di chi è costretto a restare qui chissà quanto tempo. Di fronte ai bagni, dal lato opposto del rettangolo formato da quattro tende, c’è una cucina, aperta e in comune tra il gruppetto di tende che formano questo piccolo “isolato”. Così si creano piccoli nuclei familiari abbastanza indipendenti e relativamente isolati. Ci sono poi le strade principali abbastanza larghe e polverose che quando piove diventano un pantano anche se qui non credo che piova molto spesso. Abbastanza vicino all’ingresso c’è l’infermeria che funziona solo di mattina con cinque medici che si alternano. C’è un campetto da calcio dove i ragazzi che lo desiderano possono fare una partitella la sera, ma non mi risulta che ci sia un luogo in cui riunirsi o altre strutture per tutte queste persone. Ritengo molto grave il fatto che non ci sia la scuola (a quanto mi risulta. Ci sono volontari all’interno del campo che fanno animazione, o forse scuola, con i bambini) Qualcuno ha messo su un negozietto di generi di prima necessità, con pochi clienti a dire il vero. Lo squallore è totale e l’inedia a cui le persone sono costrette è terribile specialmente per i ragazzi che non avendo niente da fare passano le giornate sdraiati a guardare la televisione; non studiano, non leggono, non lavorano, non aiutano “in casa” e così si impigriscono sempre più con conseguenze che potrebbero essere gravi se questo stato persiste a lungo. Per le donne è diverso: fin da piccole aiutano la madre nelle faccende comuni come tenere in ordine e pulita la tenda, guardare i bimbi più piccoli e poi lavano, rammendano, cucinano… anche loro hanno ore vuote ma almeno possono sentirsi utili. La antiquata mentalità tradizionale impedisce agli uomini di occuparsi di faccende domestiche. Le bambine comunque e le donne in genere sono molto più vivaci e meno rassegnate dei maschi. Per gli uomini è comprensibile: hanno perso il lavoro che spesso si identifica con la dignità, per i ragazzi è ancora peggio come già accennato. Pur essendo il Campo molto vasto la gente si muove poco e resta per lo più circoscritta alle tende vicine o a quelle di amici e parenti. Quasi hanno timore di avventurarsi “più in là”, o almeno questa è stata la mia impressione.
Prima di venire avevo chiesto un interprete ma il ragazzo che doveva farlo conosceva l’inglese come io il tedesco: non lo capivo e non mi capiva (anche se parlavo molto lentamente), ad ogni domanda rispondeva “no problem” per cui non sono riuscita ad avere risposte alle molte domande che avevo in mente e questo resoconto è solo il frutto delle mie parziali osservazioni. Poco dopo il mio arrivo è venuto un signore, non so se arabo o curdo, che aveva l’aria di un boss e mi ha fatto molte domande in buon inglese. Mi ha chiesto tutti i miei dati, voleva sapere perché ero lì, preoccupato che fossi una giornalista e mi ha imposto di non fotografare, di non fare domande e soprattutto di non interessarmi o parlare di politica. Alcune domande volevo fargliele io ma appena saputo quel che voleva se ne è andato senza salutare. Poco dopo mi hanno chiamato i responsabili del Campo per vedere il mio passaporto e registrarmi (e questo è normale) ma anche loro temevano che fossi una giornalista e hanno ribadito che non dovevo fare fotografie, eccetto alla famiglia, ma il colloquio è stato molto breve a causa della lingua. Notizie importanti quindi non ne ho avute, ma di foto alcune sono riuscita a farne. Questa insistenza – quasi paura – che fossi una giornalista e volessi parlare di politica forse è dovuta al fatto (ci ho ripensato in seguito) che il Campo è gestito dalle autorità curde irachene e loro non sono contenti che la gente dica di essere stata salvata dai guerriglieri del PKK e YPG, come avevano detto apertamente e con immensa gratitudine al Campo di Viransheir. Infatti nonostante i guerriglieri del PKK e i peshmerga irakeni combattano insiemi contro l’ISIS, c’è rivalità tra loro più che altro a livelli di comando: il governo curdo irakeno non vuole ammettere la superiorità dei guerriglieri e cerca quindi di minimizzare il valore e l’importanza del loro Non so cosa si aspettasse da meintervento soprattutto se messa in relazione con la fuga dei peshmerga che, a Mosul, sono scappati quasi senza combattere e lasciando le armi pesanti agli uomini dell’ISIS.
Ho visto un filmato su Shengal con tutta la città rasa al suolo. Mentre lo guardavamo Elyas aveva le lacrime agli occhi. Chissà quante volte lo avrà visto e rivisto.. Deve essere terribile perdere tutto e da una vita normale trovarsi in uno squallido campo profughi con la responsabilità di una famiglia così numerosa. Tramite il signore che parlava inglese mi ha chiesto aiuto per andare in Germania dove è già il figlio maggiore e dove spera che ,almeno, i figli potranno studiare. Non so cosa si aspettasse da me, certo io non ho alcun potere. Ho portato quanto potevo, forse meno di quanto si aspettavano ma per me era il massimo. Per tutti loro l’Europa e la Germania in particolare è vista come una nuova terra promessa dove le persone stanno tutte bene e sono ricche ! Speriamo che non abbiano troppe delusioni quando (e se) riusciranno ad andarci.
Una cosa che mi è parsa strana è la domanda che mi è stata fatta due volte: cioè se volevo portare via con me la bambina. Ho sempre risposto che assolutamente no, Ezma non è orfana, ha un padre una madre tante sorelle e fratelli e sradicarla dal suo ambiente non avrebbe senso. Io voglio restare in contatto con lei (e la famiglia) aiutare per quanto posso ma portarla via no, non ci ho mai pensato (anche se mi piacerebbe tenerla per un po’ di tempo) Non ho capito se la domanda nascondesse un timore o un desiderio. Dalle espressioni non ho capito niente come non mi è chiaro se la domanda fosse partita dalla famiglia o un’idea dell’interprete o del “boss”
Al Campo mi sono affezionata anche alle sorelle di Ezma: Sonia 8 anni (forse la più bella), Meruha 10 (con la faccia tonda come la madre ma con magnifici occhi grigi, l’unica in famiglia), Wanech 12 (mi è sembrata la più intelligente), Frida 14 ( in bilico fra l’infanzia e l’adolescenza) tutte carine, affettuose, allegre e simpatiche e la più grande Inas che a 16 anni già sembra una donna fatta, aiuta molto la madre e non si unisce ai giochi. I maschi, 9, 13 e 15 anni quasi non mi hanno rivolto uno sguardo e a parte Yussuf, il più piccolo, quando sono partita non mi hanno nemmeno salutato. Le bambine mi stavano sempre intorno ed è incredibile come i mezzi di comunicazione non verbali sono comunque efficaci, loro parlavano, parlavano io qualche volta intuivo, qualche volta no ma andava tutto bene lo stesso. Wanech mi ha fatto fortemente capire che desiderava la portassi via con me e questo la dice lunga quanto -in fondo- sia sentito pesantemente il disagio di questa vita innaturale e senza prospettive.
Un piccolo particolare mi ha colpito. In marzo avevo messo al collo di Ezma un fazzolettino celeste, poco dopo non lo aveva più. Avevo pensato che lo avesse lasciato cadere da qualche parte, come fanno spesso i bambini senza neanche accorgersene o senza dargli importanza. Invece , con meraviglia, lo ho ritrovato al Campo in Irak, se lo passavano da una sorella all’altra, e lo mettevano al collo o in testa, e lo tenevano come un oggetto di valore.
Per passare il tempo e farle divertire cercavo di inventare qualche gioco ma avevo poca fantasia e non sono andata molto più in la di qualche girotondo ma loro erano contente e ridevano. Quando si ha poco basta pochissimo per divertirsi e la novità della mia presenza era sufficiente a creare un piacevole diversivo nella monotonia della vita quotidiana. Oltre alle sorelle venivano spesso le bimbe delle tende vicine. Ezma naturalmente era sempre la privilegiata. Non mostrava gelosia se le sue sorelle mi abbracciavano ma quando due bambine di circa la sua età si avvicinavano troppo a me, le cacciava anche dando loro delle botte. Ezma è la più piccola e quindi un po’ viziata, se qualcosa non le sta bene e se qualcuno la sgrida anche leggermente si adombra o si mette a piangere. Però dura poco perché ben presto prevalgono la sua naturale allegria e vivacità.
Durante le ore più calde (pir germer = molto caldo in Curmancj) almeno 43-45 gradi, quasi non ci si muove dalla tenda ma poi nelle due giornate sono andata con Ezma e Fedha a trovare una fami glia di parenti che mi hanno accolto nella loro casa-tenda e ci sorridevamo continuamente ma purtroppo senza poter comunicare diversamente. Il pomeriggio del secondo giorno siamo andate dal lato opposto del Campo dove sono altri parenti e|o amici e lì c’era un bel po’ di gente: donne di tutte le età e tanti bambini che mi stavano sempre intorno e hanno voluto parecchie foto. In un’altra tenda abbiamo incontrato una coppia giovane con due bambine piccole e una terza in culla nata lì al campo, che ho fotografato insieme al padre ma la madre, una bella ragazza giovane (che non portava niente in testa) non ha voluto che la riprendessi. C’era poi un ragazzo che il giorno dopo doveva andare all’università (dove non so) per dare un esame di inglese. Ho visto il libro, era molto elementare. Lui però, giustamente, era molto preoccupato. Se l’avessi visto prima avrei potuto aiutarlo un po’ ma chissà se avrebbe accettato, qui sono tutti molto schivi e preferiscono offrire piuttosto che accettare. Addirittura la madre di Ezma (Bashin Hoja) mi ha offerto spazzolino e dentifricio!
Nonostante il Campo di Shekan sia molto più esteso di quello di Viransheir, o forse proprio per questo, Ezma e gli altri bambini sembrano meno liberi. Ezma che nell’altro Campo girava sola liberamente dappertutto, qui si allontana appena dalla tenda e mai da sola. Forse i suoi genitori temono che possa andare troppo lontano ma apparentemente non ci sono pericoli. Tuttavia sembra esserci “una legge non scritta” che regola e limita i movimenti. Mentre passeggiavo con Fedah perché volevo vedere un po’ più del Campo a un certo punto quasi implorandomi mi ha preso per un braccio e mi ha fatto capire “qui no” ed è voluta tornare indietro. Non ho capito il motivo ma l’ho accontentata. Mi rifiuto di pensare che possano esserci rischi di violenze come mi è stato riferito di un altro Campo (violenze da parte delle autorità che qui sembrano poche persone che restano a controllo dell’ingresso).
La partenza è stata molto triste, con Ezma che non si voleva staccare da me e io che mi sentivo un peso allo stomaco pensando alla difficoltà di rivederci.
Il viaggio di ritorno è stato quasi un’Odissea. Con la macchina del solito amico siamo partiti verso le 8 per andare a Z., città un po’ più lontana di Dohuk ma dove ci sono autobus diretti per Dyarbakir. Durante il percorso la macchina si è bloccata e abbiamo perso un’ora e mezzo così l’autobus era partito e il successivo era alle 5 del pomeriggio (arrivo previsto 10 di sera) ma alla frontiera Irak-Turchia siamo stati fermi per oltre 5 ore con lunghissime attese tra un controllo e l’altro. Solo il giorno dopo (26 luglio) ho saputo che c’erano stati attentati dell’ISIS e aggressioni da parte dei militari turchi e conseguenti reazioni dei curdi a Diyarbakir e in altre località. Di lì a poco la città di Cizre (che ho attraversato con l’autobus e dove ero già stata nel 2007 e 2011) sarebbe stata oggetto di distruzione e atrocità indescrivibili da parte dei turchi verso la popolazione civile. La guerra non dichiarata ma feroce era cominciata e dura ancora.
Non ho più rivisto Ezma. Ogni tanto riesco a mettermi in contatto (indiretto) con il padre, hanno tentato di avere il permesso per andare in Germania e per questo sono stati ad Ankara (non ho capito perché il permesso deve venire dalla Turchia dal momento che loro appartengono allo stato iracheno) ma sono tornati indietro e ancora aspettano. Intanto nel Campo la vita continua monotona e squallida. C’è un loro amico, o meglio compagno di campo, da cui ogni tanto ho notizie tramite face book anche se non sempre il suo inglese è del tutto comprensibile. Da lui ho qualche notizia sulla vita del campo. , ad es. lui, che ha dovuto interrompere gli studi , ha avuto l’incarico di intrattenere i bambini dell’asilo, ma solo per tre mesi, ora il breve contratto è finito. Lì il caldo arriva presto ma l’elettricità funziona poco, i controlli delle autorità sono sempre più rigidi. Quindi la vita è ancora peggiorata e le speranze di averne una migliore diminuiscono. I residenti si trovano in una situazione sempre più insostenibile, vivono in un campo profughi che si sta trasformando in prigione a cielo aperto . D’altra parte è impensabile che questa famiglia tenti di arrivare Europa con barconi o altri mezzi di fortuna con tutti questi figli adolescenti.
Mi sento molto triste , vorrei fare qualcosa ma non so che né come., vorrei avere tanti mezzi per dare una mano e aiutare ma sono legata qui e non posso neanche andare a trovarli e portare con me Ezma e una delle sorelline……….
Recentemente ho avuto una foto di Ezma (loro scrivono Asma) che ormai ha circa otto anni: è talmente cambiata da essere quasi irriconoscibile. Il suo sorriso aperto e luminoso è sparito lasciando il posto a uno sguardo triste e diffidente. Mi è venuto da piangere.

Fiorira’ l’aspidistra (Keep the aspidistra flying)

Di Roberto Fioroni

E’ un romanzo, in parte autobiografico, di George Orwell, terminato nel 1936, è ambientato nella Londra degli anni ’30. Il protagonista è Gordon Comstock, un trentenne di buona cultura che si professa poeta, proveniente da una famiglia borghese,

prologo libro

mandato a scuola con profondi sacrifici della mamma e della sorella, nella speranza che si elevasse di classe sociale e che trovasse un buon posto, un uomo del ceto medio è costretto a tirare avanti per anni di seguito con un tenore di vita che perfino un operaio a giornata disprezzerebbe”. Gordon si rende conto che il culto del denaro è stato elevato a religione; legge la storia di un falegname affamato che impegna tutto ma non si stacca dalla sua aspidistra “ Fiore d’Inghilterra, dovrebbe essere sul nostro stemma, invece del leone e dell’unicorno. Non scoppieranno rivoluzioni in Inghilterra finchè ci saranno aspidistre alle finestre. L’aspidistra è l’emblema dell’opaca rispettabilità e del conformismo.” ( aggiungerei come il telefonino o l’auto nella nostra epoca ) . Gordon capisce quale è il male di tutta la classe piccolo borghese: non è semplicemente la mancanza di denaro, piuttosto che , “ pur non avendo quattrini, continuano ancora a vivere mentalmente nel mondo dei soldi, quel mondo in cui il denaro è virtù e la povertà è un delitto.” Meglio regnare all’inferno che servire in cielo. Gordon dichiara una guerra personale ai quattrini ma non gli impedisce di essere maledettamente egoista verso chi gli vuole bene, soprattutto la sorella Julia che lo aiuta con grandi sacrifici. Gordon lavora in uffici pubblicitari, “ la cosa interessante della New Albion consisteva nel fatto che era una ditta di spirito così moderno. Non c’era nessuno tra i suoi dipendenti che non si rendesse perfettamente conto di come la pubblicità sia la truffa più sudicia che il capitalismo abbia mai perpetrato… La maggioranza dei dipendenti appartenevano al tipo americanizzato, aggressivo, dei duri, quel tipo per il quale nulla al mondo è sacro, eccetto il denaro. Mettevano in pratica il loro cinico codice morale. Il pubblico è fatto di porci; la pubblicità ( e/o la politica? ) è il rumore che fa il mestolo rimescolando il pastone nel truogolo. … Gordon li studiava discretamente. Egli disprezzava e respingeva la morale del denaro.” Sarebbe riuscito a tagliare la corda… si trovava nel mondo del denaro, ma non ne faceva parte; lui non è il tipo che Fa Bene , per lui la vita d’ufficio è insignificante. Dopo i primi anni abbandona bruscamente il lavoro d’ufficio, se ne va senza nessun motivo. “ Voleva bruciarsi le navi alle spalle” ( un Chris Mc Candless degli anni 30 ) , vivere senza puzzo di denaro, vivere nel tentativo di respingere asceticamente la schiavitù del denaro. Gordon attua un volontario declassamento che lo porta a scendere i gradini della scala sociale e a vivere in condizioni di povertà, estrema, e squallore sempre maggiori. Anche i rapporti con le persone di riferimento della sua vita, la fidanzata Rosemary, la sorella Julia, l’amico Philip Ravelson, si degradano e si spappolano. Comstock vuole precipitare nel fango, vuole sottrarsi alla “ dignità e decoro borghesi” , gli piace pensare alla gente perduta, la gente del sottosuolo, i vagabondi, i mendicanti e le prostitute…Non vuole far parte del sistema, di chi Fa Bene. ( come P. K. Dick, mi considero un visionario tra i ciarlatani, e allora mi viene in mente il dialogo tra Amleto e i suoi falsi amici Rosencratz e Guildenstern nel secondo atto dello Hamlet shakespeariano, Amleto dice che la Danimarca è una galera, Rosencratz risponde che Allora lo è tutto il mondo, e Amleto replica che Certo, una gran bella galera con tante celle e bracci e segrete. E la Danimarca è una delle peggiori. O forse dovremmo reagire come fece Salvador Dalì, il cui anagramma è Avida Dollars, che tenne a Londra una conferenza con uno scafandro da palombaro? P. K. Dick dice che c’è una rovinosa entropia, tutto si sarebbe fuso e avrebbe perso individualità, sarebbe diventato identico a ogni altra cosa, un mero pasticcio di Palta …) “ Nessun uomo ricco riesce mai a camuffarsi da povero, perché il denaro, come il delitto, prima o poi salta fuori” l’amico Ravelston è il redattore di “Anticristo” , un mensile piuttosto intellettualistico, socialista in un suo modo violento ma vago; in generale, dava l’impressione di essere diretto da un ardente nonconformista che avesse trasferito il suo giuramento di obbedienza da Dio a Marx ( Marx, a proposito delle rivoluzioni borghesi che hanno distrutto i valori del mondo antico, dirà che tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria ) e così facendo si fosse impelagato con una banda di poeti paroliberi, o parolieri. Ravelston è un intellettuale dell’alta borghesia aderente al marxismo, anche se si vergognava non era capace di tirare avanti senza la sua cospicua rendita di 800 sterline all’anno, secondo lui il minimo per campare, più di venti volte lo stipendio di Comstock. Inoltre “nutriva l’ingenua fiducia che entro breve tempo il socialismo avrebbe messo a posto ogni cosa. Il capitalismo era un fenomeno temporaneo che era nella sua ultima fase.” L’amico Ravelston rimaneva spesso imbarazzato ma non prendeva mai una posizione netta. Gordon sapeva benissimo che i contatti con i ricchi, come le gite in alta montagna, devono essere sempre brevi. Ravelston e Rosemary avrebbero volentieri aiutato finanziariamente Gordon ma lui non ne voleva sapere, rispondeva: “ Ho dichiarato guerra al denaro e devo stare alle regole del giuoco; la prima regola è di non accettare la carità, la carità uccide l’amicizia. Il cupo spleen di Orwell è rischiarato solo dal grande e incondizionato amore di Rosemary, lei che pensava a se stessa come una ragazzina e così la percepivano tutti gli altri, adorava Gordon e non si vergognava mai di dirgli quello che pensava; lei non diceva mai “ Gordon ha ragione in teoria “, era convinta che un buon posto di lavoro non si rifiuta mai però accettava la sua caparbia ricerca di povertà. Insisteva col suo tipico furore femminile, la sua pazienza e la sua costanza da donna, ma lo amava, sempre ( Le donne, come dice Andreoli, vivono di più, vivono più intensamente, e se lo meritano ) . Ma Gordon vuole scendere sempre più nel fango, nella palta di Dick, vive in un posto che è quasi uno slum, fa un lavoro da fallito all’estremo, un lavoro senza luce, senza via d’uscita, senza possibilità di riscatto. “ Ha solo il desiderio di sottrarsi ad ogni sforzo, a ogni decoro, di affondare, sprofondare nel fango. Non era solo dal denaro ch’egli si ritraeva ormai, ma dalla vita stessa.

disegno Roberto Fioroni

Quando ormai sembra tutto perduto, anche l’amore di Rosemary e l’amicizia con Ravelston, accade che Rosemary gli dice di essere incinta, ma non ha nessuna intenzione di legarlo con un matrimonio riparatore non voluto, al limite preferisce farsi macellare con un aborto. Gordon deve scegliere tra due possibilità, rifiuta senza esitazioni la possibilità di un aborto clandestino e decide di diventare un “ “uomo rispettabile” e di assumersi le responsabilità che aveva sempre scansato, bollandole come scelte di ordinario conformismo. Si rende conto che la sua scelta non è dovuta a Rosemary e al bambino, che sono comunque la ovvia causa e l’elemento di decantazione; alla fine Gordon non manca di vitalità e la squattrinata esistenza a cui si era condannato lo aveva spietatamente gettato fuori dalla corrente della vita. Decide di tornare a fare il pubblicista, tanto era un poeta e quello sapeva fare, scriverà le frasi dei cartelli pubblicitari che prima aveva sempre odiato. Capisce che “ la nostra civiltà è fondata sull’avidità e la paura, ma nelle vite della gentarella comune, avidità e paura sono misteriosamente tramutate in qualcosa di più nobile.” Quei piccoli borghesi là, dietro le loro tendine ricamate, coi loro figli, i loro mobili dozzinali e le loro aspidistre, essi vivevano secondo il codice del denaro, senza dubbio, e riuscivano ciò nonostante a conservare la loro dignità. Avevano le loro norme, i loro inviolabili punti d’onore. Si mantenevano rispettabili: facevano garrire le loro aspidistre, come bandiere. E poi erano vivi . Erano avvolti nell’involto della vita. Generavano figli, cosa che i santi e i salvatori di anime non hanno mai avuto il modo di fare. Le ultime tre parole del libro sono il pensiero di Gordon: “ Vicisti, o Aspidistra! “ Vince l’aspidistra, vince il sistema fondato sul denaro, ma resta la dignità dell’uomo e la sua difesa della famiglia, e le donne sono le vere eroine del romanzo, l’unica vera luce nel cupo, malinconico spleen, così realisticamente tracciato da Orwell; è la solita faccenda del dito e la luna, il problema non è il denaro ma l’uomo

Ai margini

Di Fernando Giannini.

Oggi una giornata di campagna. Mi sono dedicato ai marginali. Sono questi degli alberi un po’ speciali. Racchiudono in se’ l ‘assenza di una volontà  umana, nessuno li ha voluti, ma anche la forza di resistere al peggio, che in campagna vuol dire siccità, gelate  e malattie; ma oltre questo portano nel loro essere la vita che avviene nel terreno limitrofo, di cui risentono costantemente. Se il vicino ara molto e tu invece no, la tua pianta andrà con le radici e i rami verso quella direzione. E regalerà i suoi frutti di la dal muretto di pietre. Lo stesso vale per l acqua.                 

C é in questi alberi una stanca assenza che poi è proprio ciò  che li rende affascinanti ed in alcuni casi struggenti. Questo dipenderà anche dal tipo di albero. Quelli eleganti, ieratici armoniosi nella fronda, si vestiranno poco di quella marginalità. Quelli che rendono più il senso di essa sono i poveri mandorli o i perastri o le ficare o i melograni o i sorbi o le giuggiole. Ti dicono di abbandonarti alla vita ma di resistere, ti insegnano ad adattarti ma anche ad assorbire da ciò  che ti è  vicino. E proprio in questo abbandonarsi vivo, in questa passività  mediocre e senza pretese di aiuto, ti donano attraverso il frutto la loro dolcezza rustica.                         Sono come dei barboni o dei vecchi dimenticati da tutti che ti offrono inaspettatamente un viatico per esistere fatto di poche frasi e di sguardi fissi sull orizzonte.

Evoluzione gradualista.

Di Fernando Giannini

La lezione  di Albert Camus nel suo “L’uomo in rivolta” (ed Einaudi) ha il merito di essere stata prima ed illuminante.
Camus ebbe la capacità ma anche il coraggio, in anni in cui non essere rivoluzionari ed essere di sinistra appariva un controsenso, di affrontare la questione.
Da buon filosofo affrontò la materia alla radice, individuando quale fosse il nesso fra le rivoluzioni e gli autoritarismi, nesso che la storia dalla rivoluzione francese in sù aveva documentato.
Le rivoluzioni avrebbero avuto insita la logica del potere, con conseguenti sbocchi sociali di tipo autoritario o coercitivo.
Con Bakunin, che più che rivoluzionario era un rivoltoso, le cose cambiarono perchè alla base non c ‘era più la conquista del potere ma la distruzione dello stesso. E la conseguenza di ciò era la frammentazione dello stesso.
L’autogestione delle fabbriche o delle comunità rurali (in queste ultime l’autogestione era patrimonio millenario) era una conseguenza di questa linea di pensiero volta al rifiuto di qualsiasi potere centralizzante.
L’aggiunta di Camus a questo discorso è quella di riconoscere il valore della rivolta, che anche sembrando disordinata, non programmata, spontanea, emotiva è immune dalla vocazione concentrazionaria del potere.
In una società complessa come l’odierna la rivolta rimane una naturale espressione di stati d’animo individuali o collettivi. E sarà sempre chiaro dove sta il potere e che mezzi usa per sedare. In questo senso c’è chiarezza e coerenza.
Il valore della testimonianza, che è un concetto fattosi forte con il cristianesimo delle origini, non è materia da trattare con sufficienza.
E’ quello che rimane del proprio essere e delle proprie azioni, al di là delle vittorie conseguite.


Paul Goodman, sostenitore dell’Anarchismo gradualista.

E’ la mattonata che permette di camminare a chi seguirà.
Chiaramente tutto questo ha una logica controrivoluzionaria. E per me quest’ultima è una bella parola…
Il gradualismo può rappresentare la pratica politica di elezione.Il concetto è semplice: in una società complessa e variegata, con un potere sempre più concentrazionario e capace di controllare anche il tuo respiro può essere più proficuo lavorare ai fianchi il sistema puntando ad inserire elementi di libertarismo dovunque sia possibile.
L’innesto di forme di autogestione, la critica radicale al potere con la consapevolezza che esso rappresenta il tuo primo avversario, la testimonianza di modelli altri di vivere lavorare stare insieme etc, la partecipazione attiva attraverso la formazione di piccoli gruppi che attraverso la disomogenità arricchiscano il modello asfittico dominante. Essere in tanti e diversi è l’eredità dei nostri anni settanta, quando avevano diritto di esistere politicamente anche i singoli, vi ricordate i “cani sciolti”?
Mbeh.. ditemi quel che volete ma per me tutto questo e altro ancora è il gradualismo

Risposta di Massimo 12 settembre

Riporto dal blog Finimondo questo racconto che devi leggere e poi passo alla conclusione:

Lo ammetto, anch’io sono rimasto folgorato dalla ragazzina svedese con le trecce. Me ne sono innamorato quasi all’istante. La sua indipendenza nei confronti degli adulti, il suo coraggio nell’affrontare le forze dell’ordine, la sua sfida alle convenzioni sociali, la sua sfrenata voglia di vivere in un mondo favoloso che sia tutt’altro da quello cui purtroppo siamo tutti abituati, il suo amore per la natura… incantevole, davvero. Ecco perché trovo deprimente che la dolce e sorridente Pippi Calzelunghe sia stata oggi dimenticata a favore della pedante e corrucciata Greta Thunberg.
Pippi sapeva sparare con la pistola, Greta sa parlare ai vertici politici. Pippi aveva una tale forza da sollevare un cavallo, Greta ha appoggi tali da interessare i mass media internazionali. Pippi era figlia di un oscuro marinaio, Greta è figlia di celebri artisti. Pippi aveva al suo fianco il cavallo Zietto e la scimmietta signor Nilsson, Greta ha al suo fianco il pubblicitario Ingmar Rentzhog e l’ex vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore. Pippi era in possesso di un tesoro pirata con cui soddisfare i suoi bisogni vitali, Greta è posseduta dalle start-up tecnologiche che devono soddisfare le proprie esigenze mercantili. Pippi ha incoraggiato generazioni di bambini a credere in se stessi e nei propri sogni più folli (vivere in libertà), Greta incoraggia le classi dirigenti a correggere se stesse per realizzare la propria ambizione più banale (salvare il capitalismo). Con il suo universo fiabesco Pippi la ribelle (ci) metteva al riparo dalla legge e dall’ordine, con il suo universo real-politik Greta l’attivista (li) mette al riparo dalla rivolta e dal disordine. Che abissale differenza!
Oggi in tutto il mondo si sono tenute manifestazioni di protesta contro il cambiamento climatico. È il venerdì per il futuro, l’idea ispirata da Greta (o da chi per lei) di uno sciopero globale a favore del clima. Ma qual è la causa principale del cambiamento climatico? L’attività industriale destinata alla produzione di merci e servizi. E chi compie, sostiene e finanzia questa attività? Piccole e grandi imprese, con il sostegno diretto dello Stato. È questa la ragione per cui tutti questi attivisti ambientalisti chiedono a burocrati e funzionari di promuovere leggi ed iniziative in grado di permettere lo sviluppo di un capitalismo verde e sostenibile? Perché, essendo loro i responsabili del cambiamento climatico in corso, spetta a loro risolvere i danni che stanno causando? Non è una richiesta più che logica, è una pretesa del tutto idiota. Chiedere allo Stato ed alla grande industria di abbassare drasticamente le emissioni di anidride carbonica è come chiedere ad uno squalo di ridurre drasticamente la sua ricerca di cibo. Lo squalo affamato di carne continuerà a fare strage di esseri viventi, così come il capitalismo affamato di profitto continuerà a saccheggiare risorse naturali. La soluzione non può arrivare da chi costituisce il problema.
Marciare in difesa del clima per chiedere alla classe dirigente una politica più ecologica non è che un’ottima ginnastica dell’obbedienza. Si muovono le gambe per affidarsi ai parlamentari, si agitano le braccia per dipendere dai ministri, si scrollano le teste per chinarle davanti ai governanti. Ci si mette in movimento, ma solo per prendere (e farsi prendere da un) partito. Mens servile in corpore sano. Ecco perché la pacifica e compita Greta è tanto apprezzata dai politici meno beceri e reazionari.
Io no, non la reggo. No, dico, volete mettere con l’altra ragazzina svedese, quella coi capelli rossi, quella che si veste in maniera trasandata, se ne frega di avere le lentiggini, porta scarpe di una misura cinque volte superiore alla sua e si eccita «all’idea di vedere l’isola Cip-cip; starsene distesi a riva e immergere gli alluci nel vero e proprio Mare del Sud, mentre basta sbadigliare perché una banana matura vi cada dritta in bocca»?

Dopo aver letto questo breve racconto mi rendo conto di quanto le “strategie” anarchiche
abbiano il fiato corto, non tenendo il filo del tempo,ma rivolgendosi ad un periodo, quello
ottocentesco,in cui ferveva un dibattito tra liberalismo, il cui paradigma era la liberta’
individuale, e il socialismo, con il suo paradigma di uguaglianza. L’Anarchismo aveva un
funzione quasi demiurgica, sincretica, perche’ superava le posizioni liberali e socialiste in
favore di una inscindibilita’ tra liberta’ e uguaglianza, facendo sintesi, come si dice oggi, di
due tendenze contrapposte nella pratica politica.
. Di qui, appunto, la natura sincretica dell’ideologia anarchica: appena si fa riferimento ad un valore, ad un concetto, immediatamente questo richiama tutti gli altri, e tutti non reggono, da un punto di vista anarchico, se non pensando l’uno in riferimento all’altro. Ecco perché l’anarchismo è un’ideologia carica di ‘esagerazioni’ . Tutto è esagerato, nell’anarchismo, perché tutto è necessitante: ogni valore è assunto infatti nella sua integralità effettiva e nella sua radicalità ontologica . La libertà, l’uguaglianza, la diversità, la solidarietà, i valori fondanti dell’ideologia, sono portate alla loro verità ultima” (21).(G.Berti)

Fallite le rivoluzioni, che hanno in se’ i germi di un nuovo dispotismo,come hai ben detto,
Anche il Gradualismo di impronta Goodmaniana non puo’ incidere nel corpo del Potere,
risultando quel “proficuo lavorare ai fianchi” da te auspicato una mera speranza vanificata,
scusami la metafora, dalla mancanza di questi fianchi del Potere,oramai virtualizzati in un
ologramma fatto di clik anonimi di una tastiera che sposta miliardi di euro da un capo all’altro
del mondo, senza confini e senza immaginare conseguenze.
Cosa rimane, se qualcosa rimane? Rimane la vitalita’ di Pippi, la sua allegria,il suo coraggio,
la sua gioia di vivere, che nessuno potra’ toglierle. Lei balla sulla tolda del Titanic, ma almeno
si sta divertendo.

Risposta di Fernando 13 settembre.

La risposta credo che sia: il cambiamento vero é sempre frutto di un lavoro lungo e paziente. In politica come in tutte le cose agire frettolosamente fa essere sbrigativi. Da l impressione di aver risolto per poi trovarsi peggio di prima. Quella critica radicale che massimo fa al sistema spesso conduce ad una passività sconfortata. Diceva massimo nell ultima riunione che il gradualismo non puo’ lavorare ai fianchi il sistema imperante perché l attuale capitalismo i fianchi non ce l ha. I fianchi ci sono sempre. Semmai manca la testa in questo sistema decerebrato che vertiginosamente si affretta a liquefare il pianeta. Dai ghiacciai in giu’.

Risposta di Leo Giovanni 13 settembre

Sono contentissimo che vi siete riattivati. Non condivido quello che dice massimo di greta. É una posizione teorica che rischia di andar via come il vapor acqueo. Son sicuro che massimo non sarà coerente con quello che scrive 24 H . Sarebbe depressivo . Incompatibile con la vita. Greta ci permette di toccare sentire e sperare. E di dare risposte. Ricordo un esperienza personale qui in puglia. A due passi dal paese nell 80 si era deciso di fare una centrale nucleare. La stessa il cui scheletro ancora si puo vedere a montalto di castro paesino di gente tranquilla semplice accogliente e credulona. Invece nei paesi del mio circondario bloccarono con i trattori all alba la superstrada un sindaco ed altri finirono in carcere per resistenza e si andò sul tg nazionale. I tecnici dell enel che venivano da Roma furono minacciati. Insomma si riuscì a ostacolare. Intanto a Montalto la si costruiva. Poi arrivò Cernobyl e non se ne fece più nulla con il refetendum. Oggi da noi c è una bella riserva naturale dello stato (torre guaceto ) in quel posto. A montalto c è uno scheletro orribile che vi invito a visitare e che ha rovinato tutto quel tratto di mare. A quei tempi c erano i cosiddetti sistemisti come fa massimo. Critica totale al sistema e passività inevitabile. Noi coglionozzi credevamo che si poteva fare qlcs e ci siamo riusciti ciao giovanni leo

Risposta di Carmela 14 settembre.

Guarda massimo chiucchiu: Se tu vivessi in sicilia potrei capirlo. Ma dove sei tu no. I siciliani sono maestri di critica totale al sistema e conseguente rifiuto. E infatti si lasciano andare ad un inerzia che si salva solo con il fatalismo. Chi vuol fare qui trova davanti un muro di gomma. Se organizzi dei gruppi su alcune tematiche c è una indifferenza quasi generale. L associazionismo é scarsissimo. Poi scopri che non vengono agli incontri perche sono stanchi, anche se nullafacenti. O preferiscono il dopocena davanti alla TV perche hanno l abitudine di mangiare troppo. Ma sono sempre pronti a rifiutare qualsiasi sistema. Inquesto humus la mafia ha avuto gioco facile. Spero che da voi sia diverso. Anche se mi dicono che siete ormai colonizzati in umbria dalla ndrangheta. Spero che ci sia gente solerte incazzata militante e con tanta voglia di incontrarsi. Saluti palermitani

Risposta di Fernando 14 settembre

democrazia:

«Il senso del voto democratico non è quello di fotografare la gamma delle opinioni quali si manifestano allo stato brado, bensì di riflettere il risultato di un processo pubblico di formazione dell’ opinione. Il voto espresso nella cabina elettorale acquista il peso istituzionale di una compartecipazione democratica solo in relazione ad opinioni articolate pubblicamente, formatesi attraverso la comunicazione e lo scambio di informazioni, motivazioni e posizioni pertinenti ai singoli temi». Habermas 2012

Quindi la democrazia diventa un atto formativo della singola persona. Attraverso il confronto la polemica lo scontro democratico per habermas il cittadino cambia, si trasforma in altro da prima.

Risposta di Roberto 20 settembre

sono felice che ci siamo riattivati è un importante momento formativo di cambiamento .continuiamo cosi

Risposta di Massimo 22 settembre

E’ ingeneroso, come constato dalle risposte riguardo alla mia presa di posizione nei
confronti di Greta Thunberg, definirmi disfattista e velleitario rispetto al rampante
cambiamento incarnato da questa paffutella scandinava, che attira, per naturale
empatia, le simpatie di tutto il mondo.Cercando di evitare le trappole semantiche
e certe naturali propensioni al cinismo, come il fatto che lei e i giovani del movimento
Friday for future possano essere manipolati da lobby ecologiste interessate a tutt’altro,
rimarcavo semplicemente il fatto che Greta si sta rivolgendo, nelle sue invettive, a quei
gruppi di potere mondiale come capi di stato, Onu, potentati economici, che oltre la
carezzina sulla testolina e qualche complimento di circostanza, non hanno alcun interesse
a recepire alcunche’ delle sue pur intelligenti prese di posizione.
Perche’?
Uno squalo per vivere ha bisogno di muoversi in continuazione, altrimenti annegherebbe.
La societa’ globalizzata e neoliberista ha bisogno di crescere per sopravvivere.
Niente crescita,niente sopravvivenza. Ma,mentre lo squalo, nell’equilibrio della Natura,
svolge un ruolo di spazzino, utile alla sua ed alle altre specie, la societa’ globalizzata e’ in
completo disequilibrio rispetto all’ambiente, seccandone tutte le risorse come un cancro
che aggredisce un malato.E non possiamo aspettarci alcuna soluzione dalla sua stupida
ancella, la tecnologia, che non e’ altro che la scienza che inventa “cose che funzionano”,
non avendo in se’ neanche l’anarchia della ricerca pura fine a se stessa.
Se dovessi dare un consiglio a Greta, in merito al riscaldamento globale e all’inquinamento del nostro pianeta, e’ quello di divulgare e fare da volano ad una forte presa di coscienza
su questi temi, accompagnato dall’esempio di una vita frugale francescana, con limitato
uso dei vari gadget elettronici, con tendenza all’impatto zero rispetto al consumo di fonti
energetiche tout court. Anche le cosidette energie rinnovabili, tanto amate dai pasdaran
ecologisti, hanno un forte impatto sul pianeta. Qualcuno ha visitato gli alvei dei fiumi
imbrigliati da dighe,condotte,prese d’acqua che convogliano verso le centrali idroelettriche?
C’e’ una perniciosa tendenza anche dai difensori della Natura a credere che la tecnologia
possa risolvere i problemi da lei creati. Ma la tecnologia e’ schiava dell’economia, non
esiste fuori da essa, e questo e’ il dramma dell’uomo.
Anche il tema di combattere per non fare costruire le centrali, come a Torre Guaceto,
mi lascia perplesso, a mio avviso si tratta di una guerra tra poveri, quello che ipocritamente
non si e’ costruito la’, magari si e’ fatto in altro luogo d’Italia. Onore alla furbizia e al levantinismo delle terre pugliesi, ma si ha lo stesso genere di soddisfazione del comune
di Salice d’Ulzio, comune denuclearizzato, a 100 km dalla centrale nucleare francese.
Sono belle soddisfazioni nascondere la polvere sotto il tappeto.

Per chi non e’ molto paziente minuto 7:23

Beh, all’epoca c’era molto nichilismo.

Mi piace immaginare che Pippi Calzelunghe avrebbe invece risposto:

“Io sono pronta a VIVERE…..ma non di noia.”

Crisi politica italiana e contesto storico.

Di Massimo Chiucchiu’

La crisi politica che ha investito il nostro paese rappresenta, non essendo ne’ la prima ne l’ultima possibile del mondo occidentale evoluto e affluente, rappresenta dunque l’utimo sbocco della crisi delle democrazie nate all’ombra del secolo breve e delle due grandi guerre mondiali.In sovrappiu’, alla crisi delle rappresentanze parlamentari europee ed americane, si accompagna la nascita di entita’ superstatali come la Comunita’ Europea che, in un paese
fragile istituzionalmente come l’Italia, fungono da volano per mettere a nudo le contraddizioni in cui si dibatte da sempre l’Italia.Se a tutto questo sommiamo il fenomeno economico paradigmatico chiamato globalizzazione, e’ chiaro che le antiche forme di democrazia appaiano fragili e lente di fronte al tumultuoso corso degli eventi che caratterizza lo scenario economico-sociale mondiale.In Italia, in particolare, il bizantinismo politico ha creato un terreno in cui le rappresentanze parlamentari hanno un forte carattere autoreferenziale, tutto volto al mantenimento dello status quo e al non risolvimento dei problemi sociali creati da loro e dalle scellerate politiche neoliberiste che oggi imperversano come linea comune delle economie di quasi tutti gli attori del teatro globale.
In questa cornice, nel nostro paese, che e’ bene rammentare essere un paese con limitata
autonomia politica dovuta agli scellerati esiti delle due guerre mondiali, si sono sempre
affrontate due tendenze politiche ben divaricate: l’impostazione neoatlantista a matrice
cristiana, ancorata ai valori delle democrazie anglosassoni declinata con i valori protestanti, inclusivi e compassionevoli, e l’altra tendenza legata alla matrice marxista e alla filosofia Continentale, con l’individuo schiacciato nelle prassi dello Stato onnipresente. Dalla coazione di queste imponenti forze ne e’ uscito uno Stato pletorico,iperburocratico,lontano ma oppressivo,inefficente per definizione,creatore di lavoro fasullo volto solo al mantenimento dell’imponente,elefantiaca macchina burocratica, in chiave di consenso elettorale.

La novita’ della crisi odierna e’ che certi ruoli standardizzati in passato, Occidente e Marxismo, burocrazia ed efficentismo, paiono mescolarsi e alle volte scambiare di ruolo, in una maionese impazzita che rende incerti gli elettori, alla costante ricerca della Nobile Figura che li possa condurre fuori dalle sabbie mobili dei tempi odierni. Parole d’ordine semplici ed efficaci,difesa del localismo, chiusura a qualsiasi novita’, fanno emergere personaggi come Trump,Putin Orban e da noi Salvini, che espletano questa esigenza degli spaventati elettori, che in quegli slogan reiterati ad libitum ritrovano quelle radici spazzate via dalla globalizzazione e dal nichilismo.
Beh, non ci voleva uno scienziato per capire che la globalizzazione avrebbe portato alle
odierne conseguenze, quando ad un tavolo si invitano tutti gli astanti, non e’ che i nuovi
arrivati si accontentano delle briciole che cadono dal tavolo. Di controcanto i marxisti come al solito scambiano lucciole per lanterne, giudicando la globalizzazione il trionfo delle masse
popolari con altri mezzi (rispetto alla rivoluzione armata e alla disinformacija).
Contenti loro, arroccati nelle dacie di Capalbio, a discettare di un mondo tutto chiuso nelle
loro teste, non rimane che riflettere sulla figura emergente di Conte Giuseppe, che da
damerino impomatato dai gesti sempre improntati a cortesia e gentilezza, si erge a custode
delle istanze del Clero Cattolico, cercando una mediazione tra populismi, popolarismi ed
elites, con l’avallo delle gerarchie Eclesiastiche piu’ nascoste e che sempre hanno mosso
gli interessi del nostro paese, al di fuori del ruolo di vassallaggio che ci compete per
inclinazione storica.